Chiedo scusa per la lunga assenza. Come giustamente scrive Lord Ninni era dal 2006 che non “sparivo” (a parte una volta, a causa di un virus). Questo d’altro canto significa che il mio pc non è più tanto giovane: infatti, non si accendeva più, nemmeno pigiando su F1. Ora spero che sia tutto ok. Ringrazio Mari per avervi tranquillizzato e ringrazio voi tutti amici.
Adesso leggerò con calma i commenti nel frattempo ricevuti.
Freiberg aveva fatto di tutto nella sua vita: lo scaricatore di porto, il buttafuori in un night club, lo spacciatore di droga. Poi era entrato in un giro giusto e in cinque anni aveva guadagnato un milione di dollari. Ma non si era certo costruito una fortuna vendendo armi a un hippy fuori di testa che sarebbe stato arrestato mentre tentava di rapinare una banca. Prima di ucciderlo, guardò Weir negli occhi. C’era un gusto speciale nel cogliere il panico in uno sguardo: era come bere una coppa di champagne.
Ciò che vide non gli piacque. Conosceva gli uomini; se non li avesse conosciuti, non sarebbe diventato ricco in così breve tempo.
Nel corso degli anni gli era capitato di assistere a scene pietose. Persone che all’improvviso perdevano la loro dignità, implorando, supplicando, torcendo mani tremanti. Individui, che erano sembrati duri e risoluti, bagnare i pantaloni o fare anche di peggio. Donne, che fino a un momento prima si erano comportate in modo altero, ridotte a chiedere pietà, farfugliando atterrite. Alcuni si erano gettati per terra, strisciando come vermi, sino a baciargli le scarpe. Il tratto caratteristico comunque era rappresentato dagli occhi. Dall’angoscia che esprimevano.
Gli occhi dell’hippy erano gelidi. Di più, non avevano espressione, come se quell’uomo fosse privo di qualsiasi sentimento o emozione. Freiberg esitò per un attimo, sconcertato da quello che aveva visto. Poi scosse la testa e si avventò.
Era un maestro con il pugnale. Mirò al ventre: la lama guizzò con un sibilo.
Una volta Freiberg era andato in un locale clandestino dove si scommetteva sugli animali. Aveva vinto una grossa somma puntando su un cane che aveva combattuto contro una quantità di grossi ratti. Il cane era uscito malconcio da quello scontro, con un orecchio a brandelli, le budella che gli fuoriuscivano, simili a un grottesco cordone ombelicale, e un occhio strappato a morsi. Però aveva ucciso tutti i topi. Freiberg aveva intascato la vincita e si era diretto all’uscita, fendendo la folla. Faceva un caldo insopportabile e l’odore che aleggiava nell’aria era disgustoso. Poi si era fermato ed era tornato sui suoi passi, incuriosito. La serata si era aperta con un combattimento di galli, cui aveva fatto seguito la lotta fra il cane e i ratti. Freiberg pensava che il prossimo numero fosse uno scontro fra un dogo e un puma, così gli avevano detto, e non era particolarmente interessato a vederlo, anche perché aveva capito dalle quote che avrebbe prevalso il dogo: non si divertiva a vincere facilmente. Invece, c’era stato un cambiamento di programma.
Illuminati dai riflettori, si stavano affrontando un cobra e una specie di ridicolo castoro. Freiberg aveva sghignazzato. Il cobra era terribile: lungo più di un metro, con il cappuccio sollevato minacciosamente, incuteva sgomento perfino a lui. Il risultato di quel confronto era talmente scontato da renderlo per assurdo avvincente. Non dimenticò mai quello che accadde. La mangusta evitò il primo assalto del serpente, poi scattò con una rapidità impressionante. Affondò i denti nella nuca del cobra e non si staccò più finché non lo ebbe ucciso.
