La riunione si prolungò, e per Aidan arrivarono altri caffè. Rispose a nuove domande, ne lasciò cadere alcune, spiegò che soltanto a posteriori aveva appreso l’identità del criminale responsabile di ciò che era accaduto a Giulia. Dopo aver fissato un nuovo appuntamento, uscì dal bar e si eclissò nella notte. A bordo della moto, andò a Lecco, dove prese alloggio in un vecchio albergo prospiciente il lago. Dalla camera scrutò le acque scure, sulle quali si riversava la pioggia, mentre in cielo i lampi si rincorrevano. Da lì Consonno, ugualmente bersagliata dal maltempo, era invisibile, sebbene fosse poco distante: ma Aidan sapeva perfettamente dove si trovava.
Rimase immobile a guardare il lago, immerso in profonde riflessioni.
Trascorsero due giorni, in cui non successe alcunché di significativo; al termine del secondo, verso l’imbrunire, una nebbia quasi autunnale si era impossessata del panorama circostante. Un uomo, abbigliato in maniera inadeguata al tempo, percorreva a piedi il viottolo che conduceva all’entrata principale di un fabbricato. La struttura era situata nel verde di una conca, ciò nonostante aveva un aspetto vagamente sinistro.
L’uomo era spaventato e ansioso. Era anche in parte stizzito, nonché stanco a causa del lungo viaggio in treno che lo aveva portato a intraprendere una missione per lui odiosa.
Lo spavento nasceva dall’orribile morte di Luca Barbenni. E se in qualche modo avesse deluso il suo Padrone? Gli sarebbe toccata un’identica sorte, e non era per nulla una prospettiva piacevole. L’ansia derivava da quello che stava per fare: molte cose potevano andare storte, non ultima che qualche poliziotto si mettesse sulle sue tracce. Di lì a un’ora avrebbe preso il treno per il rientro e, se informati da un infermiere di ciò che aveva fatto, lo avessero atteso alla stazione? La stizza era dovuta alla promessa di un piacevole incontro con un ragazzino, che era stato rimandato. Prima, doveva portare a termine quanto gli era stato ordinato di fare (con questo non metteva in dubbio che la promessa sarebbe stata mantenuta, però avrebbe preferito anticipare i tempi). La missione, infine, era odiosa: gli piacevano i bambini, ma non era un assassino.
Seguendo le istruzioni ricevute, girò intorno all’edificio. Il terreno era umido per via della pioggia caduta in abbondanza nelle prime ore del pomeriggio. Un prato separava l’altro lato della costruzione da un piccolo bosco; ai margini del prato c’era una vasca di pesci rossi (senza pesci) e sulla sinistra del bosco un orto che aveva conosciuto tempi migliori. Oltrepassò la porta di servizio e qualche metro più avanti trovò – come da indicazioni – un’altra entrata, accanto a una catasta di legnami. Non era chiusa a chiave, la aprì senza problemi. C’era un corridoio, lungo e buio. In fondo, una porticina immetteva nel locale caldaie, oltre a questo una scala portava ai piani superiori. I gradini necessitavano di un buon lavoro di manutenzione, sembravano sul punto di rompersi da un momento all’altro. Con circospezione Stradilasi li affrontò per giungere a un’ulteriore porta. Ed ecco il reparto che cercava. Si guardò attorno: non vide nessuno. I pazienti avevano già cenato e ora si apprestavano a dormire oppure a causare problemi, a seconda dei casi. Stradilasi individuò la stanza che cercava ed entrò. Era una singola perché qualcuno pagava la differenza per lei; Stradilasi ignorava chi fosse, ma L’Uomo Nero lo sapeva. A quanto pareva, sapeva tutto.
Una sola luce era accesa.
La donna giaceva supina sul letto, lo sguardo assente rivolto al soffitto. Il vassoio con i resti della cena – in realtà, la gran parte della cena – era rimasto sul comodino; evidentemente l’infermiera o chi per essa aveva iniziato a sbarazzare, tuttavia senza completare l’opera. Le ragioni potevano essere svariate: noia, pigrizia, una chiamata improvvisa. Ciò significava che presto sarebbe tornata, quindi bisognava far presto.
Stradilasi tirò fuori da una tasca la siringa preparata da Flagg.
Gli sembrò pesantissima… una tonnellata e forse più.
In bocca sentiva un sapore viscido, qualcosa di molto più che sgradevole, e a un tratto si accorse che sudava. Brandì la siringa come fosse un’arma, e in effetti lo era, ma si bloccò quando fu vicina al braccio scoperto della sua vittima. Gli tremavano le mani. Non posso, si disse. Non posso farlo. Poi pensò all’Uomo Nero.
