ALEX
L’ufficio del signor Trachtenberg era vecchio e polveroso.
Sul tavolo ingombro di incartamenti c’era una bottiglia di Chivas. Trachtenberg si alzò e andò a prendere due bicchieri, versò due dosi generose e allungò un bicchiere ad Alex. Alliston declinò l’offerta. Alle nove del mattino non gli sembrava il caso di mettersi a bere whisky. Trachtenberg si concesse un abbondante sorso, quindi sorrise soddisfatto. “Dunque volete comprare la mia casa editrice?”
“Dicono che è in vendita.”
“Già. Cosa ne sapete di editoria?”
“Assolutamente niente.”
“Bene.” Trachtenberg finì il bicchiere e si versò subito una seconda dose. “Il miglior modo per iniziare una giornata.”, osservò, indicando la bottiglia. “Sicuramente meglio del porridge.” Era un uomo vicino ai sessant’anni, con i capelli ancora sorprendentemente biondi e baffi rigogliosi del medesimo colore. Gli occhi erano di un celeste pallido. Per essere un classico inglese dalla carnagione chiara, aveva il viso troppo rubizzo; ciò dipendeva dall’alcool, pensò Alex. Indossava una giacca di tweed e la cravatta di Oxford.
“Signor Alliston”, disse, “siete stato voi a far pubblicare dal vecchio Carter un libro di poesie intitolato “Dreams” e scritto da un certo John Valance?”
Alex annuì. “Un pessimo affare.”, ammise. “E’ stato per accontentare mia figlia. Purtroppo quelle poesie sono…”
“Splendide!”, lo interruppe Trachtenberg. “Il problema è che Carter non sa vendere. Non ne è mai stato capace e non si può certo sperare che incominci a imparare adesso.” Fece un gesto sprezzante con la mano, come a liquidare l’argomento. “Voglio darvi solo quattro consigli, poi intascherò il vostro assegno e questa baracca sarà vostra.”
“Ve ne sono grato.”, replicò Alex.
“Primo: non fidatevi dell’opinione dei cosiddetti editor. Quando un autore sconosciuto vi porterà il suo manoscritto, nella convinzione di essere il nuovo Christopher Marlowe, leggete le prime venti pagine. Se vi piacciono, passate il testo agli editor; in caso contrario, cestinatelo. Non scordate mai che i soldi sono vostri e pertanto la decisione spetta a voi solo. Secondo consiglio: non ascoltate mai il parere di un critico, anche se fosse un nuovo Belinskij. Per la maggior parte, i critici sono degli scrittori falliti che si lasciano guidare dal risentimento e dalla frustrazione. Terzo: un romanzo è buono quando vi suscita delle reazioni: commozione, rabbia, odio viscerale per un protagonista, trepidazione per l’eroina. Se, quando incominciate a leggerlo, perdete la nozione del tempo, e all’improvviso scoprite che si è fatta sera… e ancora non volete smettere di andare avanti… allora, siate sicuro, e pubblicate. Negli altri casi, invece, andate molto cauto. Infine, non imitate l’esempio di Carter: un libro va promosso, fatto conoscere, altrimenti non uscirà mai dai negozi. Studiatevi un po’ i metodi di quegli yankee: per essere ignoranti, sono ignoranti; però sanno “vendere”. Credo che vi basti sapere questo.” Trachtenberg si rilasciò sulla poltrona, tornando a dedicarsi al Chivas.
Ci fu un silenzio. Alex sapeva che Trachtenberg era stanco del suo lavoro. Ultimamente la casa editrice era in crisi, dato che lui la trascurava. “Un’occasione perfetta per rilanciarla.”, gli aveva detto Joan. Quando Alex le aveva chiesto come facesse a conoscerlo, la ragazza lo aveva guardato con aria di sfida. “Lui vuole soltanto morire in pace, pagare i debiti e andare a finire i suoi giorni ad Amalfi. Io lo accompagnerò.” Alex non le aveva rivolto altre domande.
“Bene, signor Alliston, per diecimila sterline la mia casa editrice è vostra.”
“Cinquemila.”, ribatté Alex.
“Voi volete offendermi.”
“Non oserei mai.”
“Novemila.”
Alex scosse il capo. “Cinquemila”.
“Questo è tradimento!”, esclamò Trachtenberg.
“Seimila”, concesse Alex.
“Buon Dio, non avete alcuna comprensione; siete un uomo intrattabile. Non merito un simile insulto. Ottomila.”
“Settemila e non ne parliamo più.”, disse Alex.
Trachtenberg gli porse il bicchiere. “Affare fatto!”