Prima che il coltello gli affondasse nel ventre, Weir afferrò il polso del mercante d’armi. In quell’istante, Freiberg ricordò quella lontana sera e rivide la mangusta che annientava il cobra. Phil diede uno strappo di violenza inaudita, torcendogli il braccio in un’angolatura assurda. Il pugnale cadde per terra e Freiberg urlò per il dolore. Weir incrementò la stretta, continuando a torcere fino a quando il braccio non si spezzò. Quindi si chinò e raccolse il pugnale. Gli puntò la lama alla gola. “La mia arma e le mie munizioni.”, disse con voce piatta.
Gemendo, Freiberg gli indicò una cassa. Weir la scoperchiò, prese il Kalashnikov, lo esaminò e scosse la testa. “E’ troppo vecchio! Non vale il prezzo pattuito.”
Freiberg era piegato in due. “Lì!”, mormorò con un filo di voce.
Phil questa volta annuì. “Ora ci siamo.” Richiuse la cassa e si accostò al mercante d’armi.
“A ogni azione corrisponde una reazione. E il tuo karma è negativo.”
Freiberg comprese ciò che voleva fare. Indicò la porta d’acciaio. “Ascolta!”, strillò. “Ti darò diecimila dollari!”
Weir gli tagliò la gola fissandolo negli occhi.
Durante il tragitto che lo riportava alla Bush Valley, Phil rifletté su quello che era successo, assolvendosi in pieno. Non aveva mai fatto del male a nessuno di proposito. Quando aveva ucciso era stato per legittima difesa, come nel caso dei due banditi che lo avevano sequestrato, oppure per vendicare una donna picchiata a sangue. Ripensò a Rachel Douglas: era stato il primo amore dellla sua vita. Phil aveva salvato suo figlio da una banda di teppisti, poi era diventato l’amante della madre. Rachel gli aveva pagato gli studi. Il padre di Phil era un operaio e, senza l’aiuto di Rachel, egli avrebbe seguito le orme paterne: c’era già un posto che lo aspettava in una squallida fabbrica di elettrodomestici. Weir detestava quel futuro e sarebbe sempre stato grato a Rachel.
Il marito l’aveva fatta pedinare da un investigatore privato, aveva scoperto la tresca e l’aveva massacrata di botte. Phil lo aveva ammazzato tre giorni dopo. Era una carogna e meritava di morire.
Freiberg era un malfattore, voleva derubarlo: perciò era stato giusto ucciderlo.
Guidò con calma. Gli piaceva ammirare il panorama. Amava le montagne, i boschi, i corsi d’acqua limpidi e freschi che scendevano a valle. A un tratto fermò il pick-up e scese. Respirò l’aria incontaminata delle alture e provò una grande gioia al pensiero che fra poco sarebbe tornato nella Green Valley. Quella era casa sua. Gliel’avevano rubata, ma lui se la sarebbe ripresa.
Rincasò al tramonto.
Liz lo accolse nervosamente. “Oggi è stata qui quella poliziotta. Mi ha fatto un sacco di domande!”
“E’ naturale.”, le rispose Phil. “Sospetta sicuramente qualcosa, però non ha lo straccio di una prova.”
“Ha detto che forse tornerà domani.”
Weir allungò una mano e le accarezzò il seno. Elizabeth si ritrasse.
Phil era un amante straordinario perché aveva una dote innata, sconosciuta alla maggior parte degli uomini. Sapeva riconoscere l’odore delle donne. Attraverso esso, i corpi parlano svelando gli impulsi più profondi dell’anima. Lui capiva subito se una donna lo desiderava, se era irritata o semplicemente guardinga. In quel momento percepì l’afrore acre del dubbio e del timore. Non era un problema: avrebbero meditato assieme e Liz avrebbe riacquistato coraggio e serenità.
Fece un sorriso rassicurante. “Non devi preoccuparti, tesoro: andrà tutto bene.”
Si accostò alla finestra e guardò la sera calare nell’eterno prodigio che si rinnovava ogni giorno. “Questa notte ci saranno le stelle.”, disse. “E domani ce ne andremo.”
Dopo cena, uscirono sulla veranda.
Quando Elizabeth andò a dormire, Weir non la seguì. Rimase all’aperto, godendo della vista del cielo.