Mi perdonerà. Capirà.
No. Non avrebbe capito e non lo avrebbe perdonato. Sotto questi aspetti ormai lo conosceva bene; a sufficienza, comunque, per escludere a priori ogni parvenza, sia pur minima, di comprensione. Flagg non ammetteva la disobbedienza, non accettava gli errori, non stava ad ascoltare le giustificazioni.
Stradilasi rimase fermo a fissare la donna, la mano che stringeva la siringa tremante, il sudore copioso, benché nella camera non facesse affatto caldo.
Paola uscì di casa per sbrigare una commissione. Era tardi e forse avrebbe trovato la lavanderia già chiusa. Niente vestito a fiori: sua madre avrebbe dovuto svegliarsi prima, e in ogni caso quell’abito non le donava; lo avrebbe indossato l’indomani l’altro.
Era stata una bella giornata di sole, priva d’afa, e adesso la sera calava come un incantesimo, preannunciando una notte scintillante di stelle. Incrociò alcuni ragazzini diretti al campo di calcio; la conoscevano e la salutarono con entusiasmo.
La lavanderia era chiusa. Paola girò sul retro e suonò il campanello di una casa confinante con l’esercizio. Lì abitava Sabrina, la simpatica proprietaria. La donna si affacciò alla finestra, dischiudendo le labbra in un sorriso che l’avrebbe resa molto attraente, non fosse stato per i denti da cavallo. Seguì uno scambio di battute scherzose. “Spedisco giù mio marito.”, dichiarò infine Sabrina. La frase suscitò ilarità in chi l’aveva pronunciata e in chi l’aveva ascoltata, ma se Sabrina rideva di gusto, non altrettanto si sarebbe potuto dire di Paola che la imitava per una forma di cortesia.
Di punto in bianco, infatti, e non per la prima volta durante le ultime settimane, era stata raggiunta dall’immagine dell’Uomo Nero, così come se la figurava (e c’era una differenza rispetto ai sogni, benché lei stessa non avrebbe saputo spiegarsene il motivo). Mentre rideva, o più esattamente fingeva di farlo, aveva poi pensato a Luca Barbenni e alla sua tragica fine. Davanti alla morte, non esistevano antipatia e disprezzo; questo, almeno, era il suo convincimento. Il pensiero successivo fu rivolto al forestiero, Aidan. Per assonanza, si concentrò su Attilio. Non aveva mai ritenuto di amarlo, amarlo veramente come facevano le eroine dei libri che leggeva o le protagoniste di certi film; adesso, però, si rendeva conto che non provava più nulla per lui, se non uno sbiadito affetto. Paragonato allo sconosciuto cavaliere errante – in questo modo considerava Aidan – egli scompariva. Attilio era un bravo ragazzo, di indole gentile; non aveva mai preteso ciò che lei non intendeva dargli, solo qualche tentativo di andare oltre, pronto a ritrarsi a seguito di una sua occhiata severa. Un amico. Un buon amico. Gli augurava una fidanzata meno complicata. Aidan era qualcosa d’altro. Ma chi era veramente? Aveva evitato di rispondere a una domanda relativa al bastone cui si appoggiava per camminare. Disponeva di poteri… magici, come aveva fatto notare Berisha. Tuttavia era un argomento sul quale preferiva sorvolare.
Era talmente assorta che non si accorse della presenza di Guido, il marito di Sabrina, se non quando si sentì toccare un braccio. “Non ti avrò spaventata!”, commentò, vedendola sobbalzare. Lei gli sorrise. Era un uomo gioviale, forse un po’ troppo gioviale quando esagerava con il vino. Sempre meglio di quelli che diventavano rissosi e violenti. Estrasse una grossa chiave da una tasca dei pantaloni, armeggiò con la serratura e finalmente riuscì a entrare dalla porta sul retro. Il vestito era pronto, lo prese e confezionò un pacco con movimenti laboriosi, quindi lo porse alla giovane. “Questa sera, risotto con i funghi e pollo alla cacciatora!”, dichiarò soddisfatto. “I funghi li ho trovati io, di mattina presto. Sono andato fino in Svizzera, c’è un posto speciale che pochi conoscono, però guai a tardare, altrimenti qualcuno li fa sparire e tu rimani a bocca asciutta. Il momento migliore è poco dopo l’alba. Non che mi piaccia svegliarmi con il buio, ma ne valeva la pena. L’importante è non farsi beccare, non ci mettono niente a sbatterti dentro! Alla frontiera bisogna nasconderli bene. Ti va un calice di rosso?” Dall’alito e dalla raffica di parole Paola arguì che era già sulla buona strada di una bella sbronza; declinò l’offerta, ringraziandolo, e, dopo aver salutato Sabrina che era ancora alla finestra, intraprese il cammino di ritorno. Intanto, continuava a pensare al “cavaliere errante”.
