Monica si rifugiò fra le braccia di Yarbes.
L’agente della CIA aveva sentito il rumore degli spari che proveniva da fuori. Non ci voleva molto a capire che Matrioska aveva mirato alle gomme della sua macchina. E ormai era lontano.
Accarezzò i capelli di Monica, poi la scostò delicatamente da sé.
Telefonò a Langley.
Che gli mandassero al più presto un elicottero.
Lo richiamarono cinque minuti dopo. Niente elicottero, e lui non doveva muoversi prima di aver parlato con il direttore. Si sarebbero sentiti verso le sei del pomeriggio.
Riferì la notizia a Monica e poi ascoltò la sua storia.
Quando la donna finì di parlare, le rivolse uno sguardo duro. “John Lodge è morto a causa tua.”, affermò senza mezzi termini.
Monica trasalì. Si aggirò per il soggiorno, a disagio. “Aglaja mi ha torturata in modo terribile. Credevo di resistere, ma…”
Yarbes non era in vena di mostrarsi comprensivo. “Ti ha fatto il solletico ai piedi?”, le domandò in tono beffardo.
Monica capì che si riferiva a Nicole Parker, ma avrebbe dovuto sapere bene che i cinesi non si erano limitati a questo. Avevano adoperato le scosse elettriche, le avevano impedito di dormire, l’avevano lasciata senza cibo, l’avevano picchiata, l’avevano seviziata in mille modi.
“Non mi ha fatto il solletico.”, replicò risentita. “Mai sentito parlare di waterboarding? E comunque Nicole si è uccisa: dovresti avere più rispetto per lei.”
“Si è uccisa “dopo”. Avrebbe dovuto uccidersi “prima”. Non merita rispetto.” Indicò il cadavere di Aglaja. “E tu vali meno di quella russa.”
Monica avrebbe preferito che la schiaffeggiasse. “Il waterboarding è tremendo!”, protestò. “Ho cercato di lottare, non volevo cedere!” Chinò il capo, sentendosi comunque in colpa. “Ma non ce l’ho fatta.”
“E’ un tuo problema.”, ribatté asciutto Yarbes. “Ed è un peso che porterai per sempre sulla coscienza.”
A Yarbes non piaceva ergersi a giudice, però non amava i deboli e Squire si era dimostrata tale, esattamente come Nicole Parker. C’era un motivo alla base di quella intransigenza, anche se lui non voleva ricordarlo. Ma, nonostante tutto, aveva un debole per lei. (Era difficile che nella CIA ci fosse qualcuno che non avesse un debole per Monica Squire, a partire dal direttore).
Yarbes si raddolcì. “Non amo dare consigli.”, aggiunse in modo pacato. “Ma se fossi in te, io racconterei una storia diversa.”
“Perché?”, gli chiese Monica.
“Rischi sanzioni o anche qualcosa di peggio. E’ meglio dire che ti ha drogata. Forse questo li convincerà a non procedere.”
Monica lo fissò pensosa.
Yarbes preparò il caffè. “Scusami. Mi rendo conto di essere stato troppo brutale.”
Alla faccia!, si disse lei.
Il direttore della CIA si presentò allo Studio Ovale in perfetto orario. Era sorridente e rilassato. Dichiarò subito che sicuramente l’FBI aveva preso un granchio in quanto il loro agente era stato ucciso da una certa Janice Williams, che adesso era morta. Chi era quella donna? Probabilmente lavorava per un’organizzazione terroristica. Si sapeva molto poco di lei.
Webster, il capo dell’FBI, mantenne un’espressione indifferente, benché ribollisse di rabbia. Era furibondo soprattutto con se stesso, dato che si era comportato da ingenuo: era evidente che l’altro avrebbe negato le responsabilità dell’Agenzia, ed era ancora più evidente che lui si trovava con le mani legate. Se avesse fatto riferimento alla talpa che gli aveva telefonato da Langley l’avrebbe bruciata, perdendo in tal modo una preziosa fonte di informazioni. Scelse un altro campo per contrattaccare.
“Benissimo.”, disse. “Però non stava a voi eliminarla.”
“E’ vero.”, ammise l’uomo della CIA. “Ma aveva ammazzato uno dei nostri, l’agente speciale John Lodge e…”
“Questo è grave.”, interloquì per la prima volta il presidente degli Stati Uniti.
