Quando Meg riprese i sensi, cercò di alzarsi dal letto, ma era impossibile. Era legata mani e piedi e non poteva muoversi. La stanza era avvolta nella penombra, però una luce la feriva agli occhi. Lentamente, cominciò a ricordare. Il dolore. Insostenibile. Le sue urla disperate. Infine, la promessa di morte. Nessuno sarebbe mai riuscito a trovarla e quella promessa sarebbe stata mantenuta. Si domandò cosa era successo. La testa le pulsava e faticava a concentrarsi. Le scosse elettriche. La sofferenza inaudita. Ancora sofferenza. Ma perché? Poi rammentò tutto, fin dall’inizio. Fu colta da un terrore indicibile. Sapeva che, prima di morire, l’avrebbe torturata di nuovo. Sapeva che avrebbe supplicato invano. Sperò di impazzire. Non aveva altro in cui sperare.
Poi udì i passi.
Heather esaminò cupamente per la quarta volta il breve messaggio battuto a macchina che qualcuno aveva infilato nella cassetta della posta. Catherine contemplava la strada, affacciata alla finestra. Patricia piangeva. Non si trattava di uno scherzo, lo sapevano tutte e tre. Perché Meg era scomparsa.
Il messaggio era chiaro. Poche agghiaccianti parole. La vostra amica, la sgualdrina, morirà a breve. Ma non prima di aver subito un duro castigo. E’ in un luogo isolato e urlerà, invocherà pietà, piangerà, senza che anima viva se ne accorga. Merita la punizione che io le infliggerò.
“Un pazzo!”, esclamò Heather, gettando per terra il foglio di carta che conteneva quel sinistro avvertimento. “Dobbiamo fare qualcosa!”
Catherine si voltò. “Piangere non serve a nulla.”, disse in tono freddo, rivolta a Patricia. Quindi, spostò lo sguardo su Heather. “E nemmeno fare scene isteriche.”
“Tu non sai…”
“Oh, certo che lo so. E anche Patricia lo sa. Ma non credere che le vogliamo meno bene di te. Forse non la amiamo, comunque è una differenza relativa. Ciò che conta è che è una di noi.”
“E allora?”, domandò aggressivamente Heather.
“E allora proviamo a ragionare con calma.” Catherine si versò da bere. Il caffè ormai era freddo, ma non se ne accorse. Era immersa in profondi pensieri. La chiave era il messaggio. “Un pazzo.”, disse. “Questo è irrilevante, che sia vero o meno. Invece, sono importanti le parole, e precisamente: duro castigo e merita la punizione. Di norma, perché una persona viene punita?”
“A causa di qualcosa che ha fatto.”, osservò Patricia.
“Meg non ha fatto niente di male!”, gridò Heather.
“Dal tuo punto di vista.”, la corresse Catherine. “Prendiamo in considerazione altre visuali, altri modi di vedere le cose.”
“E’ legato a una sua indagine.”, disse Patricia, annuendo.
“Già. E deve essere un’indagine recente. Il “pazzo” la definisce “sgualdrina”: un sintomo di odio, di rabbia, un’emozione che non può essere repressa a lungo. In caso contrario, quella specie di lettera sarebbe stata scritta in modo più freddo. La punizione, poi, coinvolge anche noi: altrimenti, perché avvisarci? Semplice, per farci soffrire. Perciò, si tratta di qualcosa che Meg ha iniziato, ma che abbiamo portato a termine tutte e quattro. Nella mente di chi l’ha rapita, lei è la principale colpevole, tuttavia non l’unica.”
Catherine si avvicinò allo schedario, ne trasse alcuni fascicoli che posò sulla scrivania. Li indicò con un dito. “Qui troveremo la risposta.”
Era a piedi nudi; le erano stati tolti calzini e scarpe da ginnastica, ed era lì che si erano dirette le scariche. Uno dei punti maggiormente vulnerabili del corpo.
