Si allontanarono dalla villa in macchina. Elisa gli aveva tirato un bordo della giacca, invitandolo a seguirla, senza nemmeno guardarlo in faccia. Lui aveva obbedito. Si erano diretti verso il parcheggio. Per un attimo pensò alle scuse da trovare per aver lasciato la festa troppo discretamente. Sorrise. Forse… sicuramente, anzi, nessuno se ne sarebbe accorto. Avrebbero magari notato la mancanza di quell’efebico essere, quello che gli camminava un passo più avanti. Se avessero visto che se ne andavano assieme, ecco, forse si sarebbero ricordati anche di lui.
Arrivati alle prime macchine, lei si fermò. “Beh? Dove hai parcheggiato?”, gli chiese. Il lago si sfilava al loro fianco come un nastro di feltro scuro. Mauro non sapeva dove andare. Tra la cena e l’albergo, non immaginava cosa fosse la cosa più improbabile. Non che non avesse voglia di sesso, ma non era quello. Non voleva quasi neanche toccarla. Avrebbe voluto piuttosto immergersi nel verde dei suoi occhi e andare in fondo e una volta arrivato là, dove il colore prendeva sostanza, fermarsi a nutrirsi, a banchettare come uno di quei pesci i cui contorni poteva solo abbozzare.
Elisa guardava fuori dal finestrino. Si teneva le braccia al petto come se avesse freddo. Ma non faceva freddo. Le piaceva quella serata. Era sufficientemente opaca. Il paesaggio si confondeva in toni di grigio, una specie di Braque. Sarebbe bastato un filo di rosso, a disegnare una sagoma netta, per rendere impagabile il tutto. Non sapeva ancora che farsene di Mauro. Ma stava per mettersi a piangere alla festa, e questo proprio non poteva permetterselo. Ma non voleva stare tutta la notte a girare come una cretina. Almeno questo, no.
Chi era, poi, Elisa?, si domandò pigramente Mauro. E sono veramente sicuro di anelare a quegli occhi verdi, tanto diversi da altri occhi, del colore delle foglie autunnali?
Dopo le luci di un bar, c’era uno spiazzo non asfaltato che finiva praticamente sulla riva. Mauro rallentò ed accostò. Spense i fari e aprì lo sportello. “Ti va?”, le chiese. Elisa lo guardò per un attimo e scese anche lei, senza dire nulla. A qualche metro da loro c’erano due panchine. Presero possesso della prima e si sedettero accanto. Il lago era così buio, adesso, che avrebbe potuto inghiottirli. Guardavano davanti, oltre il lago, ma la notte aveva cancellato anche il bordo delle montagne. Elisa cominciò a guardargli le scarpe. Nere, con la suola abbastanza alta. Immaginò il corpo di lui, sotto la stoffa del vestito. Doveva essere una carne senza alcuna pretesa, dimenticata, doveva essere ciò che restava di ore di macchina, bugie sul lavoro, discussioni stantie con la moglie. “Ti odio, lo sai?”, gli disse. Passò qualche attimo. “E odio anche me.”. Mauro non le rispose. Non c’erano risposte. Era rimasto fermo, a quelle parole, fermo e immobile come se guardasse il suo cadavere da qualche metro d’altezza. L’unica cosa che riuscì a fare fu di spostarsi accanto a lei, sulla panchina. Non se la sentiva di abbracciarla. Gli bastava sentire il braccio di lei a contatto col suo. La panchina era una zattera, loro erano naufraghi e quella sera e il lago e la loro vita, anche loro, lo erano.
Adesso Elisa stava meglio. Il verde dei suoi occhi s’era riacceso. Aveva un buon profumo, addosso, si tirò le gambe al petto ed annusò il maglione per sentirlo meglio. Magari domani lo avrebbe anche rivisto, Mauro. Chissà. Non aveva fatto neanche caso ai suoi occhi. Magari nascondevano qualcosa, un odore di castagne, una parte di bosco che viveva nascosta da anni, visitata soltanto dalle farfalle e da qualche riccio intimidito. Qualcosa che avesse ancora un po’ di magia.
In realtà, lui aveva un pensiero fisso. Più che un pensiero, un ricordo. Più che un ricordo, un’ossessione. Un’immagine danzava sempre davanti ai suoi occhi, si celava in qualche angolo buio della stanza, quando a tarda ora si decideva a riporre il libro che stava leggendo senza capirlo, e si abbandonava a un dormiveglia composto da brevi momenti di sonno e bruschi risvegli. Questo fino alle prime luci del mattino.
