Meg digitò la parola “fine”, rilesse le ultime righe, poi salvò il documento e spense il computer. Il sogno del gabbiano era il suo quinto romanzo e, senza ombra di dubbio, il migliore dei cinque. Quando aveva pubblicato Viaggio in Giappone era una perfetta sconosciuta, ma ciò non le aveva impedito di balzare in testa alla classifica del New York Times. Egual sorte era toccata ai tre libri successivi, e alla casa editrice fremevano in attesa del suo nuovo lavoro. Avrebbero stampato cinquecentomila copie della prima edizione, ma contavano di arrivare a una tiratura complessiva di cinque milioni di esemplari.
Meg Forrest aveva due segreti. Il primo si chiamava semplicità. Possedeva il raro dono di saper scrivere in modo fluido, lineare, scorrevole, senza per questo risultare banale. Il secondo segreto era l’empatia che la univa alle sue lettrici. Poco importava che fossero americane, francesi o italiane: quando leggevano i romanzi di Meg era come se vedessero la propria vita trasferita su carta; nei sentimenti delle protagoniste ravvisavano le loro emozioni più intime, quelle sensazioni talmente personali di cui non avrebbero mai osato parlare. Mariti, padri, figli ne erano all’oscuro; ma Meg le conosceva e sapeva descriverle con un’efficacia che rasentava la magia. Sembrava che parlasse personalmente a ognuna di loro, e non a caso Newsweek le aveva dedicato una copertina dove il titolo a caratteri rossi che campeggiava sopra a una bella foto di studio suonava emblematico: La magia della Forrest.
Meg guardò fuori della finestra. Era una stupenda giornata di sole; spirava una lieve brezza che accarezzava le onde dell’oceano; il cielo era azzurro, sgombro da nubi. A piedi nudi, con un paio di pantaloncini jeans e una canotta bianca, Meg scese in spiaggia accompagnata dai suoi tre grandi amici. Ciascuno di essi era legato a un libro, perché Meg riteneva che fossero loro a darle le idee migliori, e forse non sbagliava dato che le venivano sempre quando passeggiava sul litorale. In quei momenti non pensava, non cercava intrecci o soluzioni: lasciava che si presentassero da soli, mentre lei assaporava il contatto del sole sulla pelle e contemplava la grande distesa d’acqua che si perdeva all’orizzonte. Avrebbe voluto prendere un quarto cane, ma poi si era detta che se fosse arrivata a dieci romanzi la situazione sarebbe diventata un po’ complicata. Perciò vi aveva rinunciato, sebbene a malincuore.
Meg era nata a New York, dove per anni aveva lavorato come cameriera in un fast food. Alla sera, invece di uscire con le amiche, scriveva. Usava una matita e riversava le sue storie su un voluminoso quaderno. Quando finì Viaggio in Giappone lo battè faticosamente a macchina, cercando di incorrere nel minor numero possibile di errori, e quindi spedì il manoscritto a sei differenti Case Editrici. Qualche mese dopo ricevette sei garbati rifiuti. Se l’avevano bocciata in sei, significava che non era provvista di talento. Era solo una ragazzina presuntuosa che aveva erroneamente creduto di poter diventare una scrittrice. Fu Jane a dirle di insistere. Jane lavorava con lei e aveva letto il romanzo. “Ho pianto come una fontana! Quelli non capiscono niente, ma tu non ti devi arrendere.” Meg fece un ultimo tentativo. Questa volta arrivò una busta che conteneva una proposta di contratto e un assegno di duemila dollari.
Quando guadagnò il primo milione, Meg comprò una grande villa che dava sull’oceano e lasciò per sempre New York. Prima di partire, rilevò un ristorantino italiano da un’anziana coppia di coniugi e lo regalò a Jane.
