Se Berisha era ancora sconcertato per l’aggressione dei quattro teppisti, dopo la domanda dello sconosciuto, la dimenticò immediatamente.
Spalancò la bocca, passandosi la lingua sui denti per accertare che fossero ancora tutti intatti, e lo fissò, stupefatto. Cosa ne sapeva lui di Neil Young? Prima che potesse parlare si sentì rivolgere un’altra domanda. “C’è un medico qui nei paraggi?”
Berisha annuì. “Il dottor Brenna. Abita lì.” Indicò una villetta, leggermente rialzata rispetto alla strada, dalla quale la separavano un cancello e un piccolo prato in lieve pendenza, un po’ trascurato. (Si poteva pensare che gli studenti che avrebbero dovuto tagliare l’erba fossero scesi in sciopero, a causa della paga troppo scarsa). Dal retro, mediante un sentiero in terra battuta, si accedeva alla provinciale, fra Arosio e Lurago d’Erba, nei due sensi, nord e sud.
“Ha lo studio al pian terreno. Ma…”
“Andiamo.”, disse l’uomo, senza curarsi del manifesto sbalordimento del giovane. Si avviò, appoggiandosi al bastone; Berisha lo seguì.
Il dottor Brenna aveva oltrepassato da un pezzo l’età della pensione, ciò nonostante contava più pazienti del bambino travestito da medico che esercitava sull’altro lato del paese, a circa due chilometri di distanza, e che, di norma, non visitava mai, ritenendo che la sua professione prevedesse esclusivamente il ricorso agli specialisti e agli esami che prescriveva senza risparmiarsi. Brenna spesso era ubriaco: questo non gli impediva di mettere a frutto con competenza l’esperienza di una vita. La pancia prominente denotava che, oltre a essere un amante del vino (e del cognac), era anche una buona forchetta.
Osservò con curiosità il viso di Berisha, quindi lo invitò a spogliarsi. Dopo averlo esaminato e aver pulito e disinfettato le ferite, scrutò a lungo gli occhi del giovane, dichiarandosi infine soddisfatto. “Un bel match!”, commentò allegramente, prima di tirar fuori da un cassetto della scrivania il ricettario e di scarabocchiare qualcosa con una grafia pressoché illeggibile.
“Mi hanno aggredito.”, disse Berisha.
“Mmm… succede. Di questi tempi succede di tutto. Pensaci tu, se vuoi, alla denuncia: non è affar mio, anche se forse lo sarebbe. Questa è una zona tranquilla.”, considerò mentre raggiungeva il lavandino e afferrava l’erogatore di sapone liquido. “Ma per quanto ancora? Chi può dirlo?” Incominciò a lavarsi energicamente le mani. “Con tutti i dannati migranti, o come diavolo si chiamano, negri, albanesi, marocchini, presto saremo ridotti male, molto male, dico io. Di conseguenza, per oggi e per l’avvenire, ho deciso di infischiarmene. Mi limito a curare, che è poi il mio mestiere. Al resto ci pensino loro.” Non specificò a chi esattamente si riferiva con quel “loro”, se la polizia, i politici oppure gli stessi “dannati migranti”, di cui Berisha costituiva un esemplare. Finì di lavarsi e prendendo una salvietta pulita gracchiò: “Offerta libera!”
Berisha estrasse dalla tasca il portafoglio, esaminò ciò che conteneva e depose sul piano della scrivania una banconota da cinquanta euro.
“Prendi le medicine e fatti una bella dormita, figliolo.” Lo congedò Brenna. “Per me sei a posto, però se domani dovessi avvertire dei giramenti di testa o qualcos’altro di strano, be’ io sono qui. Torna pure.”
Berisha ringraziò il dottore e uscì dallo studio. Lo sconosciuto lo aspettava davanti al cancello. Gli tese la mano. “Mi chiamo Berisha.”, disse. “Berisha Nazif.” Anche se era un individuo enigmatico, gli era in ogni caso riconoscente: non fosse stato per lui…
“Aidan.” Non chiarì se quello era il nome oppure il cognome.
“Un caffè?”
Sotto il sole sfavillante, raggiunsero il bar più vicino. Una cameriera graziosa venne a servirli. Un bel ragazzo, considerò fra sé. Non pare in gran forma, ma un pensierino lo farei comunque. L’uomo, invece, le incuteva un senso di disagio, di paura. Sporse in fuori il seno, prendendo nota delle ordinazioni. Berisha chiese un caffè con il latte, Aidan lo prese senza zucchero.