Il direttore della CIA annuì. “Molto grave. Il responsabile si chiama Martin Yarbes. Una testa calda. Ha agito di sua iniziativa, senza alcuna autorizzazione, e sarà sottoposto a severi provvedimenti disciplinari. A sua parziale discolpa, posso dire che ha salvato Monica Squire, un elemento eccellente, e che era amico di Lodge. Ciò naturalmente non basta a scagionarlo. Comunque, ci penserà l’OS. Meglio lavare i panni sporchi in casa.”
“D’accordo.”, disse il presidente e guardò Webster. Questi sapeva perfettamente di aver ascoltato una menzogna dopo l’altra, ma non aveva granché da opporre. Si limitò ad assentire con aria tetra.
Il presidente cominciava ad annoiarsi e non lo nascose. Era stata un’inutile perdita di tempo. Consultò l’orologio.
“Molto rumore per nulla.”, commentò con un sorriso il direttore della CIA.
Poi si alzò dalla sedia.
Un’ora dopo, telefonò a Yarbes.
“Tutto sistemato.”, annunciò. “Però dovrai occuparti di Matrioska da solo. E, se qualcosa andasse storto, io non potrò coprirti le spalle. E’ chiaro?”
“Chiarissimo.”, rispose Yarbes.
“Un’altra cosa, Martin. Adesso che Squire è salva e Thompson purtroppo… beh, sarebbe opportuno prenderlo vivo.”
Facile come bere un bicchier d’acqua, pensò cupamente Yarbes.
Dopo essersi medicato il braccio, Aleksandr abbandonò l’auto in un posteggio situato alla periferia di una piccola cittadina, distante circa venti miglia dal cottage. Lasciò le chiavi nel cruscotto, prese ciò che gli serviva e si incamminò verso il centro. Fortunatamente la ferita era superficiale.
Aspettò che si facesse sera, passeggiando. Non gli sarebbe dispiaciuto mangiare un sandwich, ma scacciò l’idea. Era meglio non entrare in un locale pubblico; avrebbe mangiato più tardi. Quando fosse stato buio avrebbe rubato una macchina e si sarebbe allontanato da lì. Nel frattempo, rifletteva.
Le decisioni da prendere erano due. La prima riguardava Monica Squire. La seconda, strettamente legata alla precedente, era più complessa.
Putin gli aveva ordinato di uccidere Lodge e Squire, e lui aveva eliminato l’uomo, che era indubbiamente il più pericoloso dei due. Ma le cose fatte a metà non gli piacevano né piacevano a Putin. Doveva rintracciare la donna e portare a termine il suo compito? Ma qui subentrava il secondo problema. Il problema era che a quel punto sarebbe stato difficile procedere da solo.
Negli Stati Uniti, come in molte altre nazioni, avrebbe potuto rintracciare dei colleghi. All’estero, la Prima Direzione Centrale del KGB si avvaleva di due diversi tipi di agenti. Alcuni risiedevano nelle ambasciate dove fingevano di svolgere altri incarichi, ed erano coperti dall’immunità diplomatica: erano utili ma non potevano scoprirsi più di tanto. Una seconda tipologia era quella degli “illegali”, che operavano con documenti falsi e avevano maggiore spazio di azione. Aleksandr avrebbe potuto rivolgersi a uno di essi.
Tuttavia esisteva un inconveniente. La missione che gli aveva affidato Putin non era molto ortodossa; malgrado fossero nemici, Unione Sovietica e Stati Uniti d’abitudine, e come per un tacito accordo, non usavano agire con violenza nel territorio dell’altro Paese. Si combattevano su vari fronti mondiali, limitandosi a spiarsi a vicenda entro i rispettivi confini. Se avesse chiesto collaborazione, avrebbe rischiato sia di compromettere un agente che aveva lavorato per anni per assicurarsi un’adeguata copertura, sia di sollevare un polverone troppo grosso e sicuramente imbarazzante, che avrebbe portato pubblicità negativa oltre a possibili ritorsioni.
