Out of the Blue
Into the Black
La nuova riunione era stata fissata per l’indomani sera (nel caso di Vale, per quella sera). L’unico che aveva notizie concrete da portare era Berisha: l’incontro con la “megera svizzera” e ciò che lei gli aveva rivelato. La prima a presentarsi al solito bar fu Paola. In lei convivevano due stati d’animo diversi e opposti. La paura dell’ignoto, degli abissi spettrali del Male, di Randall Flagg; e la gioia dovuta al fatto che stava per rivedere il cavaliere errante.
Nelle ultime notti non aveva sognato l’Uomo Nero o, forse, saggiamente il suo cervello si rifiutava di ricordarlo. Quando entrò nel locale erano le 20.00 precise, secondo l’orologio del campanile.
Cinque minuti dopo fu la volta di Berisha. Aveva pensato di arrivare in anticipo perché intendeva mangiare un sandwich con calma, ma lungo la strada era stato raggiunto da Neil Young e dall’eccidio di Travnik, la consueta doppia visione, tranne che in questa c’era qualcosa di diverso, di impalpabilmente diverso, come fumo trasparente. Una sfumatura, difficile da mettere a fuoco.
Aidan giunse in leggero ritardo, d’altronde veniva da Lecco e, sebbene fosse in moto, poteva essere incappato in qualche rallentamento. Camion, lavori in corso, un paio di idioti in posizione strategica. Qualsiasi fosse la ragione del ritardo, era comunque di umore cupo. Paola fu la prima ad accorgersene. Berisha meditava ancora su quella differenza, sentiva che era importante. Peccato che non potesse coglierla.
Quando, buon ultimo, Vale entrò tutto trafelato, Aidan aspettò che si sedesse prima di lanciargli un’occhiata severa. Si rivolse a Berisha. “Non voglio che vada a casa da solo. Poi, lo accompagni tu?”
“Non c’è problema.”
“Bene. Veniamo a noi.”
Berisha alzò una mano. “Ho delle novità da riferire.”, dichiarò.
“Ti ascolto.”
Li ragguagliò sul conto della vecchia, riportando per filo e per segno ogni parola che lei gli aveva detto, compresa l’ubicazione del rifugio di Flagg. Se pensava di sorprenderli, rimase deluso. Aidan lo sapeva già. Aveva aspettato solamente il momento più adatto per agire. Così disse.
“Non credo che sia una donna veramente cattiva.”, osservò il giovane. “Non del tutto, almeno: era angosciata e non fingeva, ne sono certo.”
“Quindi andrà in paradiso.”, commentò, asciutto, Aidan. Paola lo guardò con aria interrogativa. Le sembrava sarcastico. O magari il termine giusto era caustico? Era la prima volta che le faceva questa impressione.
“Questa notte morirà.” Aidan consultò l’orologio. “Sempre che non sia già accaduto. Il Nemico è pronto, più di quanto lo sia mai stato. I suoi servi sono in movimento. Le tenebre gli appartengono, ma poi torneranno sole e luce. Ora, Lui dispone di vasti poteri, poteri grazie ai quali può dominare uomini e animali, corvi, lupi, cani selvatici; può entrare nei sogni; forse può addirittura comandare gli elementi della natura, scatenare tempeste: può tutto questo; ma non è invincibile.”
Si interruppe mentre la cameriera raccoglieva le ordinazioni.
In realtà, Aidan era furibondo con se stesso.
La Visione inviatagli dall’Uomo Nero lo aveva sconvolto a tal punto da farlo precipitare in uno stato di assoluta abulia. Aveva trascorso ore e ore seduto sulla stessa panchina del lungolago di Lecco, incapace di reagire, mentre il ricordo di Giulia ingigantiva dentro di lui come una nube che si allarga fino a occupare tutto il cielo. Se si fosse mosso, anziché crogiolarsi nel dolore, avrebbe potuto salvare la vecchia svizzera. Ciò lo fece infuriare ancora di più.
Contrariamente a quanto all’inizio aveva pensato, ora si rendeva conto che la diminuzione dei suoi poteri non era dovuta a loro, bensì al torpore da cui era stato imprigionato, alla mancanza di una reazione, all’atteggiamento da perdente. Era facile che adesso il suo mentore lo disprezzasse. Oh, sapeva ancora predicare bene, lo aveva appena dimostrato; però i fatti erano più importanti dei sermoni pomposi. In sostanza, una vittoria di Randall Flagg sarebbe equivalsa a una triste ammissione: che la sua fede nel Male superava quella di Aidan nel Bene.