I sogni muoiono all’alba o al tramonto? Paola scrollò le spalle. Era un interrogativo stupido. Semplicemente, non bisognerebbe sognare, perdersi in fantasticherie inutili. Presto o tardi, Aidan sarebbe ripartito e lei non lo avrebbe più visto. La vita non è una soap opera, concluse acidamente. Svegliati, ragazza!
Mentre Paola si avviava verso casa e Stradilasi esitava davanti al letto della stanza numero quattordici, Berisha fissava cupamente la casa dove aveva vissuto il professor Brendeen Reed. Si era recato a Erba per acquistare alcuni prodotti che servivano per intrecciare cesti di vimini e, portata a termine l’incombenza, aveva intrapreso quel pellegrinaggio forse privo di senso.
La serata, tiepida e piacevole, non migliorava il suo umore. Era scontento per varie ragioni. Innanzi tutto, non amava ciò che non capiva, e la morte di Luca Barbenni gli appariva assurda, al limite della fantascienza. Quando mai gli uccelli – questa era la versione ufficiale – assalivano gli esseri umani? Se Aidan ne conosceva il motivo, dalla sua bocca non era trapelata una parola.
Poi, lo stesso Aidan, con tutti i suoi misteri, le allusioni, i concetti spesso espressi in modo oscuro, la ritrosia nell’affrontare determinati argomenti. Era lì per aiutarli, questo sì, ma si comportava in maniera strana; a volte sembrava che li considerasse – lui, Paola, Vale – come fossero dei bambini. D’accordo, Vale lo era, però era l’unico. In ultimo, non si era attenuato il dolore causato dalla dipartita del professore americano. E le visioni? E i dannati sogni? Ulteriori tasselli di un puzzle stravagante. A giorni alterni il puzzle assumeva significati diversi.
Naturalmente non aveva sentito le esternazioni, dettate dal vino, di Guido, e quindi i riferimenti alla verde Svizzera: in caso contrario, la sua sorpresa sarebbe stata grande. Quasi evocata dal racconto di funghi, all’improvviso comparve la vecchia megera, appunto di nazionalità elvetica. Lo stava osservando da qualche minuto, senza che lui se ne fosse accorto; ora si era fatta avanti.
Come tutti in paese, Berisha la conosceva solo di vista, non si erano mai parlati e, se possibile, egli la evitava. In lei ravvisava un’aura sinistra, simile a una nube scura in una giornata altrimenti bella. Emanava vibrazioni negative che, unite al suo aspetto, facevano pensare che fosse una strega. Trascorreva il tempo girando per vie e piazze, borbottando frasi incomprensibili. Adesso lo guardava, lo scandagliava con gli occhietti maligni. A dispetto del clima estivo, indossava indumenti pesanti e, in palese contraddizione, si faceva aria con un ventaglio dall’aria pretenziosa. Le scarpe, tuttavia, erano logore e i vestiti dimessi. Con la mano sinistra reggeva una sporta, tenendo libera la destra per agitare il ventaglio.
Parlò a voce bassa, guardandosi alle spalle come se temesse di essere spiata. Un italiano avrebbe notato la classica cadenza ticinese, non Berisha, dato che essendo straniero non era in grado di cogliere sfumature e inflessioni, sebbene si esprimesse più che correttamente nella lingua del Paese d’adozione. Il giovane le lesse sul viso debolezza e paura. E c’era dell’altro: un senso di inquietudine, una parvenza di trattenuto rimorso, l’idea che il mondo fosse andato avanti, lasciandola, suo malgrado, indietro. Tutto questo colse nel breve spazio di pochi secondi, poi si limitò ad ascoltare.