Matrioska non era abituato a discutere gli ordini, ma aveva il sospetto che per una volta il compagno Vladimir Putin si fosse lasciato trasportare dall’ira, a causa di ciò che era successo in Afghanistan. Era strano, conoscendo l’uomo, ma poteva capitare a tutti di prendere una decisione avventata: anche a una persona fredda e intelligente come Putin.
Era intento a ponderare la questione, quando quattro figure emersero dall’ombra.
Aleksandr aveva superato il centro e ora si trovava in un quartiere periferico, all’altra estremità della città rispetto a dove aveva abbandonato l’auto. Era un luogo piuttosto squallido. Il russo aveva notato un paio di locali dall’aspetto equivoco.
“Ehi, amico, come stai?”, disse uno di loro. Si chiamava Mark e gli piaceva terrorizzare la gente, fin quando non si pisciavano sotto.
Aleksandr li ignorò e cercò di passare oltre. I quattro lo circondarono. Erano sui venti-venticinque anni. Avevano bevuto, ma non erano affatto ubriachi, solamente più aggressivi. Avevano tutti una stazza notevole e fisionomie, che alla luce di un lampione, gli parvero ottuse e brutali.
“Fratello, non fare così!”, disse Joe, che era il capo. Lui amava deflorare le ragazzine. Era l’unico con l’aria sveglia, e in effetti era un tipo scaltro. Lanciò un’occhiata ad Aleksandr. Era alto e aveva le spalle larghe, ma cosa poteva fare da solo? E poi non era armato e probabilmente era anche uno sprovveduto.
Un grosso coltello balenò fra le mani di Mark.
“Vogliamo soltanto i tuoi soldi.”, disse Joe.
Matrioska avrebbe potuto consegnargli il portafoglio oppure metterli fuori combattimento e poi proseguire tranquillamente per la sua strada, ma qualcosa scattò in lui.
Il ricordo di quel bosco, di Sonja in pericolo, della collera che lo aveva assalito allora. Era da molto tempo che non reagiva in base alle emozioni; di norma, tutto ciò che faceva era dettato dalla razionalità. Quella sera fu diverso. Era come se si fosse trasformato in una belva feroce. Forse, influiva anche l’esito della sua missione, che era soddisfacente ma non esaltante. Abituato a vincere sempre, ciò lo contrariava non poco.
Colpì di taglio il braccio che cingeva il pugnale. Per lottare poteva usare solamente la sinistra, ma questo non era un problema. Afferrò l’arma e la spinse a fondo nel corpo di Mark, fino a raggiungere il cuore. Poi si voltò di scatto, si chinò per prendere una manciata di neve e, dopo averlo immobilizzato con una presa di judo, con la destra la ficcò in gola a Joe. Lo tenne fermo, impedendogli di respirare. Prima di morire, Joe lo svelto comprese di aver commesso un terribile errore. Gli altri due scapparono.
Ma Matrioska ora voleva la loro vita.
Si lanciò all’inseguimento e raggiunse subito il più lento. Lo accoltellò alla schiena.
Il quarto correva veloce.
Molto veloce.
Non lo avrebbe mai preso.
Aleksandr si fermò.
All’interno del cappotto, assicurata all’imbottitura, nascondeva un’arma ultra piatta e leggerissima. Era la “gemella” più piccola del fucile che aveva usato per uccidere il federale.
Con calma prese un’altra manciata di neve. La schiacciò e la inserì nel caricatore.
Il proiettile di ghiaccio, così formato, trafisse il quarto teppista, che crollò a terra senza un grido.
Aleksandr andò in cerca di una macchina da rubare.
Il mattino dopo, mentre beveva il caffè, Yarbes diede una scorsa al giornale. La sua attenzione fu catturata da una notizia che in apparenza non avrebbe dovuto riguardarlo. Quattro giovani, tutti già con precedenti penali, erano stati trovati morti, a breve distanza l’uno dall’altro. Il cronista non forniva molti particolari. La polizia non si era ancora pronunciata. Un regolamento di conti fra bande rivali?
Yarbes scosse la testa.
No, si disse.
Quegli idioti avevano tentato di aggredire Matrioska.
Buona domenica,Alessandra. Il racconto si fa sempre più interessante e intrigante. La bella Monica, da quello che emerge dal tuo scritto, fa “strage di cuori, e il “freddo” Matrioska non resiste alla sua droga personale (la violenza),
continuando a lasciare cadaveri dietro le sue spalle.
