Non era gioia quello che Lucia provava.
Non era l’estasi dell’amore, né il semplice godimento del sesso. Era una sensazione strana, del tutto inedita, inquietante come il gracchiare del corvo che udiva giungere da lontano. Era come immergere una mano in un secchio di acqua bollente e l’altra in un catino colmo di acqua gelida.
Lo sentiva pulsare dentro di sé, un martello di fuoco e di ghiaccio, un martello inesauribile, quasi fosse azionato da una forza gigantesca, fuori dal tempo e dallo spazio. Avrebbe continuato a colmarla all’infinito, pensava, non avrebbe mai smesso se non quando Lui non fosse stato sazio. Si sentiva trasportata in un mondo di follia e di perdizione, un mondo avulso dalle cose terrene, spettrale e irraggiungibile per tutti, tranne che per lei. Una spirale che portava in alto e in basso, un giro di giostra di quelli che fanno veramente urlare per il terrore.
E non era solo questo. C’era di più, molto di più.
Non era andata a letto con molti ragazzi, quattro era il numero esatto. A volte le era piaciuto, in due occasioni aveva finito per annoiarsi; ma in tutti e quattro quei casi aveva sperimentato sensazioni normali, rassicurata in ciò dalle reciproche confidenze scambiate con le amiche, alla sera in un bar o durante la pausa di mezzogiorno, sotto alla doccia della palestra. Adesso la “normalità” non esisteva proprio. No, davvero. All’inizio le era sembrato di sperimentare qualcosa di molto simile a un felice delirio; soltanto all’inizio, però. Poi aveva assistito a un cambiamento – non avrebbe saputo descrivere meglio quanto era avvenuto. Il volto di Flagg aveva mutato aspetto, più precisamente si era trasformato in una grottesca maschera fluttuante, avvolta da una nebbia verdognola. Lui stava sempre sopra di lei, ne avvertiva il respiro, ma il viso si era come dissolto, infine scomparendo completamente alla vista per riapparire in un altro punto della camera. Staccato dal corpo. Sebbene non ne fosse sicura (di norma, non credeva ai marziani), aveva immaginato di scorgerlo mentre la scrutava beffardo dal soffitto. Si era ricongiunto al corpo e il verso del corvo si era levato stridulo. Le parve che fosse molto vicino, lì, a pochi metri dal letto, all’interno della stanza, nonostante la finestra chiusa.
Quando Randall Flagg si sollevò e iniziò a rivestirsi, Lucia fu raggiunta da una certezza evidente come il sole: lui non era venuto. In quanto a lei, non avrebbe saputo dire se aveva avuto un orgasmo, e in tal caso in che momento. Un fatto singolare, ma così era. Quello che sentiva era da un lato una sensazione di sollievo, di liberazione; dall’altro, una specie di rimorso per non essere riuscita a infiammarlo a sufficienza. In compenso percepiva l’amore germogliare in fondo al cuore, simile a un delizioso sottofondo musicale.
Con un brivido di apprensione si chiese se lui fosse rimasto deluso.
Flagg dissipò i suoi dubbi, rivolgendole un sorriso radioso.
Le accarezzò il viso – il contatto con la sua mano le trasmise una vampata di calore e di freddo, nello stesso tempo. Quindi, le scompaginò i capelli. Il gesto affettuoso, forse inatteso, di sicuro gradito, ebbe il potere di toglierle di dosso definitivamente ansia, ripensamenti e ricordi. Soprattutto questi ultimi. Dimenticò le parole che si formavano sulla carta del blocco per appunti senza che lui le scrivesse, scordò ciò che era passato nella sua mente durante il loro amplesso: le stranezze, la paura, quel viaggio in remote terre oscure. Lo stridulo richiamo del corvo si perse, scivolò via, uscendo dai suoi pensieri.
Poi Flagg estrasse da una tasca del giubbotto un mazzo di chiavi, ne sganciò la più grossa e gliela porse. Lucia lo guardò, incerta. Lui annuì, tornando a sorridere. “La prossima volta ceneremo insieme.”, disse. “Sono un ottimo cuoco, te ne accorgerai. Intanto prendi questa: serve per entrare in questa casa. Ora è tua, come tutto ciò che mi appartiene.” Lucia protese una mano. Tremava, ma lievemente. Al tatto, la chiave era gelida come una lastra di ghiaccio.
“Solo una cosa.”, aggiunse l’Uomo Nero. “Puoi andare dove vuoi, niente ti è precluso. Però, non devi mai entrare in quel corridoio nascosto. E’ la mia unica condizione. Come vedi, nulla di speciale.
