Fu la luce dell’alba a svegliare Sarah.
A causa della tensione si erano dimenticate di chiudere le imposte e di accostare le tende. Rimase immobile a riflettere, poi si girò per guardare Janine. La fissò a lungo, mentre il chiarore penetrava nella stanza, permettendole di distinguere nitidamente i suoi lineamenti. Come aveva detto lei, era la prima volta che litigavano, e Sarah non lo sopportava. Non aveva cambiato idea riguardo alla svolta che intendeva dare alla sua carriera, però riconosceva a Janine il diritto di esprimere il proprio dissenso, anche perché sapeva che lei desiderava soltanto il suo bene.
Mentre la osservava, si accorse di quanto davvero la amasse: era un sentimento così profondo e intenso da soffocarla e da farle battere forte il cuore. Saltò giù dal letto e si infilò in quello di Janine. Lei si mosse nel sonno. Sarah le sfiorò delicatamente i capelli, la baciò sulla fronte. Janine aprì gli occhi. La guardò, ancora confusa. “Ti amo!”, le sussurrò Sarah. “Ti amo, tesoro mio. Non puoi immaginare quanto.”
“Anch’io ti amo.” Aveva la voce impastata dal sonno; si stirò prigramente. A un tratto ricordò il litigio. “Scusami, Sarie.”, disse contrita. “Avevi ragione tu, e io torto. Non posso influenzare le tue scelte, mi sono comportata molto male, in maniera prepotente… è solo che adoro la tua musica. Ma sono certa che continuerò ad apprezzarla, qualsiasi strada tu intraprenda.”
“Non parliamone più.”, disse Sarah. Il corpo di Janine era tiepido e profumato; si stese su di lei, cercandole la bocca.
Poi un dito si soffermò a lungo sul punto più sensibile della ragazza canadese… quindi, a quel dito se ne aggiunsero altri tre, trascinandola all’orgasmo.
“E la pace fu sancita nel migliore dei modi.”, commentò maliziosamente Janine alla fine.
A Sarah il sesso metteva appetito. “Non mi piacciono le colazioni italiane. Andiamo a cercare un posto che serva un vero breakfast. Prima, però, devo fare un salto in libreria. Aspettami qui, torno subito.”
Più tardi, davanti a un abbondante piatto di uova con il bacon, le porse un pacchetto. Janine le rivolse uno sguardo interrogativo. “E’ un piccolo regalo. Aprilo.”
Janine scartò con cura l’elegante confezione. “Due libri nuovi!”, esclamò tutta contenta. Leggere era una delle sue grandi passioni. “Con quale cominciare?” Osservò le copertine, quindi scorse rapidamente le note. La vicenda è incentrata sulla figura di Alexander Alliston, che da misero orfano assurgerà al rango di lord, e su quella di Carrick, geniale quanto bizzarro investigatore, e abbraccia un arco di tempo assai vasto: dalle sinistre gesta di Jack lo Squartatore, sul finire dell’ottocento, al tremendo secondo conflitto mondiale, fra intrighi, lotte di potere e amori contrastati…
“Alexandra White: non la conosco.”
“E’ il suo primo romanzo e le recensioni sono positive.”
“Grazie, Sarie!” Janine esaminò l’altro libro. “I tre cunicoli di Giampaolo Orso, non conosco neppure lui.”
“Vedrai che ti piacerà. Prima di acquistarlo ho parlato con una commessa che mi sembrava molto competente. Mi ha detto che lo ha divorato.”
Janine le prese una mano. “Sarie, non lasciarmi mai, ti prego: senza di te morirei.”
Sarah la guardò negli occhi. “Mai, Janine. Non ti lascerò mai!”
A Parigi il pubblico era diverso e il concerto andò benissimo, così come a Madrid, dove Sarah Taverner concesse ben quattro bis e firmò un autografo a José Mourinho. Il resto della tournée si svolse in Inghilterra: Manchester, Liverpool, e infine Londra, dove si tenne il trionfale show conclusivo.
Il giorno dopo Sarah e Janine si recarono a Hyde Park. Il tempo era splendido. Il sole splendeva nel cielo perfettamente limpido, le foglie stavano assumendo il caldo colore autunnale, tuttavia l’erba dei prati era ancora verde.
“Settembre è il mio mese preferito.”, dichiarò Janine. “Conserva il sapore dell’estate ma prelude al suggestivo abbraccio dell’autunno.”