Brava ,come leggerti dentro un film, seduta piacevolmente in prima fila con l’aria condizionata (di questi tempi).
Un bacione
Mistral
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Che questo romanzo (sì perché ora lo é diventato a tutti gli effetti) fosse un caleidoscopio di situazioni, ma soprattutto di sentimenti lo sapevamo. La tripartizione odierna conferma come la tensione non venga mai abbandonata, anzi come vengano introdotti nuovi e più inquietanti sviluppi possibili.
Yarbes, che tratti quasi da complice di un assassinio Monica, se da una parte lascia sorpresi e incattiviti nei suoi confronti, dall’altra segna il punto sul carattere dell’agente. Monica ha tradito il suo partner e non importa se perché torturata, ha sbagliato. Se non fosse perché, forse sarebbe anche disposto ad eliminarla, ritenendo insufficienti, se non del tutto ridicole, le scuse della donna.
Però le offre un sentiero di salvezza, anche se difficile da percorrere,
Parlavamo di rogna. Per scrollarsi di dosso quella che si ha non c’é nulla di meglio che rifilare una colpa a chi non può difendersi. Soprattutto se é assente e soprattutto se si possono manipolare le prove. In questo il Direttore della C.I.A. ha messo in campo tutto il miglior repertorio. Ocsa c’é di meglio se non lavare i panni in casa. Soprattutto se fetono e tanto.
Eliminare veramente Yarbes … prodest? Vedremo.
Matrioska é ritornato ad essere lo spietato killer. Sa che deve salvarsi e portare a termine una missione e non importa quanti potranno essere i cadaveri.
Ciò però implica che si lascino in giro solo minime mollichine. Questa volta ha lasciato la pagnotta intera, per chi é un attento lettore di tracce.
Dovrà coinvolgere altre persone e non é detto che quelle saranno disponibili a prestarsi al suo gioco.
Riesce a coinvolgere ed appassionare sempre di più.
Il brivido di quest’estate.
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@ OMBREFLESSUOSE buona domenica a te, cara Mistral.
Mi piace la tua interpretazione del comportamento di Matrioska. C’è molto di vero in quello che dici.
Grazie e due bacioni**
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@ CAPEHORN grande analisi!
Yarbes potrà sembrare anche antipatico, ma tecnicamente ha ragione.
Il direttore della CIA è una vecchia volpe. Ovviamente a Yarbes non sarà torto un capello. Più avanti scopriremo perché si ostini a mentire e a costruire cortine fumogene.
Aleksandr… è Aleksandr. Ormai lo conosciamo bene. Irriducibile. Spietato. Gelido.
Vincerà? Questo naturalmente non posso anticiparlo.
Grazie mille!
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Attraverso rocambolesche situazioni, ci spieghi, come spesso sai fare, storie ingenti e veritiere, a mio avviso. Un saluto da Sar…
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@ SALVATORE RIZZI in tutta onestà, sono molto veritiere dato che prima di scrivere una cosa effettuo ricerche approfondite. Il racconto, poi, naturalmente è di fantasia.
Un caro saluto a te, unito ai miei ringraziamenti ^^
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La storia continua con un altro cacciatore e una vecchia preda. Storia intrigante che sembra non finire mai, anche quando pare che la parola fine sia dietro l’angolo.
Aspettiamo di conoscere gli eventi.
Un grande abbraccio
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O.T. Volevo chiederti per Caffè Letterario: in agosto ci sei oppure passi la mano. Al momento ci sono tre date impegnate: 5, 19, 22.
Aspetto un segno
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@ NEWWHITEBEAR quando ho incominciato a scrivere “Alex Alliston”, avevo in mente di concludere la storia in due o tre puntate. Poi sono arrivata a cento. Qui, più o meno, sta succedendo la stessa cosa. Sarà la sindrome di Stephen King? Non lo so. Ciò che so è che mi piace scrivere questo racconto – romanzo, direi – sebbene sia molto impegnativo farlo.
Nuovo cacciatore e vecchia preda: esatto.
Un grande abbraccio a te.
E grazie!