Adesso la sua vita era perfetta. Abitava in un luogo meraviglioso, a costante contatto con la natura, godeva dell’affetto dei suoi tre cani, scriveva, passeggiava sulla spiaggia, ascoltava i suoi dischi preferiti. Fin da bambina era sempre stata autosufficiente e, crescendo, non era cambiata. Perciò non le mancava la compagnia di un uomo, anche perché non conservava un buon ricordo delle uniche due relazioni che aveva avuto. John era uno psicopatico. Se n’era resa conto quando l’aveva picchiata senza motivo per la prima volta. Lo aveva perdonato, e come ricompensa lui l’aveva letteralmente massacrata, facendola finire in ospedale. Meg lo aveva denunciato e in seguito si era divertita a inserirlo in un romanzo, riservandogli il ruolo peggiore. Sam era avido di denaro e stava con lei per interesse. Anche lui era diventato protagonista di un libro. Il lato ironico della situazione era che, sebbene fossero due uomini pessimi, a livello letterario avevano funzionato magnificamente. Molte lettrici erano sposate con un John… Meg le aveva insegnato a ribellarsi. E non mancavano neppure i Sam, benché fossero meno numerosi dei John, probabilmente a causa della scarsità di occasioni adeguate.
Due anni prima Meg era andata a Cannes per il festival del cinema. Avevano tratto un film dal suo secondo romanzo. Non era un buon lavoro e Meg si era ripromessa di non ripetere l’esperienza. Il suo agente si era messo le mani nei capelli. Con i diritti cinematografici si guadagnavano cifre immense. “Non credo di aver bisogno di altri soldi.”, aveva ribattuto lei. A Cannes, più per curiosità che per reale interesse, si era lasciata sedurre dall’attrice che interpretava la parte della protagonista. Meg pensava che i suoi cani fossero dotati di un talento superiore, però doveva ammettere che come donna era notevole. Alta e statuaria, aveva un viso splendido: sarebbe stata perfetta ai tempi del cinema muto. In compenso, Monica era molto abile a letto. Meg aveva trascorso una notte inebriante, tuttavia aveva preferito troncare la relazione sul nascere, in quanto non riusciva a immaginare un futuro tra loro. L’attrice si era consolata concedendosi a un cantante rock, e Meg era tornata in America.
Camminava assorta in quei ricordi, quando vide un uomo che si dirigeva verso di lei. Indossava un paio di jeans tagliati al ginocchio e una maglietta dei Los Angeles Lakers. Era a piedi nudi. I capelli, piuttosto corti, lasciavano intravedere i primi fili grigi; aveva un volto interessante, sebbene non propriamente bello. Le spalle ampie e le braccia muscolose facevano pensare a uno sportivo, forse un surfista. Procedeva a capo chino, come se fosse immerso in profondi pensieri, e per poco non le finì addosso.
“Mi scusi!”, esclamò. “Ero distratto.”
“Non è successo niente di grave.”, lo tranquillizzò lei.
Poi gli tese la mano. “Mi chiamo Meg. Meg Forrest.”
Lui non diede segno di riconoscerla. Evidentemente non leggeva molte riviste e non aveva mai visto il suo viso sulla quarta di copertina di uno dei suoi romanzi.
“Michael.”, disse. “Ma per gli amici Micky.”
Nella vita esistono dei momenti particolari, come intessuti nella stoffa dei sogni. Meg li aveva descritti nei libri che aveva scritto, però non li aveva mai sperimentati. Ricordava una frase che le aveva detto Monica. Fra loro parlavano in un francese stentato, perché Meg non conosceva l’italiano e l’inglese dell’attrice era alquanto approssimativo. Sosteneva di aver avuto un coup de foudre. Meg sospettava che non fosse vero e che più prosaicamente si sentisse attratta dal suo corpo, o forse dal suo cervello, dato che era entrata nei panni di un’eroina creata da lei. Quei panni le stavano larghi, ma questo non escludeva che li avesse fatti suoi e che provasse un forte interesse per chi li aveva immaginati e cuciti. Non l’aveva amata nemmeno per un secondo, ne era quasi certa, ma quell’espressione le era rimasta in mente.
Sorrise fra sé, rammentando un passo di Viaggio in Giappone:
“Helen osservava lo sconosciuto, chiedendosi cosa avesse di speciale. A livello razionale, la risposta era una sola: niente. Eppure, malgrado non fosse particolarmente bello o aitante, né spiccasse per una qualche attitudine, emanava un’aura che lei riusciva a scorgere, e che, incredibilmente, accelerava i battiti del suo cuore. Sei soltanto una sciocca sognatrice!, si rimproverò Helen. Non sai nulla di lui, tranne il fatto che non lo rivedrai mai più e che, in ogni caso, tu non sembri interessargli più di quel vaso di fiori. Era un ragionamento sensato, convenne con se stessa, ma un istante dopo capì che non doveva perdere l’occasione, perché non si sarebbe ripresentata, e, per quanto folle potesse sembrare, lei amava quell’uomo.”