Alex trasse un profondo sospiro e suo malgrado sorseggiò il Chivas.
Trachtenberg si era sempre avvalso di una tipografia esterna. Alex meditò di acquistare l’occorrente per poter stampare i libri in proprio. In questo Joan aveva avuto ragione, convenne fra sé: la sua mentalità pratica, e l’esperienza maturata alla Pilgrim’s, gli permettevano di capire rapidamente il modo migliore per ridurre le spese e aumentare i profitti. Ma prima c’erano molte altre cose da fare. I dipendenti erano apatici e svogliati, i muri dell’edificio presentavano crepe preoccupanti, il suo ufficio andava imbiancato, la vecchia segretaria sostituita, visto che aveva dato il preavviso.
“Un passo alla volta”, pensò. La priorità principale riguardava il denaro. Doveva incominciare a guadagnare al più presto; aveva calcolato di avere riserve sufficienti solo per quattro mesi. Trascorso quel termine, si sarebbe trovato in gravi difficoltà. Avrebbe potuto chiedere un prestito a una banca, ma se possibile preferiva evitare di indebitarsi ulteriormente. Il contratto con Trachtenberg prevedeva infatti che l’anziano editore si impegnasse a pagare gli stipendi arretrati e a saldare i conti dei fornitori; Alex, dal canto suo, si accollava le esposizioni bancarie, fideussioni che ammontavano a circa cinquemila sterline.
L’aspetto più drammatico riguardava i manoscritti. Sembrava che tutti gli aspiranti scrittori di Londra non si fidassero più della Trachtenberg Books. Aveva cercato invano un romanzo, una raccolta di poesie, un saggio storico: gli scaffali erano desolatamente vuoti. Non poteva certo mettersi a scrivere lui, e per il momento teneva John Valance a debita distanza.
Alex si affacciò alla finestra. La Trachtenberg Books era situata in un vecchio stabile di Mayfair. Dall’altra parte della strada sorgeva un’elegante palazzina. Alle spalle dell’edificio, c’era Regent Street. Era una zona tranquilla, non troppo distante dal centro. Il signor Trachtenberg aveva scelto bene; peccato solo che negli ultimi tempi si fosse lasciato andare.
Quando si girò, Alex notò un plico dimenticato in un angolo dell’ufficio. Era un pacco che proveniva dalla Germania, e che il vecchio non si era nemmeno preso la briga di aprire.
Conteneva un voluminoso manoscritto, però era in tedesco.
Nancy conosceva perfettamente quella lingua.
Alex ricordò il primo dei quattro consigli di Trachtenberg: non fidatevi dell’opinione dei cosiddetti editor.
Si mise sottobraccio il manoscritto e lo portò a casa.
Era di un autore sconosciuto, tale Thomas Mann.
Si intitolava “Buddenbrooks – Verfall einer Familie”.
SILVIA (ARMINE)
Lo zenana era circondato da un rigoglioso giardino, delimitato da un alto muro di recinzione. Alle donne era proibito uscire da lì; e Silvia non avrebbe saputo dire dove si trovava esattamente. In qualche punto dell’Arabia, non troppo distante dal mare, supponeva: ma era tutto quello che riusciva a immaginare. Aveva subito pensato a come scappare, ma si era resa conto con amarezza che era un’impresa impossibile. All’interno dello zenana la sorveglianza era affidata agli eunuchi, che erano sospettosi e infidi; al di fuori, vigilavano guardie armate. Il cibo era squisito, i vestiti che indossava profumavano di pulito e dormiva fra soffici lenzuola; rispetto all’orribile stiva della nave, era come essere in paradiso, tuttavia quel paradiso in realtà era un inferno. A rigor di logica, avrebbe trascorso tutta la sua esistenza in quella prigione dorata e sarebbe stata sepolta nel cimitero situato in fondo al giardino, quando ormai vecchia e rassegnata sarebbe passata dal sonno alla morte, a meno che una malattia non l’avesse portata via prima.
Eppure, dentro di sé, sentiva che un giorno sarebbe tornata a Londra. Avrebbe rintracciato la dama bionda e l’avrebbe fatta morire tra indicibili tormenti.
Inizialmente, era stata impiegata come schiava: doveva occuparsi del giardino. Non era un lavoro particolarmente faticoso, specie per una donna energica; comunque presto era stata sollevata da quell’incarico. Era troppo bella per essere destinata a quel compito, sebbene il rawda rappresentasse il paradiso in terra. Non a caso, la sua struttura era studiata in base a precise regole matematiche: rappresentava un’anticipazione del premio di Allah. Il capo degli eunuchi, Abdel Hafez, l’aveva introdotta nell’harem. “Una piccola perla per allietare il nostro signore”, aveva commentato. Il fatto che Silvia non fosse cristiana, bensì musulmana, aveva facilitato le cose.