Era stata costretta, lei disse. Era stata costretta a entrare in un ingranaggio perverso, contro la sua volontà, contro i suoi sentimenti. Aveva lasciato la Svizzera a causa di certi eventi, aggiunse senza specificare quali. Si era trasferita lì, nell’appartamentino che aveva in affitto al confine con Arosio in seguito a un’inserzione apparsa sul Corriere del Ticino. Trascorreva serenamente gli ultimi anni, esclusi gli acciacchi dovuti all’età avanzata; le piaceva camminare, respirare aria buona, osservare colline e montagne. Forse non era molto, continuò seguendo un filo che a Berisha parve quantomeno contorto, ma per lei andava bene. Si accontentava. Aveva dimenticato certi peccatucci commessi quando era ancora giovane, li aveva proprio rimossi, perciò era come se Dio l’avesse assolta (un ragionamento che Berisha accolse con scetticismo). Ma un brutto giorno aveva incontrato Lui, preferiva non pronunciare quel nome, ed era stata incaricata di una missione. Era una cosa semplice, le aveva detto per rassicurarla, facile come bere un bicchier d’acqua. In realtà non doveva fare nulla in prima persona, soltanto fungere da tramite. Le era stato fornito un indirizzo – questa casa! – e un nome. “Vai lì”, le aveva ordinato, “e aspetta di vedere quell’uomo in faccia. Il resto, accadrà per mezzo mio.” Quanto era fredda quella voce! Gelida, da ghiacciare il sangue nelle vene. Lei aveva obbedito, non poteva opporsi, anche se lo avrebbe tanto voluto.
Finita la confessione, o quello che era, fissò Berisha con aria ansiosa, quasi si aspettasse una nuova assoluzione.
una puntata piena di dubbi e interrogativi che si scioglieranno, forse, nella prossima.
Un caro abbraccio
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@ NEWWITEBEAR il mio intento è quello di scrivere una storia ampia, di qui la presenza di capitoli propedeutici che pongono per l’appunto dubbi e interrogativi, in attesa di sciogliere i vari nodi. Con questo, lo reputo comunque un passo importante, in particolare per il finale, ma anche per altro.
Un grande abbraccio.
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mi hai messo una pulce nell’orecchio… Spero di eliminarla la prossima domenica. Un caro abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR qualche pulce dovrebbe scomparire, almeno lo spero 😀
Grazie!
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O.T. Your stats are booming! Lady Alessandra is getting lots of traffic. 🙂
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Che passaggio ricco di personaggi, tutti stravaganti e complessi e descritti in profondità. 🙂
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@ RODIXIDOR so che sei sempre sincero. Quindi, ti ringrazio di cuore 🙂
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Una puntata che contestualizza molto bene alcuni personaggi. Transizione utilissima per la storia costruita. Un saluto estivo. Univers
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@ UNIVERS81 anche per me questa transizione è importante.
Un abbraccio estivo!
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Solo un saluto in allegria!
Sherabientot
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@ SHERAZADE ricambio con tanta simpatia 🙂
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Molto intenso, tre storie parallele in questo capitolo, ognuna coinvolgente e, come tua caratteristica, così ben descritta e ricca di dettagli da agevolare la… visione degli accadimenti, come essere lì 🙂 RIcordi? Ne abbiamo parlato, questa è una qualità degli scrittori più bravi, e tu l’hai in pieno 😉
La donna sul letto deve avere una importanza fondamentale, visto che l’uomo nero ha scomodato le sue capacità per eliminarla… 😐
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST troppo buono 🙂
La donna sul letto… spoiler: è Giulia 😀
Buona giornata!
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Capitolo intenso per quantità e qualità espressiva. Tanti personaggi per soddisfare le funeste geometrie dell’ uomo nero. Che dire? Speriamo che qualcuno si salvi.
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@ ILI6 se qualcuno si salverà? Lo spero pure io, ma sai com’è 😛
Scherzi a parte, ti ringrazio e ti abbraccio.
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Ora vorrei proprio sapere, cosa è successo, cosa ha detto quell’uomo. La storia è bella contorta e articolata. Sì, ogni puntata accende un mistero. Erba, Arosio, Svizzera, Consonno… Sai, da oggi mi guarderò le spalle!
Di nuovo scusa la pigrizia… E’agosto e mi sto dedicando a casa, lavoro, ferie (poche), studi… è comunque sempre un piacere leggerti anche se, per gusto mio personale, o per un mio problema fisiologico… ( lo stesso che mi ostacola nel proseguire il mio famigerato romanzo), ohimè, preferisco i racconti.
Buona estate, amica mia.
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@ LADY NADIA è vero! Sono i tuoi luoghi!
Niente scuse, non occorrono: la pigrizia è santa 🙂
In genere cerco di postare un racconto a metà settimana; infatti so bene che le lunghe storie a puntate possono piacere meno.
Buona estate a te, mia amica!
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