In attesa che l’arma fosse pronta, Yarbes non restò con le mani in mano. Lui e Monica alloggiavano al Palais des Dunes, in un grazioso appartamento provvisto di due camere da letto, di un bagno, cucina, soggiorno e di un piccolo giardino. Il Palais des Dunes è un’ampia costruzione situata all’inizio della Croisette, sul lato est, vicina al porto nuovo. Non sono consentiti contratti di locazione inferiori a un mese, ma questo naturalmente non rappresentava un problema.
Al mattino Yarbes si svegliava presto, preparava da sé la colazione, si lavava e si radeva, quindi usciva senza svegliare Monica, ed esplorava la città.
Alle prime luci dell’alba, infilava un paio di grossi occhiali scuri e si appostava nei pressi dell’hotel Martinez. Quando Matrioska usciva dall’albergo, in genere di buon’ora e da solo, Yarbes lo seguiva tenendosi a debita distanza. Non ricorreva a nessuno dei banali trucchi di cui si servono gli agenti più sprovveduti: niente giornale dietro al quale nascondersi, qualora il russo si fosse voltato, niente vetrine da fingere di guardare, nessuna sigaretta da accendere chinandosi per sfuggire al vento. Matrioska conosceva questi e almeno altri dieci stratagemmi. Semplicemente, Yarbes si affidava all’esperienza. Non gli stava sempre alle costole, anche perché non era necessario, e quando cominciò a individuare i suoi due o tre percorsi preferiti (il porto vecchio, dove Matrioska contemplava per ore le barche, le vie interne e la Croisette), talvolta lo precedeva.
Annotava meticolosamente su un taccuino orari e abitudini, e allorché fu soddisfatto smise di pedinarlo. Aveva appreso ciò che gli interessava sapere: alla sera il sovietico, accompagnato da una bionda appariscente, cambiava spesso ristorante; invece consumava sempre i pasti di mezzogiorno nello stesso posto, un piacevole locale che dava sul mare. Era ubicato in Boulevard Jean Hibert, il lungo litorale situato oltre la Croisette, in direzione della Napoule, cioè a ovest della città. Qui mangiava da solo. Per comodità o per un vezzo, quando si sedeva a tavola immancabilmente toglieva le lenti a contatto che poi riponeva con cura in un astuccio.
Yarbes si augurava due cose: che Matrioska non partisse all’improvviso, e che continuasse a tornare nello stesso ristorante. Ma ovviamente non era abituato a basare i suoi piani sulla speranza. Riguardo alla durata della sua permanenza a Cannes, esistevano due modi per appurarla. Avrebbe potuto entrare nel computer dell’albergo, oppure più semplicemente scambiare quattro chiacchiere con il portiere. Trecento dollari passati con discrezione da una mano all’altra gli fornirono la risposta. Matrioska avrebbe lasciato l’hotel Martinez, dopo tre giorni dalla consegna dell’arma. Ciò significava che Yarbes avrebbe potuto prepararsi con tutta calma. Nell’ipotesi che alla data stabilita il russo avesse scelto un altro ristorante, Yarbes avrebbe improvvisato. Non era certo la prima volta che lo faceva.
Al giorno convenuto si recò dall’armaiolo.
L’arma non era pronta.
Yarbes fissò freddamente il francese. “Mi avevano garantito che lei era un professionista, forse il migliore, ma evidentemente si sbagliavano.”
“No, monsieur. Avevo detto subito che sarebbe stato molto difficile. Sto preparando un vero e proprio bijoux, ma ci vuole tempo!”
“Aveva comunque promesso che avrebbe finito il lavoro per oggi… intascando metà della somma dovuta.”
“Posso renderle il denaro, se è questo che desidera.”
“No.”, disse Yarbes. “Io desidero avere l’arma, e nei tempi concordati.”
L’altro abbassò lo sguardo, a disagio.
Yarbes lo costrinse a sollevare il mento per poterlo guardare negli occhi. “Se al mio posto ci fosse qui l’uomo che farà da bersaglio, lei sarebbe già morto.”
“E’ possibile.”, ammise il francese. “Però, dove andrebbe poi? A Marsiglia? Ci sono dei buoni artigiani, è vero, ma prima sarebbe necessario trovarli e, in ogni caso, nessuno di loro vale quanto me.” Si scostò con l’aria risentita. “E’ solo un piccolo ritardo! Non una tragedia.”
Yarbes era furibondo, ma sapeva controllarsi. “Quando?”
“Monsieur, al più presto.”
“Quando?”
“Domani l’altro. Alle otto di mattina. Trascorrerò la notte in bianco.”
Yarbes rifletté rapidamente. Se il francese avesse mantenuto la promessa, sarebbe stato ancora in tempo. E se non l’avesse mantenuta, lo avrebbe ucciso.
“Bene. Domani l’altro. Alle otto di mattina. Con me avrò i soldi. Ma non solo quelli: avrò anche un cappio.”
Il francese impallidì. “Non sarà necessario, monsieur. Lo giuro.”
Yarbes si avviò alla porta.
“Un’ultima cosa.”, disse l’armaiolo. “Cerchi di presentarsi come se fosse in procinto di andare a giocare a golf.”
Elke era la compagna ideale per una vacanza, pensava Aleksandr.
Era attraente, abile e insaziabile a letto, era sufficientemente colta per non risultare noiosa; amava mangiare bene e scegliere con cura i migliori vini; era spigliata e divertente: ma non anelava a nulla in più di quanto lui le potesse dare. Quando fosse tornato in Unione Sovietica, non si sarebbero più rivisti, il che era quello che lui voleva. Certamente, non a causa di Tamara. Fra Matrioska e Tamara il rapporto era più o meno lo stesso, tranne che per il fatto che si frequentavano da anni.