“Neil Young…” Berisha saggiò cautamente il terreno. Aidan gli rivolse una breve occhiata, poi distolse lo sguardo. Sorseggiò la bevanda calda, ignorando sia la domanda inespressa, sia le implicazioni in essa contenute. Dava le spalle al resto del locale; davanti a lui una grande vetrata, che con il sole basso all’orizzonte più tardi avrebbe riflesso i raggi scintillanti del tramonto, offriva la visuale delle montagne, laggiù a est. Aidan assunse un’espressione indecifrabile, una via di mezzo fra una torva determinazione e un sentimento di tristezza. Così com’era apparsa svanì, nel giro di qualche secondo, lasciando il posto a un’aria quasi assente, come se la concatenazione di pensieri che gli erano passati per la mente fosse diventata all’improvviso inutile, superflua. O, forse, aveva semplicemente rinviato riflessioni e propositi, quali che fossero, per tornare immediatamente al presente. Se qualcuno, in quel momento, lo avesse osservato – ma nessuno lo fece – avrebbe pensato che nascondeva un terribile segreto, avvolto nelle nebbie del passato, uno di quei ricordi dai quali non ci si libera mai, oppure che fosse atteso da una prova complicata e difficile; di sicuro, non lo avrebbe invidiato. Avrebbe concluso quell’analisi reputando saggio stargli alla larga, soprattutto a causa dello sguardo freddo, gelido come una distesa di ghiaccio in una mattina di gennaio.
Berisha sfiorò con le dita i cerotti che gli aveva applicato il dottor Brenna. Si sentiva a disagio. Perplesso, insisté: “”Mi ha chiesto di Neil Young. Come… uhm, ecco, come fa a sapere?”
Dall’altra parte della strada un ragazzo camminava ascoltando del pessimo rap italiano. Fortunatamente, i vetri impedivano alla delirante voce di penetrare nel bar.
Aidan spostò di nuovo gli occhi sul giovane. “Lo vedi, vero? Non è un sogno, nemmeno un sogno da incubo, bensì una visione.”
Non molto lontano da lì, a Oggiono, al di qua delle montagne e di Consonno, il capo della sfortunata spedizione contemplava furioso la linea ondulata delle colline rivestite di verde che si protendeva verso sud, parallela ai monti. Era andato tutto male! Primo, non avevano potuto arraffare soldi; secondo, le avevano prese; terzo… interruppe il corso di quei pensieri cupi alla vista di un tale che, posteggiata una moto, si dirigeva lentamente (cautamente, gli sembrò) verso l’entrata di un discount. Non era vestito particolarmente bene, anzi non lo era affatto, ma l’istinto del cacciatore gli suggeriva che forse quel tipo poteva rivelarsi una buona preda. Non era tanto il desiderio di arraffare denaro a spingerlo, quanto la voglia di sfogarsi, di rivalersi, non importa a danno di chi. In giro non si vedeva anima viva. Ottimo.
A un incrocio avevano sbagliato strada, imboccando una via secondaria che non portava da nessuna parte. Su ambo i lati c’erano soltanto vecchie fabbriche, alcune delle quali chiuse, distanziate fra loro come cani sospettosi, un deposito di legnami, una trafileria, un cinema che aveva conosciuto tempi migliori, prima dell’avvento delle multisala, e il discount. In più, il caldo era soffocante e induceva la gente a tenersi lontana dalle strade, anche in centro, per quanto aveva notato. Uno scenario perfetto!
Fece cenno al guidatore di accostare, e saltò giù dall’automobile, seguito subito dagli altri. Quello al volante fu l’unico a rimanere in macchina. Tenne il motore acceso in vista di eventuali guai; da come la vedeva lui, sarebbe stato meglio tirare dritto fino a Milano.
In seguito, Stradilasi avrebbe ricordato ben poco di quanto accadde. Tre malviventi gli si erano avventati contro e, senza un motivo apparente, senza pronunciare una sola parola, avevano incominciato a pestarlo. Stradilasi non era in grado di difendersi, era finito a terra, proteggendosi la testa con le mani, e aveva pensato all’Uomo Nero.
Lui lo aveva salvato, facendolo scendere da quel treno; lui gli aveva trovato un rifugio nascosto, prima di trasferirlo a Consonno; lui gli aveva procurato documenti perfetti, benché falsi; lui lo aveva scelto; sebbene lo terrorizzasse, a lui doveva la vita… ma adesso Flagg non c’era, e non avrebbe potuto aiutarlo.