Se poi c’era il sole, poteva ancora andare; se pioveva e il cielo era grigio e intristito, si abbandonava a pensieri foschi, al desiderio inconfessato di non vivere. Non così, almeno. Sole o pioggia, comunque l’immagine non lo abbandonava. Per quanto possa sembrare strano, essa conteneva anche un profumo, più precisamente diversi profumi. Quello di lei, inebriante, l’alito del mare condotto dal Mistral, perfino l’odore dei campi bagnati, e quello del fuoco di legna.
Perché tutto ciò che è bello, che è vivo, che è palpitante di emozioni, perché deve finire? Per quale ragione la magia deve essere sottratta, come per il sortilegio di un negromante malvagio?
Osservò Elisa, e trovò in se stesso un minimo di buon gusto per evitare raffronti, paragoni, che l’avrebbero vista perdente. Ristorante oppure sesso… alla fine il risultato non cambiava. Momenti effimeri, così diversi dall’assoluto. E l’assoluto aveva un nome, un viso, un rimpianto.
Si era interrogato spesso sui motivi che avevano indotto Cristiana a lasciarlo. Poi, aveva preferito lasciar perdere. Se una ragione c’era, egli la ignorava.
Guardò di nuovo Elisa. Conosciuta a una festa stupida, che fino all’ultimo aveva meditato di disertare.
Come aveva conosciuto, invece, Cristiana?
Lo rammentava bene: il ghiaccio della pista di pattinaggio riluceva ai raggi del sole; presto si sarebbe sciolto, ma non ancora. Era rimasto immobile a fissare la ragazza – all’epoca di dieci anni più giovane – che con la sua sola presenza oscurava tutte le altre. Era splendente, come i profili delle montagne innevate, come l’azzurro cupo dell’oceano al tramonto, come una notte scintillante di stelle cadenti.
Poi c’era stato il mare. La campagna fertile e verde, cosparsa di fiori sbocciati all’improvviso. Le città che avevano visitato, musei che racchiudevano impagabili capolavori, stradine sconosciute, imponenti palazzi edificati in tempi lontani, bistrot e pub, grande rouge e birre alla spina, giardini, percorsi da sentieri misteriosi, creati appositamente per loro. Così aveva creduto.
Assaporò il profumo di Elisa. Lo portava con sé la brezza del presente. Una donna indecifrabile, pensò. Ma poi, in fondo, che gliene importava? Non poteva scacciare la sua ossessione; questa si chiamava matematica, fisica, logica. E lui altro non desiderava che crogiolarsi in una teoria di ricordi che lentamente appassivano; ma quando questo accadeva, quando “sentiva” che era sul punto di avvenire, interveniva a colpi d’ascia mentali per impedire che succedesse.
Elisa… ristorante, sesso, solamente un momento fugace, destinato a sommarsi a tutti gli attimi inutili dell’esistenza, quantomeno della sua.
Eppure, quegli occhi verdi. Così differenti dai tappeti di foglie bruciate, dalle suggestioni dei boschi in autunno, dal passato che non tornava. O che, quando tornava, era solo a causa di un sogno che mai si sarebbe realizzato. La figura esile, il modo di muoversi, uno strano senso di contagio. Una malinconia trattenuta, che con il passare dei minuti era parsa svanire, sostituita forse da vaghe aspettative. Ma erano le stesse? Forse non era una donna felice, però poteva diventarlo; e magari, chissà, il destino gli offriva quell’opportunità. Se le sue spalle non erano sufficientemente ampie per scacciare i propri fantasmi, era tuttavia possibile che insieme ci sarebbero riusciti, vicendevolmente, ciascuno a modo suo, senza regole prestabilite. Non per consolarsi a vicenda – sarebbe stato ambiguo, un’illusione, un ingannare se stessi e nient’altro -, ma per intraprendere un cammino nuovo, posto che fosse ciò che il fato prevedeva.
Spostò lo sguardo sullo specchio d’acqua, ora illuminato dalla luna. Da ragazzo, la chiamava la Signora degli Incantesimi. In seguito, aveva cambiato opinione su questa e su molte altre cose.
Esistono magie che si ripetono? Indugiò, in cerca di un responso sensato a un quesito che non avrebbe mai immaginato di porsi. Dopo un attimo, convenne che era meglio non pensare, analizzare, razionalizzare, e via dicendo… seguire l’istinto, ecco!
“Tua moglie?”, gli domandò a un tratto Elisa, rompendo un silenzio che si era protratto troppo a lungo.
Lui si sfilò la vera e scosse la testa.
