Non conosceva i nomi degli alberi, nel senso che non sapeva distinguere l’uno dall’altro, ma questo non gli impediva di amarli.
In quanto al fatto in sé, lo attribuiva alla mancata frequentazione dell’asilo, e tale tesi era suffragata (almeno ai suoi occhi) dalla circostanza che non conosceva neppure i colori, mentre poteva citare tranquillamente quasi tutte le capitali del mondo, tranne quelle proprio recentissime.
Da quando era andato in pensione, ogni mattina alle sei in punto si svegliava, preparava il caffè, faceva una rapida doccia e subito dopo – nelle stagioni calde – o un’ora più tardi – in autunno e d’inverno – usciva di casa, saliva in macchina e si recava nel vasto piazzale circondato da piante, dove avrebbe trascorso l’intera giornata. Anche con la pioggia e, se non era troppa, anche con la neve. Era bello, comunque, soprattutto nei giorni tiepidi e sereni: il cielo blu, il sole che compiva il suo percorso, l’aria frizzante che scendeva dalle montagne. Oppure con il caldo, che lì era sopportabile per via del verde; e c’era sempre una zona d’ombra: bastava spostare l’auto in modo da non esporla direttamente ai raggi del sire celeste, come gli piaceva chiamare il sole. Ad aprile e in altri mesi arrivava ancora con il buio e aspettava con calma la prima luce, e con essa sogni, ricordi e pensieri. Non leggeva e non intavolava discorsi di alcun genere, benché nel piazzale ci fosse quasi sempre un certo viavai. D’altro canto, non si sentiva mai solo, se non in rari momenti nei quali si impadroniva di lui una forma di nostalgia, non sempre attribuibile a una ragione specifica. Si presentava all’improvviso con la delicatezza di un fiocco di neve trasportato dal vento; talvolta invece in maniera quasi brutale. Egli si immergeva allora in quella atmosfera, senza lottare ma, al contrario, lasciando fluire sensazioni che in ogni caso richiamavano uno spicchio, grande o piccolo, di vita.
Il fatto che non conversasse con altra gente, neppure limitandosi a banali considerazioni sul tempo, non significava però che non parlasse in assoluto. Parlava agli alberi. Raccontava di sé, di come si sentiva quella data mattina o di cosa avrebbe mangiato per cena. Parlava di sua moglie, e ciò accadeva quando veniva assalito dalla nostalgia. Gli era stato detto (o forse lo aveva letto su qualche libro) che alberi, piante, fiori, steli d’erba amavano sentirsi rivolgere la parola, purché questo avvenisse con il dovuto garbo, con simpatia e gentilezza.
Poi taceva, e lasciava scorrere i pensieri.
Capitava che tali pensieri ondeggiassero sino a degenerare, da concreti divenissero fantasticherie per ritornare in seguito, senza un motivo apparente, allo stato iniziale, simili a nubi che appaiano improvvise, sostituite presto dall’azzurro immacolato del cielo limpido, dove non trovano posto, almeno per un certo periodo. D’altronde non è un procedimento matematico, da poter calcolare in anticipo e con esattezza, quanto piuttosto un succedersi di cambiamenti, nel tempo come nella predisposizione dell’animo.
Carlo – così si chiamava l’uomo – finiva tuttavia per opporsi a quei mutamenti capricciosi, riconducendo ragionamenti e ricordi là dove voleva, e cioè nella sfera razionale. Sua moglie non era fuggita con un cavaliere errante: lo aveva lasciato a causa di una serie di manchevolezze che alla fine non aveva più tollerato. Ne era consapevole. Da un lato a tratti la rimpiangeva, da quell’altro accettava quello che il destino aveva predisposto per lui.
“E chi è senza colpe, poi?”, si chiedeva retoricamente. Posto che le sue fossero talmente gravi e imperdonabili, lei era forse un angelo sceso dalle stelle, oppure una santa? Non lo credeva. Ciò nonostante, non covava risentimenti; e, una volta inquadrata la situazione in modo per lui soddisfacente (a ciascuno i suoi meriti e le sue colpe), non gli restava che allargare le braccia e dire: “Così è stato, dunque, caro il mio destino.”