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@ NEWWHITEBEAR vorrei approfittare del tuo O.T. per dire che hai organizzato quel blog in modo perfetto!
Io ci sono sempre.
O, almeno, spero.
Disponi come meglio credi.
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Ce ne fosse uno che sfugge al fascino di Monica… Non me ne intendo, io non ho studiato sta roba (sempre la pigrizia), ma vorrei vedere chi sarebbe riuscito a resistere alla tortura di Aglaja. Comunque trattare male l’oggetto (la donna) del desiderio, è un classico. Monica è forza e debolezza assieme, qualcosa di “mortale” per molti uomini.
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L’altro era stato un bel capitolo. Questo è superlativo. Uno dei più belli che tu abbia scritto.
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Non ne dubitavo….ciaoo…
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@ KRIS confermo quello che scrivi. Io non avrei resistito e avrei parlato. Ciò, però, non toglie che Monica sia tecnicamente colpevole. Mi piacciono le tue considerazioni su di lei.
Un sorriso per te ^^
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@ BRUMBRU è il mio preferito in assoluto…
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Oh… però ci azzecco sempre… ahahah
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@ BRUMBRU yes 😛
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@ SALVATORE RIZZI buon pomeriggio!
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Ennesimo emozionante e intenso capitolo con un ritmo
sempre più incalzante che si assapora mano a mano
che narri, ogni vicenda, che sia terroristica, diplomatica
o personale….
Bravissima!!
Un bacione cara e radioso pomeriggio!
Michelle
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@ VENTIDIPRIMAVERA ti ringrazio di cuore, cara Michelle!
Questa è forse la storia più impegnativa che io abbia mai scritto, e per ogni nuovo capitolo occorre un grande lavoro; però mi piace scriverla e sono davvero contenta del tuo apprezzamento.
Un grande bacione a te, chèrie ^^
E l’augurio di un pomeriggio stupendo.
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Ricambio…dicendo…spero le cose ti vadano bene….ciaooo…
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@ SALVATORE RIZZI lo stesso vale per me.
Ciao!
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…la storia si fa sempre pià intricata, ed è proprio questo il bello. Ammiro la tua capacità di gestire i personaggi, non facili e la storia complicata. Spero di riuscire un giorno a raggiungere la tua stessa sicurezza. Bravissima!
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Intermezzo letterario che allunga la vicenda e la arricchisce ulteriormente ma senza perdere fascino, valore e attenzione. Certo, è intricata da seguire ma c’è tanta buona volontà, cara. Monica è una specie di rubacuori molto pericolosa perchè consapevole. Baci.
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“Chi si dedica a questo genere è in un certo senso orfano della guerra fredda. Allora tutto era più chiaro e gli attori erano gli Stati. Nelle ‘Regole del gioco’ si tiene un piede nella guerra fredda e la storia è abbastanza classica, anche se crediamo che rispecchi la realtà attuale”.
Alla fine della cosiddetta Guerra Fredda, i vari tuttologi (più che i veri esperti) decretarono che il mondo spionistico sarebbe cambiato in modo radicale e definitivo. Come conseguenza, altri opinionisti di turno, si precipitarono a sentenziare la morte del genere spy fiction.
Ma gli intrighi politici, le guerre, lo spionaggio, non si fermano mai. Certo, assumono di volta in volta caratteristiche differenti, mobili, a volte anche nuove, altre solo reiterazioni moderne, più o meno complesse, di vecchi giochi.
A distanza dalla Vostra puntata n.1, mia Signora, possiamo inoltre affermare la nostra convinzione che la spy fiction non sarebbe morta, semplicemente, con il chiudersi di un periodo storico che si rivelò del tutto esatta. Potrebbe sembrare che così sia stato, agli occhi di qualcuno. Semplicemente perché editori e produttori cinematografici, obbedienti alla distribuzione, si sono per un ventennio impegnati a celare la natura di tanti lavori sotto l’etichetta (corretta, ma volutamente generalistica) di thriller — a volte di action movie nel caso della cinematografia.
Negli ultimi tempi, però, il termine spy story, come nel Vostro caso, pare non essere più considerato superato (e pernicioso per le vendite), ed è tornato, se non di moda, almeno di comune utilizzo anche da parte della critica e della promozione, quindi riconosciuto nel suo valore anche dai nuovi lettori e/o spettatori.