Richiamato dal rumore, indirizzò uno sguardo torvo a una compagnia di ragazzi, maschi e femmine. Erano accampati a un tavolo vicino, chiassosi e scomposti, convinti che quello fosse un modo normale di comportarsi. Paola prese nota anche di questo, chiedendosi cosa gli passasse per la testa. Niente di buono, concluse fra sé. Le sarebbe tanto piaciuto abbracciarlo e confortarlo. Vaste programme! La cameriera tornò con un assortimento di bevande e un caffè per Aidan; pretese di essere pagata subito. Richiesta comprensibile, considerata la clientela.
Aidan mise mano al portafoglio. Intanto, i suoi occhi guardavano lontano.
Dall’altra parte delle montagne, a Consonno, Flagg aveva cambiato dimora, installandosi nella casa più alta del paese fantasma. Da lì poteva spaziare con lo sguardo su tutto il territorio circostante. Stava nell’ultima camera, in cima a una torretta, e in quella stanza due giorni prima aveva convocato Stradilasi.
Benché fosse investito da un gelido terrore ogni qualvolta lo vedeva, l’ex maestro elementare non si sarebbe mai sognato di ignorare tali inviti. Sapeva fin troppo bene cosa era successo a Luca Barbenni, il tutto a causa di una semplice disobbedienza. Si presentò, trepidante, in attesa di ordini. Al di là dell’unica, ampia, finestra, ardevano dei fuochi; effetto di suggestione o reali, lo ignorava. Era ancora pomeriggio, ma il sole aveva un aspetto irreale. Emanava una luce pallida, malsana. Da fuori giungeva un odore fortemente sgradevole, lezzo di cadaveri, di corpi decomposti, di morte. La fantasia distorta dal panico che gli suscitava Flagg gli mostrò dei grandi uccelli neri, cavalcati da demoni ghignanti. In alto, chissà dove, celato alla vista, un corvo gracchiava.
Stradilasi formulò due pensieri. Il primo si riferiva a quando era bambino e annusava il profumo del fieno tagliato, del fuoco di legna, della verde campagna rivestita dai mille colori dell’estate. La fragranza dei compagni di scuola che ancora sapevano di latte. All’epoca, un po’ li desiderava, un po’ non capiva quello che provava. Aveva cominciato tardi a masturbarsi, e sempre con le idee un po’ confuse; in una proporzione approssimativa su quattro “sedute” una era riservata alle femminucce, tre ai maschietti.
Il secondo, più propriamente, era un rimpianto. Non rimorso, certo. Però, il rimpianto sì. Se non avesse tentato di sedurre il piccolo Paolo, adesso la sua vita sarebbe stata diversa. Soprattutto, non sarebbe stato costretto a incontrare quell’Essere terribile. Gli aveva salvato la pelle in due distinte occasioni, questo era vero. Solo che entrambe le circostanze erano il frutto del suo peccato originale, Paolo, marmocchio schifoso! Sgombrò la mente da quei ragionamenti nel timore che venissero colti. Non osava ipotizzare le conseguenze. Meglio soprassedere e limitarsi ad ascoltare, da devoto seguace.
In un angolo della lugubre camera, accanto al camino spento, una bambola lo fissava con occhi vacui; era priva di gambe. Poi Stradilasi si accorse che era soltanto un occhio che lo scrutava, poiché l’altro giaceva sul pavimento, simile a una biglia giunta a fine corsa. Distolse lo sguardo, sentendosi sempre più a disagio, un disagio che confinava con il più abietto terrore.
Flagg irradiava una tetra soddisfazione. Non lo invitò a sedersi e gli disse ciò che avrebbe dovuto fare. Il compito poteva anche essere gradevole – anzi, di sicuro lo era -; quello che, però, alimentava ancor più la sua paura era il convincimento che dal giorno in cui lo aveva conosciuto i poteri dell’Uomo Nero erano cresciuti in maniera esponenziale: avrebbe potuto allungare le mani e prendersi Lurago, Anzano, Montorfano, giù, giù, fino a Como, e poi oltre… il lago, i monti della Valtellina. Ma per qualche misteriosa ragione, al momento sembrava accontentarsi di Inverigo.