Nell’hanm vigeva una complessa organizzazione sociale.
In genere, l’atmosfera che vi regnava era di solidarietà e tavolta d’affetto; ma non mancavano invidie, intrighi e gelosie. Le donne dividevano spazi comuni, mangiavano insieme e trascorrevano la maggior parte delle ore a chiacchierare tra loro; in ogni caso, era consuetudine che le quattro mogli comandassero le concubine e venissero da loro riverite. Le ultime arrivate, di norma, erano trattate alla stregua di schiave, e dovevano mostrarsi umili e sottomesse.
Armine – così si faceva chiamare ora Silvia – non aveva alcuna intenzione di servire un’altra donna, né di essere relegata all’ultimo gradino della scala gerarchica: si sentiva superiore a tutte. Mise in chiaro le cose fin dal primo giorno. Qualche notte dopo, Samira, la favorita del momento, organizzò una spedizione punitiva. Mentre Armine dormiva un sonno inquieto, tre ragazze si avvicinarono al suo giaciglio. Armine condivideva un’unica grande stanza con sei donne, tutte giovani.
Samira era stata chiara: dovevano picchiarla fino a farle perdere i sensi; in questo modo, la nuova venuta avrebbe appreso le leggi non scritte che regolavano la vita all’interno dell’hanm. Naturalmente, gli eunuchi avrebbero capito cosa era successo, ma non ne avrebbero fatto parola con Ayman. Anche loro avevano paura della favorita. Samira non si sarebbe limitata a questo: avrebbe usato tutta la sua influenza per evitare che Ayman la vedesse e la frequentasse. Sarebbe passato almeno un anno prima che Armine godesse della sua compagnia. Sempre che nel frattempo si fosse comportata bene, dimostrandosi rispettosa e docile. Samira pensava proprio che la lezione che le sarebbe stata impartita quella sera le avrebbe fatto calare le arie. Armine era superba e altezzosa: si sarebbe trasformata in un pulcino spaurito.
Maisa la svegliò. Era la più fedele seguace di Samira.
Gli eunuchi stavano dormendo tranquilli e non sarebbero intervenuti. Maisa mise un bavaglio sulla bocca di Armine per impedirle di strillare, poi sferzò l’aria con uno scudiscio. Le altre due si chinarono per immobilizzarla. Scostarono il lenzuolo; una la afferrò per le caviglie, l’altra cercò di bloccarle i polsi.
Maisa si preparò a frustarla.
Poi tutto si svolse molto rapidamente.
Armine liberò le caviglie con un calcio e balzò in piedi.
Sulla nave, aveva rubato un pugnale a un marinaio, durante l’ora d’aria che veniva concessa quando facevano la doccia. Si era lasciata toccare il seno in modo da distrarlo e aveva fatto scomparire l’arma in mezzo al mucchio di cenci che rappresentava i suoi sudici vestiti. Ma allorché le era stato comunicato che era destinata a un hanm, aveva immaginato che sarebbe stata spogliata e perquisita dagli eunuchi, perciò a malincuore aveva gettato il pugnale in mare. Adesso era disarmata e doveva combattere contro tre avversarie, tuttavia sapeva che era in grado di ucciderle tutte e tre. Però sarebbe stato un grave errore. A causa di quel crimine, l’avrebbero imprigionata e torturata; forse sarebbe stata condannata a morte. Pertanto si limitò a strappare la frusta dalle mani di Maisa e a colpirla in pieno volto. Poi fronteggiò le altre due.
Parlava l’arabo meglio dell’inglese. Disse: “Statemi lontane o vi ammazzo!”
La fissarono impaurite. Armine era alta e vigorosa, e ora cingeva nelle mani lo scudiscio. Era una figura temibile, simile a una guerriera delle antiche leggende. Le tre giovani fuggirono, terrorizzate.
“Riferite alla vostra padrona che se lo desidera ce ne sarà anche per lei.”, le schernì Armine in tono beffardo.
Il giorno dopo, quando Ayman entrò nell’hanm, Armine si fece largo a gomitate. Voleva che Ayman la notasse. Sapeva di essere una delle donne più belle dell’hanm, e di certo la più affascinante, ed era sicura che lui l’avrebbe scelta per quella notte.
Se doveva rimanere lì, intendeva godere di tutti i privilegi possibili.
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