Non c’era niente di male ad andare da Marcus per ascoltare quello che aveva da dire… beh, per la verità sì, ma Janine provava anche come un senso di pericolo, una strana premonizione; tuttavia, stupendola, Sarah aveva acconsentito a vederlo.
Janine pensava che fosse ingenua. In realtà, Sarah era mossa dalla curiosità. “Al massimo ci faremo quattro risate.”, disse, prima di sedersi al pianoforte. Da un paio di giorni stava lavorando con grande impegno; aveva già composto quattro nuove canzoni, che a giudizio di Janine erano superbe.
Ma a parte questo, i rapporti fra le due donne erano strani: si comportavano con cautela, erano eccessivamente gentili – mai l’ombra di un litigio, nemmeno un piccolo litigio -, le loro conversazioni si mantenevano sempre sul vago. E a letto c’era molto freddezza. Janine riteneva che fosse dovuta a lei, dato che non l’aveva ancora perdonata completamente e perciò faticava ad eccitarsi. Probabilmente Sarah lo avvertiva, sicché la freddezza era reciproca. Janine sperava che tutto tornasse come un tempo, però temeva che questo non sarebbe stato possibile. In tal caso, alla fine una delle due avrebbe lasciato l’altra. O, forse, avrebbero troncato la relazione di comune accordo.
Sarebbe stato molto triste.
Si vestirono elegantemente. Sarah Taverner indossava un abito di Oscar de la Renta e una preziosa collana Swarovski. Janine Leblanc un miniabito stretch, color rosa con la mezza manica e alcune decorazioni di applicazioni in tono.
Due pellicce ecologiche le proteggevano dal freddo.
Dopo l’incontro con Marcus, infatti, sarebbero andate a cenare alle Les Trois Garçons in Club Row. Era uno dei ristoranti più esclusivi di Londra, e valeva ampiamente i soldi che avrebbero speso. Era stata un’idea di Sarah.
Probabilmente per la cantante quella cena aveva un valore simbolico, rifletté Janine: un nuovo inizio o qualcosa di simile.
Marcus le accolse con un largo sorriso che Leblanc giudicò indisponente. Le invitò ad accomodarsi sul divano e inserì nel lettore I love Janine.
Offrì loro un drink, poi si scusò ed entrò in un’altra stanza.
Dopo pochi istanti ricomparve.
Fra le mani cingeva una frusta.
Le due donne lo guardarono allibite.
“Questo appartamento è insonorizzato.”, disse Marcus con aria soddisfatta. “Nessuno sentirà le urla di Leblanc.”
Sarah scattò in piedi, rossa in viso per la collera.
“Cosa credi di poter fare?!”
Lui rise. “Io? Io non farò proprio niente! Perché sarai a tu a frustare Janine.”
“Ho portato ciò che mi avevi chiesto.”, dichiarò l’uomo.
Elke lo fissò. Presa dall’entusiasmo per la sua nuova vita e dal pensiero di Dieter che costantemente la accompagnava, aveva finito per scordarsi di avergli fatto una consistente ordinazione. In quel periodo, a Berlino era molto difficile trovare roba buona, dato che la polizia vigilava con grande attenzione. Nell’ultimo mese molti spacciatori erano stati arrestati.
Per quello gli aveva domandato una partita più grossa del solito. In questo modo non avrebbe corso il rischio di trovarsi senza droga.
Ma adesso la situazione era cambiata.
Le era addirittura rimasta dell’eroina che peraltro era finita nel water.
“Non mi serve più.”, disse. “Ho deciso di smettere. Ho già smesso, in effetti.”
L’uomo non cambiò espressione. Con calma, replicò: “Ho corso parecchi rischi per accontentarti. Presto lascerò la Germania, perché qui non tira aria buona. Di conseguenza avrei potuto infischiarmene, però io mantengo sempre i miei impegni. Ti avevo garantito un buon rifornimento e ho tenuto fede alla promessa.”
Elke scosse il capo. “Ti ho già detto che non mi serve più.”
“Beh, le cose non sono così semplici: primo, devi pagarmi la fornitura; secondo, devi tenerti la roba. Per me è troppo pericoloso andare in giro con tutta questa eroina. Ho saputo dal mio contatto che sospettano di me. Ecco perché devo svignarmela al più presto, e a mani vuote.”
Elke si augurava che entrassero dei clienti, oppure il proprietario del negozio, in maniera da por fine a quello sgradevole colloquio; ma era una mattinata gelida, la pioggia si stava trasformando in neve e chi non era al lavoro preferiva starsene rintanato in casa. Sbirciò fuori della vetrina e difatti non scorse anima viva. L’uomo non aveva tutti i torti, però era anche vero che avrebbe potuto vendere quella partita senza troppe difficoltà. L’intuito le suggeriva che si divertiva a tormentarla. In questo era decisamente simile a Erna e a molti altri individui che agivano per soddisfare il proprio sadismo.
Disse: “Mi dispiace. Mi sento in colpa con te, tuttavia non cambierò decisione. Voglio diventare pulita, e restare tale.”
L’uomo sogghignò. “Lo dicono tutti e poi…” Si guardò attorno. “Bel posticino.”, commentò. “In ogni caso, tornando a noi, non so cosa farmene delle tue scuse. Ho qui la roba: devi pagarmi e prenderla. Fra l’altro, nel giro di pochi giorni rimpiangeresti amaramente di non averla, e per un bel po’ di tempo non troverai facilmente un altro fornitore.”
“Mi dispiace.”, ripeté Elke, cercando di mantenere un’aria impassibile, sebbene avesse paura. Aveva sentito dire che quell’uomo aveva ucciso una persona: era malvagio e privo di scrupoli. Ma Dieter, pensò, l’avrebbe protetta. Si sforzò di controllare il tremito della voce. “Il mio no è definitivo. Sono sicura che, viste le circostanze, troverai un altro cliente prima di sera.”
“Non intendo uscire da qui con l’eroina. Sarebbe troppo rischioso.”
“E’ il lavoro che ti sei scelto.”, disse Elke con una punta di irritazione per la sua insistenza. Lo temeva, ma non era disposta a cedere. Se avesse avuto fra le mani quella polvere magica, forse non sarebbe riuscita a trattenersi. E avrebbe perso Dieter. Lui non l’avrebbe perdonata, ne era certa. “E adesso ti prego di lasciarmi. Non cambierò idea.”
Sulle labbra dell’uomo riaffiorò il sorriso gelido. “Ma davvero?”, disse.
Quindi, uscì dal negozio, accostando piano la porta dietro di sé.