Dopo aver pranzato – consumava il pasto in una trattoria all’aperto, lì vicino, che raggiungeva a piedi – intraprendeva una piacevole passeggiata. Sulla sinistra del piazzale, guardando a ovest, c’era un sentiero che si incuneava in un bosco, dapprima solo costeggiandolo, più avanti attraversandolo. La pista terminava davanti a una vecchia chiesa, edificata in tempi lontani, e ormai quasi sicuramente sconsacrata. Di fatto, era sempre chiusa, né aveva mai visto un prete. Tornando alla macchina, accoglieva – anzi, sollecitava, come un affabile padrone di casa farebbe con ospiti graditi – nuovi pensieri, o meglio: brandelli di pensieri. Più tardi li avrebbe ampliati, secondo un certo ordine e in base a una determinata logica.
Quel pomeriggio, un ricordo emerse nitido, senza che lui lo bloccasse; risaliva a quando era giovane. Riguardava un bambino. Era un bimbo biondo, con gli occhi azzurri, i lineamenti del viso fini e delicati, il corpo sottile in via di formazione. In quegli occhi chiari a volte appariva una scintilla, specialmente nei momenti in cui pensava di essere inosservato, da cui trapelava un senso di orgoglio, forse addirittura di superiorità. Questo inebriava Carlo.
Nell’aria calda, benché non propriamente afosa di giugno, sotto una luce abbacinante, che fuori dal bosco incendiava parte dello spiazzo, ricostruì meticolosamente le emozioni che lo avevano travolto allora. Per pagarsi l’università, egli lavorava in un collegio in qualità di prefetto, o qualcosa di simile. Aiutava i ragazzi a svolgere i compiti, manteneva l’ordine nelle ore di studio, controllava che alla sera tutti dormissero. Il bambino biondo lo colpì fin da subito. Era come un incantesimo.
“Il mio non fu un peccato.”, mormorò a bassa voce, sottolineando quelle parole con un’alzata di spalle. Non si trattava di una conclusione nuova: da molto si era già assolto. In precedenza, non aveva mai manifestato, o avvertito, pulsioni omosessuali, e neppure in seguito. Se anche fosse stato così, ma non lo era, ciò sarebbe stato dovuto alla natura, agli ormoni, e quindi in nessun caso aveva commesso un atto indegno. Infine, il bimbo si dimostrò consenziente, ed era in grado di intendere e volere, essendo maturo a dispetto dell’età.
Era comunque un capitolo chiuso, lontano, remoto, sebbene…
Da quel ricordo ne subentrò un altro.
Intanto, era tornato alla macchina. Un uccellino cinguettava da un albero. Lo incuriosiva, perché sembrava che ripetesse sempre “cinque euro, cinque euro”. Sorrise, prendendo posto sul sedile. Il secondo ricordo, benché indissolubilmente legato a doppio filo al primo, era assai diverso. Presentava varie chiavi di lettura. E’ lecito, e corretto, frugare in un cassetto, trovare una chiave e con essa aprire una piccola cassaforte del tipo dei mini salvadanai, da tempo avvolta nella carta di un giornale e trasferita lì il giorno in cui aveva cambiato automobile? E’ giusto, e onesto, scovato un taccuino, sfogliarlo e poi leggere quanto vi è stato scritto? La curiosità, d’accordo, ma queste sono azioni spregevoli, rappresentano una totale mancanza di rispetto, un assoluto disinteresse riguardo all’etica; sono una forma di appropriazione indebita del passato e del privato altrui. E’ una prevaricazione bella e buona. Senza contare che, non essendo destinate alla pubblicazione, le righe in questione risultavano una sorta di telegrafico resoconto, prive di approfondimento, di psicologia, scritte e dimenticate, com’erano.