Non per la prima volta gli palesò l’idea che Randall Flagg lo considerasse un povero imbecille, al pari dell’altro imbecille dato in pasto a un corvo. Poco male. Gli bastava essere il suo discepolo. In mancanza di meglio – un’esistenza magari squallida, però normale, scuola, lezioni, mamme credulone – era pur sempre un punto d’arrivo. Per lui aveva ucciso una donna, d’accordo un’inutile mentecatta… rappresentava comunque un punto di partenza. Obbedire, ecco la parola magica. Cieca, fedele obbedienza, la ricetta per non essere completamente atterrito. Negli ultimi tempi una forma strisciante di paranoia aveva preso possesso del suo cervello, se ne rendeva vagamente conto, benché questo non mutasse la sostanza delle cose.
Accolse con sollievo il congedo del Padrone e scivolò fuori, predisponendo piani e tranelli.
Mentre si allontanava, un’altra persona lo sostituì al cospetto di Flagg. Si chiamava Bob (non Roberto, Bob e basta), era alto un metro e novanta per circa novantacinque chili di peso; indossava pantaloni sformati, stretti alla caviglia, una maglietta verde acido, recante la scritta “Succhialo, golosona!”, e portava un cappello nero, reduce da tempi migliori. Faceva il buttafuori in un equivoco night della zona e amava il suo lavoro.
Era pazzo da legare.
Lucia Forni arrivò a Consonno due ore più tardi, quando Bob se n’era già andato da almeno venti minuti.
Era una follia, se ne rendeva perfettamente conto, ma era felice per aver trovato il coraggio di compierla, superando così la linea di demarcazione che intercorre tra un sogno destinato a restare tale, nella valle delle occasioni perdute, una valle più frequentata di quanto si creda, e la volontà di correre un rischio che avrebbe potuto significare, in caso positivo, il coronamento di un desiderio finora inappagato.
Quale rischio, poi? Non riuscire a rintracciarlo? Possibile. Il risultato sarebbe stato un viaggio a vuoto, sai che tragedia! Che lui si mostrasse infastidito? Plausibile. Ma valeva lo stesso ragionamento. Era consapevole di non essere esattamente una bellezza, però non era nemmeno brutta, e piaceva a molti ragazzi. Purtroppo affogavano tutti nella più vuota banalità. Mentre l’uomo che cercava era… era un uomo, anche se un uomo alquanto strano. Forse anche questo l’aveva colpita. Era stata la mattina di ieri, in un bar di Olginate. Lui era entrato con un grosso blocco per appunti sottobraccio, si era seduto a un tavolino libero e aveva ordinato un caffè doppio (che non aveva bevuto). Con i jeans sdruciti, un giubbotto estivo e gli stivali scalcagnati ricordava il protagonista di una serie tv ambientata nel Texas. Senza essere Tom Cruise, era indubbiamente un tipo attraente. Nel senso di affascinante, piuttosto che a livello fisico. Ammaliava.
Aveva cominciato a scrivere. Solo che era privo di una penna, di una matita, di un pennarello. Sconcertata, Lucia si era accorta che il suo modo di scrivere assomigliava a ciò che aveva visto Mosè, in occasione della trasmissione delle tavole della legge; mancavano soltanto le lingue di fuoco (ricordava bene la scena del film). Lui pensava e le parole apparivano nitide sulla carta, con una grafia quasi elegante, benché non mancassero vari errori di grammatica e di sintassi. Disegnava bene, invece. Dal suo posto lievemente rialzato (lui le dava le spalle) notò i volti di tre persone, una ragazza carina e due uomini, uno piuttosto giovane. Stava stilando una sorta di programma: ogni viso era seguito da frasi che sembravano riguardarlo. Lei preferì non sbirciare oltre.
A un tratto si era girato e i loro sguardi si erano incrociati. Quegli occhi l’avevano fulminata. Pochi attimi, poi era tornato al suo lavoro.
Le era mancata la presenza di spirito per attaccare discorso; in genere non era timida, però nemmeno abituata a prendere l’iniziativa.