“Anch’io ti odio, sai?”
Lei lo scrutò, incuriosita.
“Perché?”
Non ci fu risposta.
Soltanto un bacio.
E un anello gettato nel lago.
Provocò un’unica piccola increspatura.
Poi l’acqua tornò tranquilla.
una bella accoppiata. Si avverte la vostra mano, anzi le vostre mani.
Intrigante come il finale. L’anello gettato nel lago.
Un caro abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR è un vero peccato che Quou (Pappina) sia “fuggito”. Quando approdai su Splinder, lui e Briciola erano i miei idoli. Ma oggi è di nuovo qui con noi.
Grazie e un grande abbraccio.
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quou è qui per merito tuo 😀
Un abbraccio
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Bellissimo, mi e’ piaciuto molto, baci cara, ❤
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@ LAURA un bacione per te, stella 🙂
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❤
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Uau.
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@ IVANO F ogni bene, amico mio!
E per te una notte di stelle 🙂
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‘notte e ogni bene 😉
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Bello.
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@ RODIXIDOR merci bien 🙂
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Da Elisa è tua. Allori per Quou che stimo e per te che adoro. Un abbraccio! Finale… magico.
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@ LADY NADIA chi lo sa, tesoro bello 😀
Un grazie infinito a toi!
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Vorrei dire di Alessandra che ha una certa dose di incredibilità, la quale stessa dose non cessa mai di stupirmi. Questa virtù si porta appresso altre cose; il ripescarmi da un fondo tanto remoto, smuovendo le acque, mi riporta alla vita che quelle parole creò; e, nello stesso momento, mi mette la voglia di crearne di nuove. Nonostante io non creda di meritare, in ogni caso, e comunque nuovamente, l’attenzione di Alessandra, e anzi proprio per questo, mi sento sempre a disagio perché non so come ringraziarla, e farle sentire il mio affetto come io sento il suo. Che dire … à la prochaine. Un bacio, Ale. Il tuo devoto impiegato Luigi Quou Pappina.
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@ LUIGI FURONE alias QUOU alias PAPPINA io ho la facoltà di riportare alla luce che meritano i grandi, i veramente grandi; ho questa facoltà.
Come già scritto sopra – almeno credo – quando approdai su Splinder rimasi incantata da te e da Briciola, e insieme demmo vita a Caffé Letterario. Tu, poi, sei scomparso, ma so dove trovarti 🙂
Ti abbraccio!
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ahah troppo intellettuale lui! 😀 Ho conosciuto tante che se la sarebbero data a gambe molto prima!! 😀 Si deve scrollare un po’ il passato di dosso 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST e tu, lupissimo, sei un maestro nell’insegnare ciò 🙂
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Una narrazione a quattro mani di qualità, non conoscevo QUOU eppure alla splinder sono approdata nel 2008, dovrò colmare questa mancanza. La storia è pregnante, soffusa, armonica, l’atmosfera è coinvolgente.
Complimenti ai due autori
un affettuoso salute
annamaria
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@ ANNAMARIA49 cara Isabel, Quou per me è stato un maestro! Aveva un blog suo e scriveva su “Caffè Letterario”, poi è emigrato altrove.
Questa storia penso sia stata molto sentita da entrambi, perciò mi è di grande conforto il tuo giudizio.
Un affettuoso saluto a te, amica cara!
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E’ forse il primo racconto che leggo, cara Alessandra, il primo con queste venature un po’ sartriane, esistenzialiste, ma anche passionali alla maniera di Milan Kundera. C’è una insostenibile leggerezza dell’essere rivisitata, condotta su una strada che lascia a bocca aperta. L’unica pecca di questo racconto a quattro mani è che finisce troppo presto; ma finisce nella maniera più giusta e realistica possibile. Magistrale scrittura a quattro mani. Veramente magistrale.
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@ IANNOZZI GIUSEPPE che paragoni lusinghieri!
Che dire? Mi hai resa felice.
Un salutone, Beppe.
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Bisogna tifare forte per questi due! Per Elisa e Mauro perchè possano farcela a rivivere, cosa mai facile,certe magie, lasciandosi il passato alle spalle. E tifare forte per Alessandra e Quou perchè continuino a scrivere insieme, regalandoci pagine così eleganti e intense.
Marirò
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@ ILI6 chérie, entrambe le prospettive mi garbano molto 🙂
Ti auguro una felice serata e ti ringrazio!
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Duetto di qualità. Un saluto. Univers
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@ UNIVERS81 grazie da me e da Quou!
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