Meg si sentiva simile a Helen. Conosceva solo il suo nome – non le aveva rivelato neppure il cognome – lo considerava moderatamente attraente: ma di tipi simili era pieno il mondo. Ciononostante, le tremavano le gambe, esattamente come era accaduto a Helen, e provava il desiderio di parlargli, di camminare con lui… di finire fra le sue braccia. Stava per ripetersi il discorsetto che aveva messo in bocca a Helen, quando abbassò lo sguardo e gli osservò le mani. Erano forti e ben fatte. All’anulare scintillava una vera.
Tutto quel castello di cartapesta crollò miseramente, lasciandole un senso di vuoto. Scosse la testa, come per ricomporsi. Sorrise a Michael, un sorriso incerto che non si estendeva agli occhi, e si allontanò lentamente da lui. I cani sembravano scontenti di quella decisione, la tiravano come se volessero tornare indietro. Michael piaceva anche a loro… e questa consapevolezza le fece sentire l’amaro in bocca; rappresentava un altro punto a suo favore, anche se in realtà non avrebbe saputo individuare gli altri. Però, li immaginava, li vedeva, come quando lavorava al pc, descrivendo la personalità delle Helen, delle Catherine, delle Susan, che vivevano per interposta persona, ma che nel suo cuore esistevano veramente.
Si disse che Michael era un uomo buono, solido, provvisto di un fondo di malinconia. Non era particolarmente espansivo, ma sapeva essere dolce e rassicurante. Ecco: quella era la parola giusta. Micky sapeva proteggere una donna, ed era capace di farla sentire importante. Poteva essere paragonato a una roccia. Avrebbe sempre difeso la sua compagna dai marosi; l’avrebbe riscaldata e accudita.
Si voltò. La sagoma dell’uomo era ormai lontana. Pensò di corrergli dietro. Di fermarlo. Di dirgli…
Ma Micky non le apparteneva. E non lo avrebbe mai rivisto.
Accarezzò i cani, mentre un soffio di vento le scompigliava i capelli. All’improvviso sorrise ancora, questa volta in modo più convinto.
“Oh no, mia cara Meg Forrest! Qui ti sbagli!”
Michael sarebbe stato suo per sempre.
A partire da quello stesso giorno.
Perché, quando fosse tornata a casa, avrebbe riacceso il computer per scrivere un nuovo romanzo.
La storia di Micky.
LA MAGIA DI MEG
25 luglio 2017 di Alessandra Bianchi
26 Risposte
Ho una domanda da farti. Per una strana coincidenza proprio ieri pensavo che i personaggi che invento nelle mie storie poi mi rimangono nei ricordi insieme ai luoghi descritti nelle storie come ricordi di vita vissuta. Poi oggi nel pomeriggio ho incrociato una persona che in passato aveva già visto e solo oggi mi rendevo conto che quella persona era diventato personaggio in una mia storia (rimasta in bozza). Ora leggo questo tuo suggestivo scritto. Succede anche a te questa cosa?
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@ RODIXIDOR certamente sì.
E questo a volte vale anche per personaggi molto, diciamo, “lontani”, come ad esempio Yarbes, Monica Squire o Phil Weir. A livello di ispirazione c’è spesso qualcosa. In certi casi, molto; in altri casi, magari soltanto una scintilla.
Buona serata 🙂
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Quello che a volte mi da’ una sensazione di vertigine è che i personaggi su cui ho lavorato di più, mi rimangono in mente come se realmente fossero esistiti.
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@ RODIXIDOR preciso! Ciò succede anche a me.
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un bel racconto, ben strutturato e godibile nelle lettura. Meg è una grande scrittrice come te.
Un caro abbraccio
O.T quando scali le classifiche del NYT?
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@ NEWWHITEBEAR troppo buono 🙂
Un grande abbraccio.
O.T. eh eh 😀
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troppo modesta 😀
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR ricambio!