Quando era uscito dal bar, lo aveva seguito da lontano, badando a non farsi notare. Lui procedeva a piedi, Lucia era salita sulla vecchia Panda scassata, standogli dietro a distanza di sicurezza. Non era semplice. Avvicinarsi troppo voleva dire rischiare di venire notata. Se si teneva lontana, poteva perderlo di vista. Fu aiutata dalle innumerevoli pellicole di spionaggio che si era sorbita nei sei mesi passati con un certo Danilo, sei mesi gettati al vento. Andava a Consonno. Un fatto singolare, dato che Consonno era diventato un paese morto, il cimitero di un paese. Il villaggio dei mostri, lo chiamava Stefania, amica tanto simpatica quanto paurosa.
Al momento, aveva deciso di lasciar perdere, liquidando la faccenda come un incontro intrigante, destinato a non avere sbocchi; pedinarlo era stato un gioco, forse un modo per ravvivare una giornata altrimenti uguale a tante altre. “Chi convinse Adamo a mangiare la mela?”, amava sostenere suo padre al terzo bicchiere di vino. “Lui non lo avrebbe mai fatto di propria sponte! Curiosità, il tuo nome è femmina.” Ah-ah e la curiosità uccise il gatto, latrò lei in un moto d’ilarità.
Ma quella notte lo aveva sognato. La decisione era nata sotto la doccia, alle sette di mattina. Durante il giorno non era cambiata. Aveva servito i clienti della boutique con la consueta gentilezza; intanto pensava a lui. I francesi avrebbero parlato di coupe de foudre, Lucia non conosceva il francese e non era interessata a trovare una definizione appropriata. Innamoramento, comunque, poteva starci. Aveva rimosso inconsciamente l’inquietante maniera di scrivere dello sconosciuto – tale per adesso era. Pensarci non sarebbe stato di alcuna utilità.
Ciò che ignorava era il fatto di essere l’unica persona al mondo a non avere paura di lui. Lasciò in anticipo il negozio, previa autorizzazione del titolare, e partì, eccitata e ansiosa, a bordo della Panda. L’aspetto di Consonno, di quel luogo desolato, suscitava pensieri sinistri. Stefania avrebbe ululato di paura. Mette i brividi, pensò Lucia, avvertendo un principio di pelle d’oca.
Girò per le strade deserte, guardandosi continuamente attorno. Il crepuscolo ormai aveva ceduto il passo alla notte. Lucia accese i fari. Lì al bar di Olginate aveva fatto scena muta, rifletté in un soprassalto di ottimismo. Se la fortuna l’avesse assistita, ora avrebbe rimediato. Nel frattempo, seguitava a osservare ambo i lati delle vie. Un grosso gatto scomparve dietro a un portone, presumibilmente a caccia di cibo. Infine, in alto, scorse una luce. Proveniva dalla finestra di una torretta. Non le era sembrato di vedere altre luci. Posteggiò l’auto, incamminandosi verso la porta d’ingresso. Pigiò il dito sul campanello, senza alcun risultato: evidentemente non funzionava oppure in paese mancava la corrente elettrica. Allora bussò, dapprima piano, poi con forza. Nel mentre, aguzzava le orecchie.
Dopo un tempo che le parve interminabile, la porta si aprì.
due episodi distinti. il primo quasi normale che prelude a qualcosa di intrigante. Il secondo è un noir a tutti gli effetti con Lucia che sfida Randall. Come andrà a finire?
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR perché eri finito nello spam? Il tuo commento non è affatto “spammoso”. Roba da matti!
Se ti va, torna a dare un occhio perché è scritto chiaramente che Lucia, lungi dal volere sfidare Randall, cerca in lui invece l’amore (o il sesso).
Un caro abbraccio.
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hai ragione. Non so il perché ho pensato a una sfida. Il mio commento nello spam? Non lo so. ormai ho rinunciato a capirlo.
Un caro abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR è WP che dà i numeri 😀
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Venti ore senza un commento per un post nuovo. Per me è un record. Se a nessuno interessa una sega leggere questa storia, vorrà dire che in futuro ci penserò io. Inserirò commenti e poi anche risposte. E, magari, in mezzo ci ficcherò pure qualche barzelletta 😀
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E’ un bell’intrigo di personaggi le cui vicende si intrecciano ed accavallano nei luoghi e nel tempo. Ti stai cimentando in un impresa alquanto rischiosa per un blog: raccontare una storia lunga e complessa in tempi lunghi. Non ti demoralizzare Biondina, hai una fantasia che gira ad alto regime, la storia funzione, sono i tempi di lettura tipici del blog che stai forzando. Domani è lunedì, vedrai ci saranno i commenti.
