Sarah imboccò un corridoio scarsamente illuminato da un’unica finestra posta in alto, che lasciava filtrare il tenue chiarore lunare. Gli altri tre la seguirono. Il corridoio era largo circa tre metri; dal punto in cui si trovava, l’israeliana non riusciva a scorgerne la fine: immaginava che più avanti avrebbero trovato una porta che conduceva nel cuore della fortezza. Calcolò che non dovessero esserci ancora molti guerriglieri, forse quattro o cinque.
La fortezza era vetusta, edificata secoli prima, ma evidentemente negli ultimi tempi qualcuno ci aveva lavorato: si sentì un click, un suono metallico, e subito dopo due massicce grate di acciaio calarono come per magia, impedendo ai quattro sia di proseguire, sia di tornare indietro. Erano in trappola.
Lucie Blanchard reagì con prontezza, puntando lo Stinger sulla lastra che aveva di fronte. Un istante più tardi, barcollò portandosi le mani alla bocca. Non riusciva a respirare. Stramazzò al suolo, imitata da Sarah. Questione di un attimo e anche Max e Danny persero i sensi.
“Bene.”, disse il mago che aveva osservato la scena da un monitor. Guardò Ibrahim al-Ja’bari. “Devo continuare con il gas?”
Il fondamentalista scosse la testa. “Voglio le donne. Per i negri basteranno due colpi di fucile.” A un suo cenno, gli ultimi tre guerriglieri rimasti si affrettarono a eseguire l’ordine, scendendo di corsa una scala.
Daigh, il mago, lanciò un’occhiata a Ibrahim. Talvolta rimaneva sconcertato dalla sua complessa personalità e dalla vastità dei piani che ideava. L’arabo – il pazzo, pensava Daigh – gli rivolgeva di rado la parola; era quasi sempre assorto in meditazioni misteriose, oppure dedito alla lettura del Corano. A tratti, gli occhi esprimevano una furia e un odio senza limiti, più spesso non tradivano la benché minima emozione.
In quanto ai piani, erano folli, seppure geniali, e di questo doveva approfittare.
Decise che era giunto il momento di mettere le carte in tavola. “Londra.”, disse. “Indipendentemente da ciò che Squire farà. Questo è il mio prezzo.”
Ibrahim al-Ja’bari ricambiò lo sguardo, quindi annuì. “Certamente.”, rispose in tono pacato. “Lei è un infedele, però non un mercenario. Abbiamo nemici comuni. Merita la sua ricompensa.”
William Hunt varcò la soglia del prestigioso club situato in St.James, nel centro di Londra. Per l’occasione si era rasato con cura e aveva indossato il suo completo migliore, un abito grigio scuro, accompagnato dalla camicia bianca fresca di bucato e da una cravatta blu. Sebbene fosse un veterano e avesse parlato più volte con il direttore dell’MI5, non era stato mai invitato a pranzo da lui. Una cameriera piuttosto graziosa lo accompagnò a un tavolo d’angolo, lontano da eventuali orecchi indiscreti, anche se la possibilità che qualcuno cercasse di ascoltare quello che si sarebbero detto era alquanto remota: il club era frequentato solamente da gentiluomini.
Hunt era puntuale, ma Sir Edward era già lì. Portava una comoda giacca di tweed e stava sorseggiando uno sherry. Al polso spiccava un Rolex d’oro: non era frutto di vanità, della quale egli era esente, bensì il regalo di Jane – la moglie – in occasione della nomina a capo del servizio di controspionaggio. Dono che aveva accettato con riluttanza. Tuttavia la scritta sul retro lo aveva commosso: da Jimmy e Jane con amore. Jimmy, il loro unico figlio, era morto durante la guerra delle Falkland.
Sir Edward salutò Hunt con un sorriso e lo invitò ad accomodarsi. William si sedette di fronte al superiore. Ordinarono costatine di agnello con contorno di carote al burro.
Sir Edward Malgraeve era ormai prossimo alla pensione, peraltro la sua mente era ancora acuta e la capacità di analisi intatta. Come quasi tutti i suoi predecessori, proveniva “dal campo”: era stato un brillante agente operativo, specializzato nello sventare gli attentati dell’IRA e nell’individuare le spie russe. Aveva conoscenze in tutto il mondo, fra le quali rientrava Monica Squire, che stimava e apprezzava. Si erano conosciuti quando lui era andato a Langley. Era il Sis (MI6) a mantenere i contatti con la CIA e a collaborare con gli americani; ma era l’MI5 a scovare i “cattivi” che agivano nel Regno Unito, e spesso questi soggetti risultavano di interesse comune: da qui la visita a Langley. In seguito, si era recato a Quantico, dove aveva incontrato l’energico Milton Brubeck. Il numero uno dell’FBI gli aveva offerto una squisita bistecca alla brace, dimostrandosi, nel corso della cena, una persona assai gradevole. “Mi chiami pure Milton.”, aveva detto.
Sir Edward aveva annuito, senza ricambiare l’invito. Persone piacevoli, tutto sommato. Certo, erano pur sempre yankee…
Malgraeve e Hunt cominciarono a mangiare, scambiandosi informazioni meteorologiche che stranamente annunciavano bello stabile, poi Sir Edward affrontò l’argomento per il quale aveva invitato Hunt. “Ho letto il suo rapporto. Nulla di nuovo, purtroppo.”
William scrollò il capo con aria cupa. “Ha presente l’ago nel pagliaio?”
Il direttore dell’MI5 si pulì la bocca con il tovagliolo. “Gli aghi si possono trovare.”, affermò. Hunt lo fissò in silenzio. Sapeva che Malgraeve non parlava mai a vanvera.
Sir Edward ordinò il dolce per entrambi. “Un ordigno nuclerare…”, osservò pensoso. “Non credo proprio che possa essere introdotto clandestinamente in Gran Bretagna. Credo, invece, che un esperto potrebbe assemblarlo in loco. Ma… quanti esperti sarebbero disposti a provocare una simile strage? Venendo a Londra in treno e camminando verso il mio ufficio, ho passato in rassegna alcuni nomi e le loro fisionomie.”
A differenza di quanto accade in molti altri Paesi, in Inghilterra funzionari di alto livello, pezzi grossi governativi e perfino ministri si recano al lavoro a piedi o con la metropolitana. Se abitano fuori Londra, la raggiungono in treno. Niente auto blu. Perciò Hunt non batté ciglio: conosceva le abitudini di Sir Edward.
Dopo una breve pausa, questi riprese: “Caro amico, dovrebbe concentrarsi su questi tre personaggi, sempre che io non stia prendendo un abbaglio.” Gli porse una cartelletta. All’interno c’erano tre fascicoli.
“Sarà fatto.”, disse Hunt. Esitò per un momento, quindi incrociando le dita sotto il tavolo, aggiunse: “Naturalmente, noi tutti speriamo che la signora Squire obbedisca all’ultimatum.”
“Oh, lo farà.”, replicò Sir Edward. “Sicuro che lo farà. Però… vede, io non mi fido nel modo più assoluto di quel dannato assassino arabo.”
Ibrahim al-Ja’bari scrutò a lungo Sarah Gabai. Spostò lo sguardo su Lucie e si rivolse a Daigh. “L’immagine deve essere diffusa in tutto il mondo.”
Le due donne erano in ginocchio, le braccia legate dietro la schiena.
Un bavaglio sulla bocca.
Il mago si mise all’opera.