Questo gesto, questo “furto”, perpretato da sua moglie, portò a una rottura. Lei equivocò, ignorando spiegazioni (peraltro non dovute, e rese soltanto come forma di cortesia). Lei si inventò episodi simili, avvenuti e prima e dopo. Lei attribuì a tutto questo i recenti “fallimenti” coniugali, in realtà dovuti a stanchezza o a preoccupazioni relative al lavoro. Lei, infine, non intese sentir ragioni. “Separazione!”, strillava. “Divorzio.” E quella orribile parola: pervertito! E se la reazione sdegnata fosse stata un trucco, magari per nascondere la presenza di un amante? Già che c’era, gli rinfacciò una vasta gamma di colpe, alcune delle quali inesistenti. Ce n’erano di reali, beninteso, tuttavia la bilancia era in equilibrio, e lui sarebbe passato sopra agli errori di sua moglie, quali che fossero. E al diavolo il cavaliere errante, ammesso e non concesso che esistesse veramente. L’astio era escluso.
Pervertito… quanta luce, invece, in quel bambino, e in ciò che accadde! Una luce che sarebbe potuta provenire dal paradiso. Non semplice sesso, mai!, ma l’unione splendente di due cuori, che purtroppo la vita, le circostanze, naturalmente la famiglia del piccolo, provvidero a spezzare. Sul taccuino, inizialmente, avrebbe voluto riportare tutto questo. Non essendo uno scrittore, aveva finito per lasciar perdere.
Quante chiavi di lettura! E altre ce ne sarebbero, solamente a cercarle.
Carlo scosse la testa con uno strano sorriso.
Ricordava bene i procedimenti mentali che lo avevano accompagnato, fra urla e strepiti.
Se il matrimonio era destinato a finire, ebbene che finisse. Ma un divorzio non era accettabile: carte bollate, avvocati, giudici. Inoltre, la Chiesa lo proibisce, e ogni buon cristiano si deve attenere a regole precise, stabilite in origine da chi “sa”, da chi conosce la verità, ed essa è unica e immutabile.
Non era ubriaco, quando prese la decisione. Poiché lei era risoluta (stava gettando alla rinfusa dei vestiti in una valigia), stabilì in fretta cosa doveva fare, però dopo aver riflettuto. Calcolò le conseguenze, valutò i pericoli, comprese che non ci sarebbero stati rimorsi. In quanto alla nostalgia, alla malinconia, non sarebbe stato diverso in caso di separazione legale.
Scelse anche – in anticipo – il luogo esatto dove avrebbe seppellito il cadavere di sua moglie.
L’UOMO CHE PARLAVA AGLI ALBERI
24 giugno 2017 di Alessandra Bianchi
28 Risposte
Ale grazie dell’ottima lettura, Carlo ha scelto la cosa migliore da fare, del resto la Chiesa proibisce il divorzio, 🙂 baci cara, sei bravissima, buon weekend, ❤
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@ LAURA un forte abbraccio e l’augurio per un bellissimo sabato 🙂
Adesso io vado a fare una gita 😀
Bacioni.
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Baci cara, 🙂
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@ LAURA ❤
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Eh, un racconto purtroppo molto attuale, troppo attuale. Ma, al di là dei riscontri con la realtà, o forse anche per questo, molto molto interessante. Prende, e non solo per la solita maestria nella scrittura 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST sono davvero felice che “prenda”, anche perché è piuttosto lungo per i miei standard.
Che sia attuale… direi proprio di sì.
Grazie, lupissimo 🙂
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Non è però una novità, tu hai scritto diversi romanzi lunghi 😉
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@ WOLFGHOST eh, sì, hai ragione! Ho scritto anche il racconto su Gesù di più di tremila parole 🙂
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l’uomo parlava agli alberi ma non era uno stinco di santo. Pedofilo e assassino. Mica poco.
Piacevole lettura.
Un caro abbraccio
O.T. sono l’anima che esamina i tuoi scritti e ha trovato questo
‘ un assoluto disenteresse riguardo all’etica;’ –>disinteresse
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@ NEWWHITEBEAR che ci sia riuscita o meno, questo non lo so; comunque il mio intento era quello di presentare un personaggio sicuramente alterato, sebbene in apparenza anche troppo razionale.
O.T. fatto, anima 🙂
Grazie.
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secondo me, ci sei riuscita.
