Sgranai gli occhi per la sorpresa, ma mi ricomposi immediatamente.
Il “dottore” era Tony, mio zio.
Rivolse lo sguardo a Chiara ed esibì un sorriso compiaciuto; solo io notai quanto fosse freddo quello sguardo. “Perfetta!”, disse. Dovetti convenire con me stessa che era un ottimo attore: sembrava veramente intrigato dalla visione di quel giovane corpo efebico, che univa l’innocenza della pubertà al sex-appeal di una ragazza comunque prossima al passaggio da crisalide in farfalla. Non me ne intendo di queste cose, però credo che per un pervertito questo mix rappresenti il massimo della lussuria. Senza contare che Lucia sarebbe stata frustata a sangue da un’altra donna, e so che molti trovano irresistibili questi particolari giochi. Per appurarlo è sufficiente andare su “Google” e digitare alcune parole chiave.
“I soldi!”, lo sollecitò Giulio. Mio zio gli porse un assegno, un normale assegno bancario.
“Un milione di euro. Magnifico.”, disse Giulio. Poi lo colpì con un violento destro alla mascella. Mio zio finì contro la parete barcollando. “Pezzo di merda, nessuna banca al mondo pagherebbe una cifra simile. Un assegno, poi! Qual è il tuo gioco? Chi credi di prendere in giro?”
Lo colpì di nuovo, questa volta allo stomaco. Mio zio si piegò in due.
Volevo intervenire, ma Maria Luisa mi si parò davanti. Mi sovrastava in peso e in altezza; inoltre, aveva la frusta in mano. Mi rintanai in un angolo. Maria Luisa mi indicò. “Quei due sono d’accordo.”
Giulio annuì, scuro in volto. “E allora dovranno morire tutti e tre.” Nell’udire quelle parole, la donna sorrise. Fu in quel momento che compresi la differenza che li separava: Giulio era un uomo gelido, privo di sentimenti, attaccato soltanto al denaro; Maria Luisa, invece, era un misto di pazzia e di crudeltà. Le piaceva quello che faceva. Dopo una breve riflessione, Giulio fece un cenno alla sua complice. Maria Luisa sciolse i nodi che immobilizzavano Lucia. “Alzati.”, le ordinò. La ragazza obbedì. Tremava visibilmente. Giulio estrasse la pistola dalla giacca e la puntò su mio zio. “Andremo in un posto tranquillo, isolato, dove troveremo anche un adeguato luogo di sepoltura.”
“Bastardi!”, gridai, fuori di me.
Maria Luisa mi sferrò un pugno nello stomaco, strappandomi un gemito di dolore. Poi mi afferrò per un braccio e mi sospinse verso la porta.
Uscimmo dall’appartamento, dirigendoci verso l’ascensore: io per prima, seguita da mio zio, da Maria Luisa e da Chiara. Giulio chiudeva la fila.
Prima che io potessi pigiare il tasto luminoso, Tony mi diede uno spintone, si girò di scatto con una pistola fra le mani e prese di mira Giulio. “Sei un dilettante.”, disse con disprezzo. “Non mi hai neanche perquisito! E poi non hai il silenziatore.”
Giulio reagì con grande prontezza di riflessi, prendendomi per i capelli e infilandomi l’arma in bocca. “Questo piano è disabitato. E prima che tu possa spararmi io ucciderò lei.”
La risposta di mio zio mi sconcertò. “Non è un problema.”, disse con calma. Malgrado le botte che aveva subito, si esprimeva in modo chiaro e pacato. “Io sono suo zio, ma lei non è più mia nipote. E’ una depravata, la sua sorte mi è indifferente. Io voglio solo punire voi, e salvare la ragazza. Quando premerai il grilletto, sarai un uomo morto.”
Giulio per un attimo sembrò preso alla sprovvista, tuttavia si riprese subito. “Non ti credo.”, disse.
Mio zio aveva uno sguardo totalmente inespressivo. “Mettimi alla prova.”
Ci fu uno stallo che si protrasse per un tempo che mi parve infinito. Non sapevo se mio zio diceva il vero, provavo un terrore folle, ero scossa da brividi di freddo. Nessuno dei due si decideva ad abbassare la pistola. Era una situazione senza via di uscita. Pensai con angoscia che sarei morta, e il fatto che la stessa sorte sarebbe toccata a Giulio non mi era minimamente di conforto.
