Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac.
“Così mi avete rintracciato.”, osservò con calma Sparrows.
Patricia non gli rispose. Fu Carrick a parlare. “Prima abbiamo sentito gridare una donna; c’è ragione di credere che voi teniate qui prigioniere Alexandra White e Nadia Greene.” La voce dell’investigatore era piatta, priva della minima enfasi.
Sparrows gli rivolse uno sguardo astuto. “Sono mie ospiti.”, replicò. “Ambedue liberissime di lasciare questa casa nel momento stesso in cui lo vorranno. Piuttosto, siete un poliziotto?”
Carrick scosse il capo.
“Perciò la vostra presenza non è gradita. Vi invito cortesemente ad andarvene. Ah, lo strillo che avete udito… involontariamente una delle due ha graffiato l’altra mentre la stava pettinando.”
“Carrick desidera vederle.”, disse l’investigatore. “Se confermassero la vostra versione, toglieremmo il disturbo seduta stante.”
Jack Sparrows lo scrutò, chiedendosi perché parlasse di sé in terza persona, ma non era importante. Aveva ben altro a cui pensare. Era fuori questione che gli consentisse di parlare con le due scrittrici. Analizzò la situazione. Lui era più giovane e più forte, tuttavia sospettava che Carrick fosse molto pericoloso. Scagliarsi su di lui a mani nude non era una buona idea, anche perché Patricia Thompson lo avrebbe aiutato ed era decisamente più aitante di Alexandra White. Due contro uno: non andava bene. Non ricordava più dove aveva messo il pugnale e quell’uomo poteva essere armato.
“Dunque vi chiamate Carrick?”, domandò per guadagnare tempo.
“E’ un’investigatore privato.”, interloquì Patricia. “Se davvero siete in buona fede, accompagnateci di sopra oppure fate scendere le mie amiche.”
Sparrows sembrò considerare la proposta. “Benissimo.”, disse. “Non ho nulla da nascondere. Solo un momento, prego.”
Si recò nuovamente in cucina.
Soltanto cinque anni prima, Carrick non glielo avrebbe permesso; gli sarebbe balzato addosso e lo avrebbe messo fuori combattimento. Ma, benché fosse ancora lucido e perspicace, non aveva più i riflessi di un tempo, sicché esitò un attimo di troppo. Quando si alzò dalla poltrona, era già tardi: Sparrows riapparve con una pistola.
Carrick teneva uno stiletto nella manica della giacca; da sempre era il suo strumento di difesa preferito. Però Sparrows non era abbastanza vicino e l’investigatore non aveva con sé altre armi. La pistola con cui aveva giustiziato Jack the Ripper era chiusa in un cassetto della sua casa di Nizza. Troppi errori, si disse, rendendosi conto che la vecchiaia incombeva. Non aveva mai temuto la morte, che comunque sentiva prossima, sebbene per cause naturali e non ad opera di una pallottola; ma era in gioco la vita di tre donne. Guardò accigliato Patricia. Non avrebbe dovuto seguirlo. Rammentò che anche Ginger gli aveva disobbedito, pagando a caro prezzo la sua avventatezza. Ginger era stata l’ultima vittima di Jack the Ripper, prima che Carrick facesse giustizia, catturando la sua complice e in seguito condannando a morte il mostro. Ricordò i suoi pensieri di quella lontana sera. Jack the Ripper lo aveva sfidato, ponendolo di fronte a un dilemma morale: era giusto infrangere la legge? No, naturalmente. D’altro canto, Jack the Ripper era uno degli uomini più potenti di Londra, il Primo Lord dell’Ammiragliato. Carrick sapeva che non sarebbe mai finito sulla forca, e neppure in galera. Ma aveva ucciso e orrendamente mutilato le prostitute di Whitechapel.
La legge etica era superiore a quella dei giudici, si era detto Carrick.
Per quello gli aveva sparato a sangue freddo. Non se n’era mai pentito e in una circostanza analoga non avrebbe esitato a rifarlo.
Sparrows gli puntò la pistola contro, interrompendo le sue divagazioni. Un altro segno di vecchiaia, pensò l’investigatore. Rifugiarsi nel passato, anziché affrontare il presente. Eppure, non più tardi di qualche sera prima, aveva facilmente sopraffatto un delinquente che lo aveva assalito alle spalle. Però, da giovane, Carrick non si sarebbe lasciato sorprendere così, e questo era più rilevante del fatto che poi avesse avuto la meglio nel corpo a corpo.
“Non amo quello che sto per fare.”, disse Sparrows. “Ma “The Black Land”, il mio grande libro, è più importante di qualche vita umana. Rappresenta il futuro della letteratura!”
Patricia meditò di aggredirlo, ma purtroppo era vicina a Carrick; pertanto Sparrows le avrebbe sparato prima che potesse raggiungerlo. Entrambi erano sotto tiro.
“Bene.”, annunciò infine Jack. “Se volete dire una preghiera…”
Carrick sogghignò.