A Vale veniva da vomitare.
Dibattersi era inutile. L’uomo che stava abusando di lui era molto più forte. Ugualmente tentava di farlo con risultati assai scarsi. Il maniaco – cos’altro poteva essere? – ansimava eccitato. Naturalmente, il membro del ragazzino rimaneva inerte, floscio come un pallone sgonfio. All’uomo sembrava non importare, considerati i mugolii che accompagnavano i suoi gesti. L’alito sapeva d’aglio, di cibo rancido ingurgitato avidamente. Anche il corpo emanava un odore sgradevole, il fetore di chi non è abituato a lavarsi troppo. I vestiti erano impregnati del medesimo pessimo odore.
In lontananza un cane abbaiava; Vale avrebbe preferito di gran lunga udire la voce di Berisha. Non essendo stupido, non implorava pietà sapendo che sarebbe stato perfettamente inutile. Si era imposto di non strillare. Qualche gemito subito soffocato, niente di più. La luna, lassù in alto, assisteva indifferente; un corvo appollaiato da qualche parte osservava la scena gracchiando.
Quando si ritrovò con i pantaloni abbassati e il sedere esposto all’aria, capì con agghiacciante certezza dove lo sconosciuto voleva arrivare. E reagì, seguendo un impulso atavico. Lo stesso dei suoi lontanissimi antenati.
Lungo i fuochi dei bivacchi, i primi uomini pensanti avevano imparato a difendersi. Il Male esisteva già, benché sotto forme diverse da quelle attuali, ma, almeno al momento, non era quello il nemico. Il vero nemico, in agguato nell’oscurità della notte, era un predatore. Erano animali dotati della sottile perfidia di chi ha fame, belve in attesa di balzare addosso a prede indifese. Forse. Perché alcune di tali prede si erano date un’organizzazione, per quanto approssimativa potesse essere. Erano consapevoli della propria debolezza, e di essa si facevano scudo, avevano appreso che era possibile salvarsi la vita utilizzando ogni più piccola risorsa.
Attraverso i secoli, lo spirito di quella gente primitiva era perdurato… e Vale, protendendo un braccio all’indietro, inarcandosi, contorcendosi, afferrò i testicoli di Stradilasi e strinse. Strinse con tutta la forza che aveva. L’urlo di dolore dell’uomo echeggiò, salendo fino al cielo come un disperato latrato.
Nel frattempo, Randall Flagg colpiva su un altro fronte. Era la notte da lui scelta per una prima resa dei conti. Aveva dispiegato le sue pedine, dando loro tutte le indicazioni necessarie, mentre aspettava la visita di Lucia Forni, due giorni addietro. Di Aidan si sarebbe occupato personalmente. Questo in seguito. Dopo aver riso per il suo sgomento.
Paola uscì dall’abitazione di Milena, dove si era fermata a scambiare quattro chiacchiere con l’amica, e lanciò un’occhiata al cielo stellato. E’ una notte stupenda, pensò. Adoro l’estate per questo. Parlare con Milena l’aveva rasserenata, sottraendola all’angoscia causata dalle ultime novità, la morte della povera vecchia e lo sguardo preoccupato con cui Aidan aveva chiesto a Berisha di “scortare” Vale. Se Van Gogh utilizzava i suoi meravigliosi colori per combattere i propri fantasmi, Paola si avvaleva di metodi più prosaici. A ciascuno il suo.
Con passo tranquillo si avviò verso casa. Alla seconda svolta vide la sagoma di un uomo grande e grosso che veniva avanti nella sua direzione. In quel punto sulla destra c’era una tabaccheria, sul lato sinistro della strada un piccolo supermercato. Ovviamente entrambi erano chiusi. Entro breve tempo, questione di un mese, al massimo due, il supermercato sarebbe rimasto chiuso in via definitiva. Il proprietario aveva lottato per anni contro i grandi centri commerciali decidendo alla fine di gettare la spugna. Dopo trent’anni di attività (all’inizio, l’esercizio si chiamava “consorzio alimentare”), avrebbe trascorso le sue giornate dedicandosi alla caccia e alla pesca, a seconda delle stagioni. Essendo un tipo corpulento (nonché un amico di suo padre), a Paola sembrò di ravvisarlo nella figura massiccia che adesso stava a una trentina di metri da lei. L’illuminazione era scarsa, in quella e in altre zone del paese; inoltre una nuvola aveva momentaneamente oscurato la luna, perciò era difficile distinguere con chiarezza le fisionomie degli eventuali passanti. Nel caso specifico, del passante che le veniva incontro.