Fu mio zio a rompere quell’impasse. Prese accuratamente la mira, incominciò a premere il dito sul grilletto. Evidentemente Giulio non resse la tensione. Lasciò scivolare il braccio lungo il fianco. L’incubo era finito! Trassi un profondo sospiro di sollievo, mi divincolai dalla sua stretta . “Consegna la pistola a mia nipote.”, disse mio zio. Io non so sparare, ma almeno in questo modo Giulio sarebbe stato disarmato, e comunque avrei potuto fingere. Lui obbedì, porgendomi l’arma. Non ci restava che portarli alla più vicina caserma dei carabinieri. Non ci sarebbero stati problemi: avremmo testimoniato in tre contro di loro. Stavo per per prendere quell’odioso strumento di morte, quando Maria Luisa ci colse tutti di sorpresa. Il suo polso scattò all’improvviso. Il colpo di frusta fu violento e preciso, centrò in pieno la mano di mio zio. La sua pistola cadde a terra con un piccolo tonfo attutito dalla moquette. “Bastardo!”, sibilò la donna. Vibrò una seconda scudisciata, questa volta diretta al viso.
Giulio rise. “Brava, piccola!” Chiamò l’ascensore. “E adesso è finita.”, disse.
Mentre guardavo lampeggiare i numeri dei piani, mi resi conto di quanto la vita mi fosse preziosa. Ero una giovane donna normale, realizzata nel lavoro, contavo su buone amiche quali Patrizia, mi piaceva il sesso. Non volevo morire. Non mi sembrava giusto. Maledissi lo stravagante comportamento di mio zio, che a sessant’anni credeva di potersi trasformare in un “giustiziere della notte”. Forse aveva fatto davvero il contrabbandiere, ma ormai era vecchio e inadatto a situazioni di lotta e di violenza. Mi vergognai subito di quei pensieri: lui aveva cercato di salvarmi, e sarebbe morto a causa mia. Dovevo impedirlo! Ma era impossibile. Giulio aveva la pistola, Maria Luisa mi faceva paura. Come avrei potuto oppormi a loro? Non avevo né la forza né la freddezza sufficienti per farlo. Con un nodo allo stomaco, vidi che mancavano solo due piani, poi l’ascensore sarebbe arrivato, ci avrebbero portato in qualche bosco e lì saremmo stati giustiziati.
Mi tremavano le gambe, l’angoscia mi impediva perfino di piangere.
Ancora un piano.
Se fossi riuscita a strappare la frusta dalle mani di Maria Luisa…
Lei sembrò intuire i miei pensieri, perché mi afferrò per un polso, stringendolo con forza sorprendente. Lucia era bianca come uno straccio. Lei era la vittima più innocente. Mio zio non si lamentava per il dolore, ma aveva perso la sua energia: appariva abulico e distante. Giulio non manifestava emozioni. Gli occhi di Maria Luisa brillavano di piacere.
Io ero disperata.
L’ascensore arrivò al nostro piano.
Solo per il gusto di farmi male, Maria Luisa mi torse il braccio dietro alla schiena fino all’altezza delle scapole. Provai un dolore lancinante.
L’ascensore cominciò ad aprirsi.
In quegli istanti infinitesimali la mia mente fu attraversata da mille pensieri. Non voglio dire che rivissi tutta la mia vita in un solo secondo; queste cose si leggono sui libri ma non sono vere: certo è che fui raggiunta da ricordi, emozioni, gioie e dolori che appartenevano al mio passato. L’ultima sensazione fu quella del contatto meraviglioso del sole sulla mia pelle.
L’ascensore si aprì.
Non era vuoto.
C’erano quattro poliziotti con le armi spianate.
Uno di loro, forse il capo, apostrofò mio zio: “Perché é venuto in anticipo?”
Tony, perplesso, consultò l’orologio.
Poi scoppiò a ridere.
“Faccio sempre casino.”, borbottò.
Io mi voltai in direzione di Giulio. “Scacco al re!”, sibilai.
“Scacco matto.”, puntualizzò lo zio.
Quella stessa sera mio zio mi fece fumare la mia prima canna.
A me piace Vasco, ma lui voleva ascoltare questi “sconosciuti” Jefferson Starship.
Mi tolsi le ballerine, mi sdraiai sul divano e chiusi gli occhi.
Convenni con lui che era grande musica.