Non demordere 🙂
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@ RODIXIDOR carissimo, non demordo assolutamente e ti ringrazio per l’incitamento. Penso, però, a due cose. Sulla piattaforma Splinder postai ben 100 (cento!) puntate del romanzo “Alex Alliston” con un numero di commenti quattro o cinque volte superiore a quanto ricevo qui. La seconda, che forse è banale, riguarda il giorno di pubblicazione, che per “Come Randall Flagg” è sempre la domenica. In effetti, non posso certo pretendere che una persona stia in casa per leggermi 🙂 Per questo ho parlato di “banale”.
Ti ringrazio ancora, questa volta per il tuo giudizio critico, che considero assai importante.
Felice serata!
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Lucia rischia grosso, ma è quello che deve fare. Questa storia è molto avvincente e lascia col fiato sospeso, gli intrecci sono realizzati con dovizia di particolari e tu sei molto brava, hai l’anima della scrittrice, hai la passione e il talento.
Cara Alessandra tu parli della splinder, come la rimpiango, allora non c’erano i social e la gente leggeva i blog che sceglieva; ora si è abituata a pensieri brevi, tanti amici e immediatezza di risposta. Se ti posso dare un consiglio, dovresti pubblicare un piccolo riassunto e puntate meno lunghe, visti i presupposti dei lettori attuali.
Un abbraccio
annamaria
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@ ANNAMARIA49 il tuo consiglio è indubbiamente saggio, amica mia.
Però, le puntate mi vengono così. E, dato che comunque io scrivo anche per me stessa, seguo il mio istinto.
Il riassunto c’è, te lo avevo scritto nella risposta al tuo commento precedente.
Grazie e un bacione, Isabel!
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Scusami, Ale, il riassunto c’era già resta comunque l’altra parte del consiglio.
un bacio
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Aidan rappresenta, in questo passaggio, la pigrizia, quella che può avere la meglio su ciascuno di noi, facendoci perdere occasioni irripetibili e, a volte, perfino la vita.
Stradilasi è colui che preferisce adeguarsi per paura delle conseguenze di non di farlo. Sceglie di non vedere, sposando potenzialmente idee malsane che gli sono proposte dal’esterno.
E Lucia… rappresenta tanti di noi, coloro che scambiano, scelgono di scambiare, lucciole per lanterne perché vogliono uno scopo nella vita. A scopo di inventarselo di sana pianta.
Bella puntata, istruttiva! 🙂
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST condivido in pieno la tua disamina relativa a Stradilasi e a Lucia, un po’ meno quella in cui parli di Aidan. E’ peraltro vero (e questo l’ho scritto tante volte) che, quando viene editato, un post appartiene non già all’autore, bensì a chi lo legge. Pertanto, le tue impressioni sono comunque giuste.
Grazie mille 🙂
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Un attimo, Aidan “adesso” non è così, ma lo è stato. E il passato ancora gli pesa adosso 😉
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@ WOLFGHOST in questo senso, effettivamente l’ottica cambia.
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L’intreccio delle vicende e dei personaggi annessi è sempre di ottimo livello. Svolta dark in alcuni punti della seconda parte. Un saluto, a presto. Univers
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@ UNIVERS81 è verissimo: ho cercato di inserire un po’ di dark.
A presto e un grande grazie!
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l’amore distrae il bene e l’infatuazione mette nei guai l’infatuata.Ma l’amore dà improvvisa forza quindi Aidan saprà reagire alla grande (specie se il pericolo riguarda Paola). Lucia, l’infatuata, beh…i guai se li sta cercando da sola, temo.
A presto, per il seguito.
Buona notte 🙂
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@ ILI6 ed ecco di nuovo la tua grande capacità di sintesi oltre al ben conosciuto intuito. Sai sempre cogliere l’essenza di un post, racconto breve o romanzo che sia. E leggere le tue osservazioni mi fa sempre molto piacere.