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@ NEWWHITEBEAR allora ne sono lieta!
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C’è dell’ironia nel fatto che si indigni perché la moglie ha curiosato… e che abbia un modo tutto suo di ricordare cosa la Chiesa proibisce e cosa no… E questa razza di personaggio (con le sue grottesche giustificazioni e autoassoluzioni) ha perfino trovato una sua routine rassicurante, pensaunpo’!
Sempre brava 😉
Ogni bene, ciao ciao
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@ IVANO F mon cher ami, sei penetrato davvero bene nello spirito del presente racconto e nella psicologia del protagonista.
Ti ringrazio di cuore, augurando ogni bene a te!
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Che fosse una mente malata ce l’avevi lanciata già ai “5 euro” degli uccellini. A tratti mi è sembrata una persona che conosco. Hai psicoanalizzato il personaggio e ho ritrovato l’Ale dei migliori brani in questo pezzo lungo ma che lungo non è. Penso che se una persona che legge si trova davanti un simile pezzo scritto bene e con il cuore, sia trascinata fino alla fine. Bello. Finale terribile, steso con delicatezza, come un velo, ha decretato la parola “fine” e una chiusura della storia senza possibilità di speranza. Mi sei mancata.
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@ LADY NADIA che bellissimo commento, veramente molto lusinghiero!
Grazie amica carissima: è un privilegio scrivere per lettori che non solo leggono ma entrano a fondo, con la loro sensibilità e intelligenza, nel tema dei post e nella complessione umana e psicologica dei personaggi (del personaggio, in questo caso).
A te un grande bacio, stella 🙂
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D’altro canto un divorzio, per chi lo subisce, equivale a un lutto. Scegliere di fare quel che si sente in dovere di fare, guardando con occhio cinico e attribuendo alla vita un valore pressoché uguale a zero, be’, tutto sommato, il protagonista di questo racconto sceglie poi solo di confermare il lutto in maniera più concreta rispetto a delle vomitevoli carte bollate.
Gran bella provocazione la tua, cara Alessandra. Un racconto che fa riflettere, dove tutti sono vittime e carnefici, allo stesso modo. Chapeau.
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@ IANNOZZI GIUSEPPE ti ringrazio moltissimo, caro Giuseppe!
Vittime e carnefici: concordo. Ma tutto il tuo commento è bello.
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Buona settimana Alesandra ! 🙂
Tante belle cose ! 🙂
Aliosa 🙂
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@ ALIOSA anche a te 🙂
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Una lettura molto interessante, con brividi e colpi di scena assortiti e concentrati in poche righe. Un saluto, alla prossima. Univers
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@ UNIVERS81 da molti anni ormai il tuo parere è per me assai importante.
Buona settimana!
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Racconto scritto molto bene e con la costante della delicatezza che, però, fatica ad essere mantenuta, abbracciando un filo di ironia perché è estremamente difficile non essere brutali con certi personaggi che dovrebbero semplicemente chiudere in galera e buttare la chiave nell oceano più profondo!!!
Le chiavi di lettura….negli abissi più bui!!!
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@ ILI6 il finale del tuo commento, come sempre lucido e bello, mi ha fatto letteralmente morire 🙂
Un abbraccio.
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Qualità di scrittura notevole per un racconto che per la prima metà è delizioso, quasi bucolico. Da lì in poi non è che diventi meno ben scritto, ma è che questo tema ricorrente di pedofili e/o assassini, nella fattispecie ambedue le cose, mi trasmette una certa inquietudine… Me la scrollo di dosso facendo un paragone con American Psycho, in fondo anche lì il protagonista parla di sé in prima persona e suscita empatia, addirittura simpatia, nonostante sia a tutti gli effetti un mostro.
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@ JULIAN VLAD le tue osservazioni sono sempre profonde. Ti ringrazio moltissimo per aver letto e commentato una bella quantità di post 🙂
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Prego, il piacere è mio 🙂
L’avevo promesso, di recuperare l’arretrato… e non posso ancora dire di avercela fatta, ma ormai manca poco.
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@ JULIAN VLAD pochissimo 🙂
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