I nemici, e non ne aveva pochi, lo chiamavano lo Squalo. James Rodixidor, invece, chiamava se stesso il Migliore. Scaltro e dotato di un’intelligenza diabolica, non aveva mai perso un processo. Scrutò la giuria e annuì soddisfatto.
Maria Rosaria Ili, Marirò per il marito, era un giudice di vasta esperienza e di assoluta, nonché provata, severità. Riteneva quel dibattimento alquanto noioso, comunque lanciò uno sguardo al legale. “Può procedere”, disse, scandendo bene le parole, ed evitando di far emergere l’accento texano.
Sebbene apparisse tedioso agli occhi del giudice, si trattava di un caso curioso, in quanto la querelata aveva a sua volta denunciato la parte lesa per percosse e quindi a livello penale. Malauguratamente il suo avvocato, che anni prima era stato un principe del foro, era diventato un alcolizzato e aveva combinato un pasticcio. A causa di un vizio di forma, la causa non sarebbe mai approdata nell’aula di un tribunale. J.P. Newwhitebear, il legale, aveva fatto notare alla sua cliente che in ogni caso mancavano testimoni e pertanto le probabilità di vincere erano praticamente nulle, il che era vero anche se rappresentava un tentativo di scagionarsi. “Mi ha pestata!”, aveva esclamato furibonda Alexandra White. “Me le ha date di santa ragione!”
“Certo, ma nessuno ha assistito alla scena.”
Benché fosse inviperita, White non aveva cambiato avvocato.
Rodixidor iniziò a parlare. In tono pacato dichiarò che avrebbe dimostrato senza la minima ombra di dubbio che alla sua assistita era stato rubato un manoscritto. Era vestito in maniera impeccabile: un completo grigio di sartoria, scarpe italiane, cravatta annodata perfettamente. Come sempre, era rilassato e sicuro di sé. Puntò un dito in direzione di White e la voce si fece aspra. “Approfittando di un’amicizia che la mia assistita credeva sincera, questa… signora ha sottratto il frutto di un anno di fatica con lo scopo fraudolento di spacciarlo per suo.” Nadia Been annuì varie volte.
I giurati ascoltavano con estrema attenzione. Erano il risultato di una dura battaglia fra Rodixidor e Newwhitebear. Ciascuno dei due ne aveva scartati dieci, ma mentre Rodixidor era ragionevolmente soddisfatto dell’esito, Newwhitebear nutriva seri dubbi su almeno tre di loro. In compenso, sentiva di poter contare su altri due. Il suo obiettivo era di far sì che non si giungesse a un verdetto o, meglio ancora, che White venisse scagionata. Il portavoce dei dodici giurati, tale Willyco, risultava il più enigmatico; questo per una ragione molto semplice: anch’egli scriveva. Ambedue gli avvocati avrebbero voluto escluderlo, però avevano esaurito il numero delle scelte.
Rodixidor annunciò che avrebbe chiamato a deporre insigni studiosi del linguaggio, i quali avrebbero confermato che lo stile di scrittura di “2693 D.C.”, il romanzo uscito a nome di Alexandra White, apparteneva inequivocabilmente a Nadia Been. Non si trattava di un plagio, ma di un autentico furto! Vi erano poi dei testimoni più che attendibili con cui Been si era confrontata durante la stesura dell’opera. Concluse la dichiarazione preliminare sollecitando la giuria ad emettere un verdetto esemplare, ringraziò e andò a sedersi al suo posto.
Toccò a Newwhitebear. Indossava un abito sgualcito, una logora camicia azzurra e un cravattino fuori moda che mal si intonava con la giacca. Era un suo vecchio trucco: lui non era un borioso avvocato che si faceva strapagare, non possedeva un aereo privato, né uno yacht. Era un uomo del popolo, semplice e genuino. Cominciò raccontando del pestaggio. La signora Been aveva picchiato la sua cliente, perché era una donna violenta. Spiegò in modo un po’ oscuro il motivo che aveva impedito a White di trascinarla in un tribunale. Calcò la mano, soffermandosi sull’immagine di una White in lacrime, spaventata, umiliata e sofferente. Aggiunse che “2693 D.C.” era farina del suo sacco e sfidò la controparte a provare il contrario. Descrisse la fatica, l’impegno e la dedizione che erano occorsi per scrivere il libro. Terminò appellandosi al senso di giustizia dei giurati: Alexandra White era doppiamente vittima. Aveva subito un duro pestaggio e ora si voleva privarla di ciò che era dovuto solamente al suo ingegno.
Il giudice soffocò uno sbadiglio e aggiornò la seduta all’indomani.