“Come siamo poetiche, oggi!”, sorrise Sarah.
“E’ perché sono felice. Ho quasi paura di questa felicità. Non bisogna sbandierarla ai quattro venti: gli dei sono gelosi degli uomini.”
Sarah le passò un braccio attorno alle spalle. “Nemmeno gli dei potranno separarci, tesoro.”
Susan Driver non era il suo vero nome.
Lo aveva scelto perché era breve e incisivo, e facile da ricordare, al contrario di Genevieve Scott-Thomas che le sembrava vagamente ampolloso, oltre che troppo lungo. Inoltre, era evocativo, dato che metà delle sue canzoni parlavano di auto e di moto, amori consumati in fretta, estati baciate dal sole e dal vento, notti piene di sesso e di passione.
Susan aveva incominciato come corista. Era stato il cantante del gruppo a incoraggiarla, suggerendole di provare da sola e non limitandosi a questo: produsse il suo album d’esordio che balzò subito in cima alle classifiche. Susan cantava, suonava la chitarra e componeva; la sua musica era un intrigante blues-rock, con accenni country e soul. Una versione moderna, e femminile, del suono dei Rolling Stones. Susan era cresciuta nel mito di Keith Richards, che sapeva imitare alla perfezione. In giro c’erano chitarristi più bravi di lui: Eric Clapton, Jimmy Page, Jeff Beck, ma nessuno di loro possedeva la sua micidiale forza.
Il secondo album vendette più del primo, e il terzo più del secondo. Susan Driver era una rockstar. Su suggerimento di un comune amico, fu a lei che si rivolse Sarah Taverner. Susan acconsentì a riceverla per tre motivi. La stimava come artista, le piaceva come donna (Susan non faceva differenza fra maschi e femmine) ed era curiosa di scoprire cosa Sarah volesse da lei.
Tuttavia le rise in faccia, quando Sarah le spiegò che intendeva cambiare genere, imparare a suonare la chitarra (lei componeva i brani al piano) e proporsi in modo diverso sul palcoscenico.
Sarah la guardò perplessa e vagamente offesa.
Susan rollò una canna. “I tuoi dischi sono buoni. In particolare, I love Janine. Non capisco perché tu voglia cambiare.” Aspirò una boccata di fumo, le passò lo spinello, quindi aggiunse: “E poi la tua voce non è adatta al rock e nemmeno al funky.”
“Al country sì, però.”, ribatté Sarah. “Il country nasce dal folk britannico. Comunque sono convinta di poter cantare anche il rock, il pop, qualsiasi genere, scusami l’arroganza.”
“Direi sincerità più che arroganza.” Susan rifletté per alcuni istanti. “In ogni caso, non ho tempo da dedicare a te.”
“Lo immaginavo.”, disse Sarah. “Pensavo a un concerto insieme, uno solo.”
Susan fece “no” con il dito.
“A scopo di beneficenza.”
Susan ridacchiò. “Sei una furbastra, cocca!”
Sarah scrollò le spalle. Nessuno l’aveva mai chiamata “cocca”, ma Susan Driver era nata e cresciuta in Texas, sebbene i suoi genitori fossero inglesi, perciò non si scompose. La esaminò con attenzione. Era bionda, attraente, forse meno fine di Janine, ma con un fondo malizioso che colpiva e attirava. Indossava dei pantaloncini corti; involontariamente diede una furtiva sbirciata alle sue gambe lunghe e tornite. “E’ vero, sono una furbastra, bellina.”, ammise imitando l’accento del sud degli Stati Uniti. “Me lo diceva sempre anche mio padre. Ma perché non farlo? I soldi dell’incasso saranno devoluti ai bambini africani, il pienone è garantito, e tu naturalmente sarai l’attrazione principale. Io terrò la prima parte dello spettacolo. Ti chiedo solo una cosa: lasciarmi cantare un pezzo con te.”
Susan alzò un sopracciglio. “E quale?”, domandò sospettosa.
“Questo.”
Sarah intonò una canzone nuova, che aveva composto il giorno prima. Susan la fissò, poi dopo qualche secondo prese la chitarra e la accompagnò con estrema naturalezza, come se l’avesse già ascoltata per dieci volte. Quando la canzone finì, la ripresero dall’inizio. Era come se fosse scoccata una scintilla magica.