“Ti prego, ti scongiuro: abbi pietà! Sto impazzendo.” Anche se era umiliante perdere così il controllo, Meg non riusciva a trattenersi. La sofferenza era atroce, non aveva mai sperimentato niente di simile in vita sua.
“Hai fretta di morire? No, sgualdrina, abbiamo molto tempo davanti a noi. E mi stupisce la tua scarsa intelligenza: non capisci che le tue suppliche mi riempiono di soddisfazione?”
Meg svenne, ma fu sufficiente un secchio d’acqua gelida per farla tornare in sé.
E il tormento riprese.
Immobilizzata al letto, Meg pensò che, se esisteva l’inferno, lei ne faceva già parte.
Patricia depose la cornetta del telefono. “Non c’è nulla di intestato a nome suo, ma una mia “fonte” sa che possiede una seconda casa, in campagna, un posto sperduto.”
Era alla decima telefonata.
Catherine la fissò, riflettendo.
Heather scattò in piedi. “Andiamo!”
Catherine la guardò. “Sì, andiamo. Sperando che non sia troppo tardi.”
Heather aveva il volto rigato di lacrime.
Catherine la abbracciò. “Coraggio, ce la faremo.”
La donna era molto alta. Circa un metro e ottanta, si disse Meg. Aveva le spalle larghe e gambe e braccia forti e muscolose. Benché non fosse bella, né graziosa, aveva un aspetto attraente. Ed era particolarmente gentile. “Non desidero soldi da lei.”, affermò con un sorriso. “Le chiedo soltanto di leggere questo opuscolo per comprendere la parola del Signore, il Suo Verbo.”
“D’accordo.”, acconsentì garbatamente Meg. “Intanto, le preparo un caffè.”
“Non si disturbi. Sa, il mio giro non è ancora finito.”
Uscirono entrambe. Il piccolo prato che separava la villetta dalla strada era illuminato dal sole. Meg le porse la mano. A un tratto, provò un brivido di apprensione, uno strano presentimento. Gli occhi della sconosciuta sembravano colmi d’odio.
Un istante dopo, la donna la sollevò di peso e la portò verso la macchina. Meg tentò di lottare, ma era stretta in una morsa di ferro. Le mancava il respiro. Fu scaraventata nell’auto. Mentre l’altra raggiungeva il posto di guida, aprì la portiera e corse verso casa. Sentiva i passi di quella squilibrata che la seguivano. Lei è più forte ma io sono più veloce, pensò.
Era a un metro dalla porta, quando venne colpita alla testa.
Fu l’inizio del suo personale inferno.
Catherine affrontava le curve come un pilota di Formula Uno. Accanto a lei, Heather trepidava. Meg era l’amore che non aveva mai avuto, inizialmente soltanto un sogno che lei giudicava irrealizzabile, ma adesso realtà: non più un sogno, bensì la consapevolezza di una grande gioia. L’idea di perderla era insopportabile.
Dietro a loro, Patricia pregava in silenzio.
Abbandonarono la statale per imboccare un sentiero sterrato.
La casa era lì, in fondo. Aveva un aspetto cupo, ma forse era solo suggestione.
“Bene. Sei pronta per il viaggio?”
Meg ansimò. Se prima si era augurata la morte, ora era in preda al panico. Desiderava vivere.
“Non voglio morire!”, urlò.
Jane, la moglie di Bugsy, rise. “Non sta a te decidere, sgualdrina. Non avresti mai dovuto impicciarti degli affari di mio marito. C’è un prezzo da pagare.” Si sedette su di lei, schiacciandola sotto il suo peso, prese un cuscino e glielo premette sul viso.
Mentre soffocava, Meg non riusciva nemmeno a dibattersi.
La mancanza di ossigeno era terribile. Il suo ultimo pensiero, rivolto a Heather, svanì… mentre la vita la abbandonava.
Non sentì il rumore di uno sparo.
Attraversò un lungo tunnel buio; in lontananza scorse una luce.
Quando, in un letto d’ospedale, riemerse dalle tenebre, la prima cosa che vide fu il volto di Heather.