Nel Vostro caso, e segnatamente su “Matrioska 37”, rileviamo una virata ‘di cambio’, come sovente fate, in merito alla storiografia globale del Vostro ‘ormai’ romanzo.
Denso di copi di scena, Voi mia Signora, avete dalla Vostra parte la freschezza di un vissuto come se le azioni e/o i colloqui si fossero svolti alla vostra presenza. Altro che sindrome di ‘Stephen king’, qui si assiste alla sindrome, genuina, dell’emozione raccontata in prima battuta.
Liberateci dall’incubo della vittoria dei “cattivi” concedendoci mercede sulle nostre, stesse, esistenze: matrioska è un uomo che soffre, ma non lo riconoscerà mai!
Esistenze legate ai vostri perché e susseguenti risposte.
A tal fine, vi informammo di avere investito “una piccola, irrisoria, ma importantissima, somma” sul Vostro preg.mo romanzo “Alex Alliston”, in formato cartaceo; opera che sentimmo, da subito, a noi molto affine. (ordine n. 120710-773671012).
Unico rimpianto nostro è che non lo riceveremo con la vostra firma autografa (non aspirammo a qualsivoglia dedica, peraltro già stigmatizzata nelle Vostre prime pagine.)
Abbiate, mia Signora, la nostra massima considerazione amichevole e fattiva.
RSF, Reporters Sans Frontières, Dimašq City – Repubblica Araba di Syria – Ninni Raimondi, per Alessandra Bianchi.
Abbiate le nostre, più sincere, cordialità da estendere ai Vostri acuti lettori.
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@ NUNZIADAQUALE ti ringrazio molto!
Se posso dire… le ricette sono soltanto due: leggere e scrivere.
E, comunque, tu sei estremamente dotata.
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@ UNIVERS la vicenda è complessa e complicata da scrivere. Io riverso in essa tutte le mie energie e il mio impegno.
Bacioni ^^
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@ NINNI RAIMONDI profondo come sempre, mio Signore!
Leggemmo attentamente il Vostro illustre commento, reso ancor più prezioso dalla Vostra professione.
E’ tutto vero.
Io ho voluto fare un salto indietro. Da sempre, o quasi, avevo un’immagine in mente: quella di un uomo che viveva in una baia isolata, sferzata dai venti del nord. Quell’uomo era un agente del KGB. Egli era freddo e spietato.
Ora, il pericolo più grande che correvo era quello di farne una copia di Faber (“La cruna dell’ago”). Credo di aver superato l’ostacolo. Matrioska ucciderebbe sempre e comunque Monica Squire. Faber no.
Ciò detto, Vi ringraziammo sia per lo splendido contributo, sia per l’incauto acquisto 😛
Radiosità!
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Un caro saluto….
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@ SALVATORE RIZZI grazie. Ricambio!
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Anche questo è un bel capitolo!
Seguendo la narrazione tutta d’un fiato sono stata coinvolta completamente. Le sequenze si susseguono in una logica narrativa perfetta: bastano poche parole per illustrare ed arricchire completamente lo svolgimento dei fatti.
BRAVA
XXXX
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@ CLE REVERIES sto meditando se proseguire con questa storia in luglio o riprendere il tutto a settembre, con un riassuntone. Deciderò prima di domenica. Intanto, mi gusto il tuo commento 😛
Grazie!
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Eh, Matrioska si è fatto vincere dalle emozioni e così si è scoperto, ma in fondo cosa cambia? Yarbes sapeva già che non era morto e prima che fosse pronto a muoversi il russo sarebbe già stato di nuovo lontano…
Povera Monica, certo che se l’è sentite cantare chiare, eh? 😛
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST molto chiare, caro lupo! Il fatto è che per la legge americana rischia la pena di morte!
Su Matrioska hai perfettamente ragione 🙂
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Bello e scorre via benissimo! Ben fatto! e poi mi piace sempre di più Matrioska, l’uomo di ghiaccio si sta lentamente scigliendo lasciandosi trasportare dalle emozioni … proseguo nella lettura che ormai ti seguo a scatti … ciao ciao
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@ POCHEPRETESE a scatti o non a scatti, io sono sempre felice della tua presenza.
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