Perse i sensi. E non vide il corvo.
Prenotato per stasera dopo la pizzata, grazie delle tue meravigliose letture, ora prendo un po’ di sole se resiste, qua tutti i giorni verso sera fa un temporale, baci, buon weekend, ❤ 🙂
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@ LAURA buona lettura e felice notte, cara.
Smack!
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❤
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@ LAURA * ___________ *
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allora ci riprovano. Povero Stradilasi oppure quei tre giovinastri,
Sempre più curioso.
Un caro abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR la tua curiosità mi rende lieta. Vedremo poi da parte pende la bilancia.
Un grande abbraccio.
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aspetto.
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR spero di non deludere.
Un sorriso per una serata serena.
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Di questo pezzo ho tanto apprezzato le descrizioni paesaggistiche che hai riportato. Mi sembrava di esser lì, vero: poco lontano da casa mia. Proprio perchè attendibili, conosco questi luoghi, mi sono piaciute. La storia termina sempre con un indizio bizzarro verso la prossima parte, tu sai come stuzzicarci eh!😉
Inoltre… sai che AIDAN è il contrario di … 😊😊😊 Dimmi che non l’hai premeditato! Ciao amica!
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@ LADY NADIA prima di (ri)trasferirmi a Cannes, abitavo in zona… e molti luoghi li ricordo ancora bene (almeno credo).
L’indizio bizzarro… mi piace! Se riesco, a volte purtroppo no, lo inserisco sempre.
Aidan? Mmmm 🙂 🙂 🙂
Ciao, stella!
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Berisha… attento! Non mi piace questo tipo, sa di trappola! 😐
Il “bambino travestito da medico” rappresenta il classico esempio di medico di famiglia corrente. Negli ultimi dieci anni sono riuscito una sola volta a far venire il medico a casa mia. Questo mi visitò e poi mi disse sconsolato “E cosa ci posso fare io?” 😀
Oh, l’uomo nero interverrà, ne sono certo! 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST caro lupo, sul primo punto posso anticipare che no, non ci sono trappole.
Riguardo ai medici, è proprio così! Non SANNO fare una visita! Sanno solo prescrivere esami o mandare da specialisti. Ma che lauree danno?
Infine, eh eh eh… ci hai preso 🙂 🙂 🙂 🙂
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Non è un problema di laurea, è un problema di coscienza e di volontà, solo parzialmente motivato dall’esagerato numero di pazienti che quasi ogni medico di famiglia ha 🙂
Vabbé… una l’ho indovinata e l’altra no, meglio così 🙂 Se si intuisse tutto, sarebbe un libro scontato, no? 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST infatti è proprio così 🙂
Riguardo ai medici hai perfettamente ragione.
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Sai, quello sguardo freddo fa pensare che l’uomo abbia una sua strada da seguire, tutta personale… e magari potrebbe anche aiutarti se ne hai bisogno ma i suoi occhi sono sempre fissi sulla sua strada, ed è meglio per te se non gli intralci il cammino…
Stradilasi verrà salvato ancora, purtroppo… ma spero che non arrivi alla fine della storia eh!
Da qualche parte ho letto “è la storia, non chi la racconta” e sicuramente se la storia è buona appassiona comunque… però se chi la racconta sa il fatto suo come te è meglio 😉
Ogni bene!
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@ IVANO F non mi piace stilare classifiche, lo ritengo di pessimo gusto, però devo dire che il tuo commento è senza ombra di dubbio uno dei più belli (e lusinghieri, beninteso) che io abbia mai ricevuto.
L’analisi riguardo a Aidan risulta semplicemente perfetta!
A volte avrei voglia di chiudere baracca e burattini. Su Splinder ero abituata in ben altro modo, ma non abbandonerò mai i miei pochi, ma fedeli, lettori.
Grazie di cuore e ogni bene a te 🙂
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Cerco solo di dire quello che penso -e possibilmente di pensare a ciò che dico 😀
Questo Splinder dev’essere stato una specie di Giardino dell’Eden…!
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@ IVANO F e pensi bene 🙂
Splinder? Direi proprio di sì: che vita che c’era!
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Storia che continua a convincere e avvincere. Sempre un piacere leggerti, seppur coi miei famosi ritardi….
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@ ILI6 meglio tardi che mai 🙂 🙂
Grazie, amica!
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Puntata molto interessante e quasi introspettiva, perfetta poi nella chiusura. Un saluto. Univers
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@ UNIVERS81 sono contenta e molto lusingata.
Un saluto a te.
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