Nel suo ufficio al quarto piano di Yazenevo, Ivan Ivanovic Volkov, l’uomo che era a capo della quarta sezione della prima direzione centrale del KGB, ascoltava attentamente ciò che Anatoliy Kozlov aveva da riferirgli. Poi prese in mano il dossier che l’altro gli porse.
I due non erano amici. Kozlov dirigeva la quinta sezione che fra le altre nazioni comprendeva Italia e Grecia. Volkov, che veniva dal campo e aveva rischiato varie volte la vita, lo considerava un ambizioso Apparatcik, un grigio burocrate il cui orgoglio era di gran lunga superiore alle sue capacità; ma nel presente caso avevano collaborato.
Come sempre, il fascicolo era esaustivo. In Unione Sovietica non esistevano documenti che non fossero ricchi di particolari, dai più insignificanti (ma non vi era mai nulla di insignificante, pensava Volkov) ai fatti veramente importanti. Ogni individuo era schedato, e ciò valeva anche per i personaggi più potenti: il controllo era un’ossessione, e apparteneva tanto a Yazenevo quanto alla Lubjanka. Il profilo delle persone prese in esame ripercorreva dettagliamente tutto il cammino compiuto, dall’infanzia all’età attuale. In quel clima che può essere definito di cupa paranoia, prima e seconda direzione centrale si sorvegliavano a vicenda.
Come sua abitudine, Volkov lesse rapidamente. Nome e cognome. Genitori. Studi svolti. Altezza. Peso. Caratteristiche particolari. Note di merito. Arrivò al punto cruciale. Agente del SISDE, infiltrata nei gruppuscoli sovversivi di sinistra – gli utili imbecilli, avrebbe detto Lenin -, dove godeva di una certa influenza; in realtà, “reclutata” dal KGB per merito di un brillante agente illegale che operava prevalentemente in Italia.
Studiata ai raggi X, aveva superato tutte le prove: era una leale sostenitrice dell’Unione Sovietica e, dato che parlava perfettamente il russo, era previsto che nel giro di tre anni sarebbe stata promossa e trasferita a Mosca. Era dotata di un’ottima mira, sapeva battersi ed era intelligente e perspicace. Per una pura coincidenza, in quei giorni si trovava a Cipro in viaggio premio; e per un caso fortuito era stata rapita da Matrioska. Volkov si lasciò sfuggire una risata. “Stavrogin è sempre stato fortunato.”
“No.”, disse Kozlov. “Avrebbe comunque fatto in modo di incontrarlo.”
“Lui sa?”, domandò Volkov.
“Per il momento, no. Lo scoprirà fra breve.”
Volkov annuì. “Ben fatto, compagno.”
Il segnale di Ivana!
Questo significava che lo avevano individuato e seguito. Per Aleksandr la parola di un nazista valeva meno di zero, ciò nonostante era portato a credere che Altmann sarebbe venuto da solo. Per orgoglio. Per desiderio di vendetta. Il che voleva dire che, come aveva previsto, il tedesco era stato pedinato. E voleva anche dire che adesso si trovava in un punto imprecisato dietro di lui. In tal caso, sarebbe stato un bersaglio facile, però poi sarebbe intervenuto l’agente del SIS o la donna della CIA. Chiunque dei due fosse, Ivana non era in grado di fermarli: loro erano professionisti, lei una ragazza volenterosa che cercava di rendersi utile, ma il cui compito si era esaurito quando aveva acceso per la seconda volta lo zip. Altro non poteva fare.
Un problema alla volta, si disse.
Si mosse lateralmente, scrutando intorno a sé, e in quel momento gli giunse nitido il suono di due voci femminili, entrambe alterate; poi un rumore di lotta. A causa del vento o della disposizione delle rocce sulla spiaggia, che erano posizionate a intervalli quasi regolari sulla sabbia, percepiva pressoché distintamente quanto avveniva a qualche decina di metri di distanza. L’italiana e l’americana si stavano battendo. Povera Ivana, pensò.
Un’esitazione che si dimostrò fatale.
Fu questione di un attimo e percepì un odore particolare, che ben conosceva. Reagì con grande prontezza. Spiccò un balzo, e contemporaneamente chiuse gli occhi e si tappò il naso. Se avesse esitato per un solo istante, sarebbe stato fuori gioco per almeno due ore. Gas paralizzante. Difelinammina. Il vento dissolse la piccola nube tossica, senza che Aleksandr riportasse danni rilevanti, ma quando si rialzò era lievemente confuso e l’Uomo di Ghiaccio era di fronte a lui. E aveva una pistola in pugno.
“Due parole, prima di accommiatarci per sempre.”, disse con calma Altmann. “Mi piacerebbe parlare più a lungo con lei, tenente, purtroppo però dietro di noi ci sono due gatte che si stanno accapigliando, e poiché vincerà la gatta americana non vorrei trovarmi con una pallottola nella schiena. Non sono uno stupido e ho capito le sue intenzioni. Qualcosa, comunque, le dirò. Conosco Berlino meglio di tutti voi. Conosco ogni buco, ogni passaggio segreto, ogni possibile anfratto. E continuerò a colpire, a dispetto di tutte le precauzioni che prenderete… mi scusi, che prenderanno i suoi successori. Mi farò beffe dei vagoni blindati, dei posti di controllo, e la mia rete si estenderà sempre più. Alla fine, il Reich vince sempre. Come si diceva ai tempi gloriosi? Deutschland über alles! Beh, quei tempi torneranno. E molto presto, caro tenente.”
Altmann prese la mira.
Stavrogin batté i tacchi.
Risuonò uno sparo.