Con un ultimo sforzo disperato, Nadia sciolse i nodi che legavano i polsi di Alexandra. La scrittrice si massaggiò le mani. Greene mugolò. Voleva che White le ricambiasse il servizio, in modo da poter scendere e affrontare Sparrows. Aveva sentito bussare e sperava che il visitatore fosse Carrick. Forse aveva bisogno d’aiuto. Alexandra si tolse la calza dalla bocca, trasse un respiro profondo e si accinse a rendere il favore. Però, le mani le tremavano. Non riuscì nemmeno a liberarsi le caviglie. Provò invano con i nodi dell’altra. Lacrime di frustrazione apparvero nei suoi occhi.
Nadia mugolò ancora più forte, ma la scrittrice non sapeva cosa fare.
Jack Sparrows cominciò a premere il grilletto, fissando negli occhi Carrick. L’investigatore non mostrava alcun segno di paura. Era ammirevole, pensò Sparrows.
Patricia era bianca come un cadavere.
Da sopra proveniva uno strano trambusto. La tempesta era cessata all’improvviso, il vento aveva trascinato la pioggia altrove, e ora la notte era calma e silenziosa.
A un tratto Jack Sparrows si illuminò in un grande sorriso. “Lord Ascher!”, esclamò in preda a una gioia sfrenata. Era il personaggio del libro di Alexandra che più lo aveva colpito; forse per questo l’aveva proclamata vincitrice, benché per il resto il suo romanzo non fosse superiore a quello di Greene.
Ma Lord Ascher era eccezionale.
La malvagità pura, catturata sapientemente da White, e resa in modo incredibilmente efficace.
E se Lord Ascher ora si trovava lì era per un motivo ben preciso. Voleva “entrare” nel libro di Sparrows, rendere ancora più vivo e più bello “The Black Land”, cui effettivamente mancava un protagonista di tale levatura. “The Black Land” era un romanzo sublime, ma con l’ingresso di Lord Ascher sarebbe diventato addirittura perfetto: la più grande opera di tutti i tempi, il miglior libro mai scritto da un uomo.
Lo guardò, estasiato. Era maestoso, alto, imponente, terribile. Portava un’armatura nera, cingeva in una mano una gigantesca scure, nell’altra una spada infuocata, che emanava lampi di luce abbacinanti.
“Lord Ascher!”, urlò fuori di sé.
Era il momento più bello della sua vita.
Lo mirò a lungo, adorante.
Quindi, lentamente, si accasciò al suolo, mentre una profonda oscurità, simile a quella da lui descritta innumerevoli volte nelle pagine di “The Black Land”, si impossessava della sua mente tormentata, conducendola infine lontano, in un altro mondo.
Alex Alliston accolse Nadia Greene con un caloroso abbraccio. Lesse il suo romanzo e decise di pubblicarlo. Balzò subito in cima alle classifiche di vendita. Nadia abbandonò l’impiego da segretaria per dedicarsi a tempo pieno alla scrittura.
Alexandra White stracciò il suo manoscritto, perché le evocava ricordi troppo angosciosi. Tornò alle “sue” storie, dove le fate vincevano e i cattivi perdevano. Per qualche tempo fu tormentata dagli incubi, ma gradatamente ritrovò la serenità, oltre a una maggiore consapevolezza, e i brutti sogni la abbandonarono.
Carrick tornò a Nizza.
In un mattino mite e soleggiato di inizio ottobre uscì di casa per intraprendere la solita passeggiata sulla Promenade des Anglais. Il mare si stendeva azzurro e limpido, appena increspato da una lieve brezza. Carrick camminava assorto in vaghi pensieri e per poco non andò a sbattere contro una giovane donna alta e bionda. Si scusò, e un istante dopo la riconobbe.
“Patricia!”
Lei gli sorrise timidamente.
“Cosa ci fa qui?”
Patricia lanciò uno sguardo al mare, quindi cercò i suoi occhi. “Ricordate quello che vi dissi quella notte, quando tutto fu finito?”
“E voi ricordate la risposta di Carrick?”, ribatté lui.
Patricia scosse la testa. “Non ho una buona memoria.”
“Insomma, Carrick vi aveva spiegato…”
La timidezza, comunque, non apparteneva alla giovane, che infatti riacquistò in breve la consueta determinazione. “Mi hai spiegato molte cose, Carrick: ma tutte stupide!”
L’investigatore sobbalzò per quell’insolenza.
Lei gli prese una mano e la strinse. “Perché gettare al vento la felicità?”
Lui la fissò. “Perché Carrick non sa amare.”, disse dopo un momento, liberandosi della sua mano.
“Ti insegnerò io.”, disse lei. “Non importa quanto durerà, se una settimana, un mese o un anno. Ciò che conta è che in quella settimana, in quel mese o in quell’anno, io ti renderò felice.”
Agitò i capelli biondi, e rise, una risata roca, irresistibile. Era bella, solare, radiosa. “Fidati di me!”
Carrick la guardava in silenzio.
“Per la prima volta in vita tua, sarai felice. Altrimenti che senso avrebbe l’esistenza?”
Si allontanò, diretta alla spiaggia. Si tolse le scarpe e, scalza, andò in cerca di conchiglie.
A un tratto si fermò e tirò fuori una vecchia moneta ricevuta in eredità da un lontano parente; l’aveva sempre considerata una specie di portafortuna. La contemplò per un momento, poi trasse un profondo respiro e la scagliò in alto.
Se fosse ricaduta dalla parte di Giorgio III, Carrick sarebbe arrivato.
Grazie per aver letto questa storia.