Grazie, Marirò, e buona serata 🙂
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Un brano delirante. Le immagini scaturite dai tuoi protagonisti sono a dir poco paranoiche e a
assurde. Dove desideri condurci? E’ proprio il caso di dire:” lo sapremo alla prossima puntata”. Ciaooo!😊
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@ LADY NADIA penso che tu ti riferisca soprattutto alla “new entry” Lucia. Non credo di sbagliare, però, affermando che a molte persone è capitato di rimanere fortemente colpite da un perfetto sconosciuto (sconosciuta). In genere, poi, la cosa finisce lì; talvolta invece può accadere qualcosa. Lucia non era prevista. E’ “nata” alle quattro di notte. Mi sono svegliata all’improvviso con questa idea in testa: una donna che “volesse” amare Flagg. A quel punto, non avevo più sonno. Mi sono alzata, ho ingurgitato mezzo barattolo di Nutella, ho acceso il pc… e mi sono messa a scrivere. Naturalmente, non avevo idea di dove sarei andata a parare (ora, forse, un barlume d’idea c’è). Mi auguro che funzioni, nell’economia del romanzo. Questo per dire che non stenderò mai una “scaletta”; sono i personaggi che decidono cosa fare: non io, loro.
Bacissimi!
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“… Penso, però, a due cose. Sulla piattaforma Splinder postai ben 100 (cento!) puntate del romanzo “Alex Alliston” con un numero di commenti quattro o cinque volte superiore a quanto ricevo qui. La seconda, che forse è banale, riguarda il giorno di pubblicazione, che per “Come Randall Flagg” è sempre la domenica. In effetti, non posso certo pretendere che una persona stia in casa per leggermi 🙂 Per questo ho parlato di “banale”…!
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Eppure c’era qualcuno, di mia conoscenza, che rimaneva in casa pur di leggere la pubblicazione della domenica.
E dunque, in una sorta di collage, vorrei inserire quanto, credo, ben si adatti a questo bellissimo capitolo che è il ventiquattresimo.
(*) (… è tutto vero)
… Sir Cuthbert si alzò per parlare alla Camera dei Lord.
Probabilmente sarebbe stato il suo ultimo discorso, pensò, e di certo sarebbe piaciuto a ben pochi. Come sempre, si esprimeva in modo pacato, ma fermo.
“Sono stupito.”, esordì. “Per la prima volta in vita mia, mi trovo concorde con le opinioni espresse dal partito laburista, e questo non è un buon segno.” Notò che tutti lo ascoltavano con estrema attenzione: con quell’esordio, aveva già chiarito in anticipo la sua posizione, che ovviamente non era condivisa dai più, liberali o conservatori che fossero. “E’ vero.”, proseguì. “L’ultimatum che l’Austria fece pervenire al governo serbo era duro e arrogante, ed è altrettanto vero che ciò nonostante la Serbia cercò di soddisfarne la maggior parte dei punti, eccetto due che risultavano inaccettabili. …
… Da fuori giungeva un odore fortemente sgradevole, lezzo di cadaveri, di corpi decomposti, di morte. La fantasia distorta dal panico che gli suscitava Flagg gli mostrò dei grandi uccelli neri, cavalcati da demoni ghignanti. In alto, chissà dove, celato alla vista, un corvo gracchiava. …
Ne riesci a vedere l’attinenza?
La bellezza di un’opera letteraria densa di pulizia e … filtri magici?
Non riuscirei a recensirla neanche se volessi.
Muto in silenzio a leggere e a farmi travolgere dal fatto, dall’evento.
“Venti ore senza un commento per un post nuovo. Per me è un record.” …
Dovessero passare venti giorni
… la bellezza non sfiorisce mai.
Sei davvero brava!
Bonsoir et salutations … à Jacqueline
🙂
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@ SVM VII sono commossa, e non scherzo!
Ci sono i commenti di chi legge molto superficialmente (o di chi non legge affatto), esistono poi – ed è questo che a me dà tanta forza – i contributi di persone attente, veramente interessate, e io, quando scrivo, penso a loro.
Gli esempi da te forniti dimostrano grande sensibilità e mi lusingano davvero tanto.
Ti ringrazio di cuore 🙂 E, se ho ben capito, saluto Jacqueline.
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Più penso di intuire uno sviluppo, più la tua fantasia disegna nuovi scenari. Corro a leggere la prossima puntata! 🙂
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@ JULIAN VLAD e io ti ringrazio per la tua assiduità 🙂
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You’re welcome!
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Un turbinio di emozioni a volte contrastanti. Leggerti è bello ma richiede (come sempre del resto quando si legge) mente libera e pronta. Tu ci riesci.
sherabbraccicari
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