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Ah questi scrittori, sempre pronti ad arraffare! 🙂
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@ IVANO F così sembrerebbe 😀
Ogni bene.
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Un pezzo emotivo in tuo “vecchio stile”, di quelli che entrano dentro. Ha ragione Rodixior, e ti dirò di più: i tuoi personaggi si insinuano anche in noi lettori. Hai una capacità incredibile, direi magica. Dovresti scalarle sì le classifiche, cara amica!!!!! A presto!
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@ LADY NADIA ti ringrazio per il commento e per l’augurio. Temo peraltro che scalerò le rampe di casa 😛
Un bacio, amica mia!
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Ah ah ah!
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Sei unica cara, bacioni, ❤
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@ LAURA grazie mille, tesoro!
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❤
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Michael N. era un uomo buono, solido, provvisto di un fondo di malinconia.
Non era particolarmente espansivo, ma sapeva essere dolce e rassicurante.
Ma Micky non le apparteneva.
E non lo avrebbe mai rivisto.
Si voltò.
La sagoma dell’uomo era ormai lontana.
Pensò di corrergli dietro.
Di fermarlo.
Di dirgli…
… Ma Micky N. non le apparteneva. E non lo avrebbe mai rivisto….
Una splendida riedizione Splinderiana.
Quelle serate contornate dalla bellezza degli apporti e dalla leggerezza “…
dell’essere … “.
Meg venne prima di Aqualung e dopo Phil Weir.
Apparentemente una contraddizione in termini, ma … eri tu!
Il mondo, dunque, poteva girare…
Sempre bello come brano dove, davanti a tanta collaudata completezza, non riesco né ad analizzare, né a perdermi in commenti compiacenti.
Subisco e basta.
… e chiudo gli occhi, per un istante, rivedendoti, in tutta la tua dolcezza …
SVM VII
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@ SVM VII un contributo, il tuo, che emoziona e riscalda il cuore.
Non so se sono dolce, so che quando scrivo cerco sempre di dare il massimo, poco o tanto che sia. Qui come su Splinder, anche se – in tutta franchezza – WP sembra un cimitero, dal quale a volte emergono cadaveri ambulanti – non di sabato, per carità! non di domenica, per l’amor del cielo! – che presto faranno ritorno alle loro tombe per continuare il sonno.
Ti ringrazio moltissimo!
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Già:
La Fiera della salma!
E cosa vuoi farci?
Lasciamoli annegare nella loro vanagloria. Non capiranno mai come, noi, stavamo bene con tutti e soprattutto con noi stessi.
Ricordi?
Ti abbraccio
SVM VII
(Per esempio: ma te la ricordi? …)
🙂
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@ SVM VII sicuro che me la ricordo 🙂
Ti abbraccio anch’io.
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Non stavi mica descrivendo/riflettendo un po’ te stessa? Godibile pezzo comunque. Un saluto estivo, Univers.
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@ UNIVERS81 forse un pochino, caro 🙂
Saluto ricambiato!
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Molto interessante, e non solo per la presenza degli amici a quattro zampe! 😀
In un certo senso gli scrittori hanno la fortuna di… riscrivere la propria vita e sentirla forse più reale di quella vera. I più bravi riescono a trasmettere il loro sogno a tutti coloro che, desiderandolo pari pari, ci si riconoscono. Hanno un grosso merito per questo e il successo li premia. Almeno generalmente 🙂
… ma “Monica”… in quanti dei tuoi romanzi e racconti è già comparsa? 😀
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST sono d’accordissimo con quanto scrivi.
“Monica”? Varie volte, però qui è Margherita (diminutivo).
Ciao, lupo 🙂
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Mi è tanto piaciuta questa storia.
anche i lettori a volte fanno propri i personaggi di alcuni romanzi, ma immagino che per gli scrittori sia cosa ancora più forte e complessa.
Mi chiedo cosa accada ai ghost writer che scrivono su commissione.
Buona giornata Alessandra
Alla prossima 🙂
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@ ILI6 ciao, bella tusa!
Sono contenta che questo racconto ti sia piaciuto. Per quanto riguarda i ghost writer bisognerebbe chiedere a mr. James Patterson, noto per lo sfruttamento di costoro 😀
Buona serata!
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