Quando si trovò a circa dieci metri da lei, corresse l’impressione iniziale: non era il signor Proserpio, che di lì a breve avrebbe sfoltito la fauna dei boschi circostanti. Si trattava di uno sconosciuto. In base alle esperienze passate, Paola si era fatta la convinzione che le persone provviste di un fisico esuberante avessero in comune un carattere gioviale. Questo valeva per il signor Proserpio, per Salvatore il lattaio, per l’amica Milena. L’elenco era lungo.
Ma non comprendeva Bob.
Ognuno di loro veniva chiamato dagli amici con un soprannome o un diminutivo. Così Milena era Milli, Salvatore Salvo. Persino il signor Proserpio ne possedeva uno, benché riservato agli intimissimi.
Bob era Bob, non Roberto. Semplicemente, Bob.
E non aveva amici.
Alla massima velocità consentita dal mezzo (e ben al di sopra di quanto consentito dalle norme vigenti), Aidan correva nella notte. Passò come un turbine Valmadrera, imboccò la superstrada Lecco-Milano, divorò i chilometri e, presa la deviazione per Arosio, giunse a Inverigo. La moto rombava, come se approvasse quella cavalcata mozzafiato attraverso le colline della Brianza. Sembrava dire: accetto la sfida. In fondo, era stata programmata per questo, sebbene poi i troppi divieti le avessero in un certo senso tarpato le ali. Coraggio, campione! Fai vedere di che pasta sei fatto.
Aidan aveva guidato al limite del possibile, sfiorando l’asfalto ad ogni curva, concentrato unicamente sul percorso da compiere. Le difficoltà maggiori erano dovute agli abbaglianti azionati dagli automobilisti più stupidi. Soprattutto se erano a bordo di mezzi di grossa cilindrata. (Un faro uguale aggravante). Sciabolate di luce che rappresentavano un’estensione del pene, meno inconscia di quanto si potrebbe presumere. Gli stessi automobilisti concedevano la replica anche nelle mattine soleggiate, operazione giustificata dall’esigenza di andare all’edicola distante soltanto duecento metri da casa. Per fortuna, la moto aveva tenuto splendidamente.
Era incappato in un ingorgo sulla vecchia statale dei Giovi, nel tratto che dall’uscita della superstrada torna indietro in direzione di Inverigo, situato più a nord. Avrebbe potuto evitarlo, scegliendo un itinerario diverso. Costeggiare le montagne sulla Lecco-Como e poi tagliare verso ovest; ma quella stessa sera era stato rallentato da un incidente proprio in riva al laghetto di Pusiano, nel centro dell’abitato. La terza alternativa – uscire dalla superstrada a uno svincolo precedente – non sarebbe stata malvagia, a patto di conoscerla. Esistevano pure dei sentieri nascosti che una moto avrebbe agevolmente percorso, noti solamente a chi abitava nei paraggi. In circostanze differenti, con uno stato d’animo sereno, al “cavaliere errante” sarebbe piaciuto esplorare quei luoghi perché erano quanto di più simile ci fosse alla Contea degli hobbit. Una cappella votiva, immersa nella vegetazione, sembrava voler proteggere i viandanti. Dal crocicchio dov’era stata edificata si dipanavano quattro piste che scomparivano nel bosco. Un’altra volta magari Aidan si sarebbe recato lì: da bambino ci sguazzava, nei boschi. Un qualunque portatile gli avrebbe suggerito la rotta migliore. E se non è possibile cercare ciò che non si conosce, è altrettanto vero che questa regola non si applica ai depositari della magia. Allo stato presente, comunque, aveva la mente occupata da altri problemi. Non c’era spazio neppure per il dolore alla gamba, nonostante l’ottusa pervicacia con la quale riaffiorava nei momenti meno indicati.
Il motivo dell’assembramento, proprio a un passo dal traguardo, era la presenza di due ragazze slave in abiti succinti (in realtà erano due uomini) che attiravano sfaccendati e viziosi. Aidan aveva frenato l’impazienza e finalmente si era sganciato.
Se c’era una sola possibilità di salvare Vale, l’avrebbe colta. Tuttavia, quando transitò di fronte al municipio, davanti ai suoi occhi l’immagine di Paola subentrò a quella del ragazzino, come in un singolare gioco di ruoli.
Vale si era tirato fuori dai guai, ma Paola era in pericolo. Un energumeno stava per violentarla, dopodiché l’avrebbe uccisa.
Aidan doveva impedirlo.