Dall’altra parte del mondo, a Langley, in Virginia, era pomeriggio. Monica Squire si alzò dalla scrivania per stringere la mano a John Lodge, che d’ora in avanti avrebbe affiancato, vista la difficile convivenza con Howe. John le sembrò un tipo aperto e solare. La invitò al bar, dove ordinarono due caffè doppi. “Qualche piccolo problema di rivalità femminile?”, le domandò con un sorriso, prima di sorbire la bevanda calda. Aveva un bel sorriso, pensò Monica. “Sembrerebbe.”, rispose. Sapeva che sarebbe stato inutile aggiungere altro: sicuramente Lodge conosceva a memoria il suo dossier.
“Succede in tutte le migliori famiglie, ma sono sicuro che noi andremo d’accordo. Tanto per cominciare non sono bello come Kris!” Risero entrambi, e Squire si rese conto che John possedeva il raro dono di mettere a proprio agio la gente.
Lui bevve il caffè, poi divenne subito serio. “Più tardi ti mostrerò le foto della mia famiglia, una moglie e una figlia: si usa fra bravi colleghi; ma adesso dobbiamo occuparci di un problema che forse piccolo non è.”
“Devo preparare la valigia, agente Lodge?”
“Chiamami John. No, nessuna valigia. Ci saranno due diversi tipi di intervento, uno in loco e uno qui a livello di coordinamento, classificazione dati, etc. Qualora la cosa si rendesse necessaria, qualcuno ai piani alti si metterà in contatto con il Segretario di Stato. Il nostro compito è di verificare certe informazioni per poi analizzarle. Ma parleremo meglio nel mio ufficio.”
La guidò lungo un corridoio. La sua porta era la terzultima a destra. Entrò, si sedette a cavalcioni su una sedia, liberandosi della cravatta, e ne indicò un’altra a Monica, che si accomodò come lui. Anche se indossava una gonna piuttosto corta, Lodge non si sognò di sbirciarle le gambe. Un altro punto a suo favore. La donna si guardò attorno: era un ambiente di modeste dimensioni, molto pulito e ordinato; sulla parete di fronte alla finestra notò le famose fotografie, senza tuttavia soffermarsi a esaminarle. Lodge si protese per prendere un fascicolo da un ripiano.
“Un rapporto da Roma.”, disse. “Italia.”
Il cervello umano è simile a un computer: raccoglie un’infinita quantità di informazioni, ma, a differenza dei pc più obsoleti, a seconda dell’intelligenza, della capacità di discernere quelle utili, separandole da quelle ininfluenti, come farebbe un cercatore d’oro, si crea man mano un vasto bagaglio di conoscenza. Questo, naturalmente, non vale per tutti. Uno psicopatico tratterrà notizie che la sua mente distorta reputa a torto vitali. Un individuo di scarso comprendonio si lascerà sfuggire dati che in realtà gli potrebbero servire. Un uomo mediocre si accontenterà di immagazzinare un numero assai ridotto di input.
Ma un agente del KGB, reduce da un addestramento Spetsnaz, è una macchina.
In un millesimo di secondo, Matrioska comprese di aver commesso un secondo errore. Si era lasciato distrarre dalle voci concitate delle due donne che stavano lottando sulla spiaggia; questo errore ne racchiudeva un altro, ancor più grave: si era immedesimato in Ivana, aveva temuto per la sua sorte.
Se fosse sopravvissuto, il che era praticamente impossibile, avrebbe appreso una nuova lezione che avrebbe inserito in un luogo sicuro della mente.
Il rumore dello sparo lacerò la notte, mettendo in fuga gli ultimi gabbiani.
Stavrogin non provò dolore.
Vide, invece, Altmann barcollare. Poi il tedesco ringhiò: “Ci rivedremo ancora, tenente!”
Un istante dopo, era scomparso.
Matrioska pensò di inseguirlo, sebbene fosse più facile a dirsi che a farsi; era illeso ma un po’ di gas lo aveva comunque raggiunto e provava un vago senso di intorpidimento. In ogni caso, fu distratto da una nuova presenza.
Una giovane donna forte e atletica.
Ivana guardò in alto. La luna era completamente oscurata, le stelle solo pallidi puntini. “Non lo troveremo mai. Occupiamoci piuttosto dell’americana.”
Camminarono sulla sabbia, cercando di non finire contro un masso.
Il tragitto fu breve. L’italiana puntò un dito in direzione di un avvallamento.
La donna della CIA era legata mani e piedi. Ivana passò la Tokarev a Matrioska. “Con lei non mi è servita.”, disse scrollando le spalle con fare modesto.
“Chi sei?”, le domandò il russo.
“Nome in codice “Stella Rossa”. KGB, prima direzione centrale.”
Aleksandr la fissò pensoso. Poi indicò l’americana che li guardava con gli occhi colmi di terrore. “Sta a te decidere.”
“Ha sentito troppo.” Ivana rifiutò la pistola. “Ci sono altri metodi.”
“Pietà! Non voglio morire!”, gridò Kris Howe.
“Desiderio legittimo, ma irrealizzabile.”, dichiarò l’italiana con voce piatta. La trascinò fino al mare, mentre Kris continuava a urlare, vide che l’acqua era troppo bassa e si mise a cavalcioni su di lei. Aleksandr osservava impassibile la scena. Pietà! Quante volte avrebbe sentito quell’implorazione, quella supplica, che apparteneva ai deboli. Nel mondo in cui viveva non c’era posto per essa, non era consentito indulgere a sentimenti di compassione.
Per tre minuti Kris scalciò disperatamente, per quanto le era consentito dai nodi. Alla fine ogni movimento cessò.
Ivana tornò da Stavrogin. “Era una prova, vero?”
Matrioska annuì.