Aleksandr non desiderava impegnarsi in una storia vera. Non era mai accaduto in passato e non sarebbe mai successo in futuro.
Mentre osservava con vivo interesse uno scafo slanciato, ormeggiato a una delle estremità del molo, prese in considerazione il suo nuovo futuro. Sarebbe diventato un pezzo grosso della Prima Direzione Centrale. Il KGB si divideva in due settori principali: la Prima Direzione si occupava soprattutto dell’attività esterna, fuori dei confini dell’immenso impero; la Seconda Direzione vigilava invece all’interno. Entrambi i compiti erano molto importanti. Non mancava la rivalità, un po’ come fra CIA e FBI negli Stati Uniti, e il lavoro era spesso noioso a causa della gigantesca mole di incartamenti che andavano esaminati, vivisezionati, controllati e ricontrollati. Ma non avrebbe svolto a lungo quel compito. L’uccisione di John Lodge era stato il suo canto del cigno, e i tre o quattro anni che avrebbe trascorso a Mosca un modo per concludere bene una grandissima carriera.
Poi avrebbe rivisto il suo dragone e la casa davanti alla baia; avrebbe riassaporato l’odore del mare e del vento: ma questa volta per sempre.
Era una visione che gli piaceva. Il miglior tramonto possibile per chiudere una vita lunga e avventurosa. In questo quadro, un abile pittore dell’anima probabilmente avrebbe inserito una figura femminile. Aleksandr la vide con gli occhi della mente. Vide il suo corpo agile ma forte, l’espressione estatica che assumeva quando raggiungeva l’orgasmo ma anche lo sguardo che poteva farsi duro, e la determinazione che trapelava da quello sguardo. Monica Squire sarebbe potuta essere la donna del dipinto immaginario. Con lei – Aleksandr lo sentiva dentro di sé – forse avrebbe potuto ottenere ciò che non aveva mai avuto. Amore? Felicità? Beh, sicuramente qualcosa di simile.
Tuttavia, se era contento di non averla uccisa, questo non gli avrebbe impedito di farlo, nel caso di un nuovo ipotetico incontro. Matrioska era stato addestrato a eseguire gli ordini, e non avrebbe mai tradito la fiducia di un superiore. Al pari di Vladimir Putin, sebbene senza saperlo, anch’egli avvertiva il degrado crescente, il declino continuo e ormai pressoché inarrestabile dell’Unione Sovietica. Ma il suo dovere non cambiava: servire la patria ed eliminare i nemici. Se fosse nato in Germania intorno agli anni Venti, sarebbe morto durante l’ultima disperata difesa di Berlino.
Monica apparteneva alla CIA. Non un semplice avversario, quindi, ma il nemico numero uno.
Il quadro fantasioso svanì così com’era arrivato.
Nessuna donna con lui.
Soltanto il suo vecchio dragone.
Monica si sentiva del tutto inutile.
Era confinata fra le quattro mura dell’appartamento con la proibizione assoluta di uscire. Yarbes le permetteva soltanto una breve passeggiata serale, ma mai in direzione dell’hotel Martinez. Non doveva allontanarsi dal piccolo quartiere posto alle spalle del Palais des Dunes. Quella passeggiata serale costituiva il suo unico momento di svago. Faceva la spesa ed esplorava le strade situate ai due lati della ferrovia. Perlopiù i negozi di quella zona erano piccoli e modesti, ben diversi da quelli del centro, e non avevano molto da offrire. In un paio di occasioni ignorò le istruzioni del collega e, con un foulard in testa, scese fino alla spiaggia senza però allontanarsi troppo e soprattutto evitando di procedere verso il porto vecchio.
Trascorreva la maggior parte delle giornate da sola e ciò la induceva a pensare. I pensieri non erano gradevoli. In Afghanistan si era comportata egregiamente, aveva anche abbattuto un Hind; tuttavia non poteva dire altrettanto di quello che aveva fatto in America.
Aveva tradito John Lodge. Sebbene davanti alla commissione disciplinare si fosse difesa, e benché la irritassero gli sguardi ironici che riceveva nei corridoi di Langley, nel profondo del suo cuore non ignorava che loro avevano ragione, e lei torto. Adesso, per causa sua, Sherilyn non aveva più un marito e la piccola Susan era senza il suo papà. Yarbes le aveva spiegato il motivo per il quale era stata sorprendentemente prosciolta. Era stata una decisione “politica” del direttore della CIA. Non c’era da andarne fiera.
Monica si affacciò alla finestra e cercò di cambiare corso ai suoi pensieri.
Matrioska… se non fosse appartenuto al KGB, se non avesse ucciso Lodge e decine di altre persone, se non avesse avuto l’assoluta certezza che lui non avrebbe esitato un istante a sopprimerla… avrebbe potuto amarlo.
E non soltanto perché avevano fatto l’amore assieme in maniera divina. Avrebbe voluto eliminare, una a una, tutte le bambole che componevano il mistero di quell’uomo; scavare a fondo, fino a raggiungere la sua nuda anima, e indirizzarla in tutt’altra direzione. Sciogliere quel gelo interiore, vedere i suoi occhi aprirsi al sorriso, dare un senso diverso a un’esistenza che le sembrava dura e insensata.
Insegnargli ad amare.
Trasse un profondo respiro.
Ma questo non era il loro destino.