Dopo Lucia (occhi dell’azzurro chiaro e sereno di una mattina di maggio e capelli color grano) arrivò Silvia.
Talvolta il destino si diverte a mischiare le carte. Infatti era mora. Mi sembrava giusto: dopo una bionda, forse era il momento di cambiare. In linea di massima, preferisco le donne chiare di capelli, chiare di occhi, chiare di pelle; ma dopo aver mangiato spaghetti per sei mesi consecutivi a chiunque verrebbe in mente di passare ai maccheroni. Silvia aveva un fisico strepitoso, che compensava il viso che era semplicemente normale. Era anche intelligente (e questo significa vincere la lotteria dei sogni, considerato il quoziente intellettivo medio delle donne. Ascoltare due o, peggio, tre femmine che parlano fra loro è un’esperienza non molto dissimile da una seduta dal dentista. Ciò peraltro vale anche per un’ampia categoria di maschi, senza contare taluni vecchi rimbecilliti che trascorrono le ore osservando gli operai al lavoro nei cantieri edili o lungo le strade).
E non era solo intelligente: amava la musica. Quando parlo di musica intendo Musica con la “m” maiuscola; quando la scopai per la prima volta, misi sul piatto un disco dei Pink Floyd. Fra un orgasmo e l’altro, trovò la forza e lo spirito necessari per dirmi che li adorava. Gol da metà campo.
All’inizio non me ne accorsi. Ero particolarmente preso dal lavoro, guadagnavo (e spendevo) soldi a palate, frequentavo un paio di ragazzi che sarebbe esagerato definire amici. Diciamo che erano compagni di birra. Fu una cosa progressiva, un processo lento ma inesorabile. Un mattone al giorno, posto che il paragone calzi e secondo me calza perché in fondo è proprio di una costruzione che stiamo parlando. A tale proposito, rammento una bella canzone di Ivano Fossati. Gradatamente mi accorsi che avevo bisogno di lei. Con un vago senso di incredulità mi resi conto che vederla mi rendeva felice. Felice nel senso (quasi) pieno del termine.
Non era solo per la ginnastica che facevamo a letto (e lei, come ginnasta, si mangiava a colazione Lucia). Né per la passione condivisa per la musica. E nemmeno grazie ai discorsi intelligenti che sapeva imbastire, controllare e portare a termine. C’era dell’altro. Chimica. La definirei così e credo che si tratti di una definizione assai appropriata. Chimica sessuale, ma non solo: chimica mentale (non oso dire chimica del cuore, ma forse dovrei cacciarle fuori queste tre parole, dato che corrispondono al vero. E’ che sono pudico, anche se non sembra). Per farla breve, sperimentammo il classico innamoramento, cui fece seguito la parolona grossa. E un giorno, quasi senza pensare, le dissi che volevo sposarla. Silvia non aspettava altro. Dovrei trovare un modo per bypassare cinque anni. Varrebbe la pena di parlarne, eccome!, ma ci vorrebbero tre giorni. Me la caverò dicendo che fu un lustro splendido, della serie fiaba felice dove il ranocchio si trasforma in un bellissimo principe, raggiunge la principessa nel castello di Oz, e vissero felici e contenti per sempre… no, le ultime due parole sono da eliminare. Non andò esattamente così. I cinque anni si dimostrarono realmente splendidi, ma il destino era in agguato. Se non sbaglio, prima ho detto che si diverte a mischiare le carte, e fin qui non ci piove; però ama anche altre cose. Tipo, mettertelo nell’ano con una violenza talmente inaudita da uscire poi dalla bocca (naturalmente, il signor destino è superdotato, e ce l’ha lungo un metro e largo una cifra). Il termine tecnico è: inculare a sangue.
E in un pomeriggio d’estate, un pomeriggio in cui il caldo aveva raggiunto un’intensità devastante, e io me ne stavo sdraiato sul letto, con le imposte chiuse nella vana speranza di trovare un minimo di sollievo, due lattine di Tuborg ghiacciate a portata di mano e un vecchio ventilatore asmatico che combatteva contro i mulini a vento, bene anzi male, in quel pomeriggio fui sodomizzato da un cazzo di dimensioni grottesche.
Se dovessi scegliere un solo ricordo fra i mille che conservo ancora di Silvia, il mio pensiero andrebbe a un lontano giorno di novembre, freddo ma luminoso, con un cielo di un blu perfetto a rallegrare una Milano quasi ridente. Camminavamo mano nella mano, diretti all’università Cattolica dove sua nipote si accingeva a scendere nell’arena per conquistare finalmente una laurea a lungo attesa. Eravamo in anticipo (Silvia era la puntualità fatta persona) e ci fermammo in un bar a bere un caffè. Quando ci ritrovammo in strada, passammo davanti a Buscemi. Io sbirciai la vetrina e vidi un album nuovo. La copertina non riportava il nome del cantante o del gruppo in questione, e non c’era neppure un titolo che potesse fornire una qualche indicazione. Era un fenomeno talmente insolito, ai limiti della stravaganza o forse oltre, che mi portò a lasciare la mano di mia moglie per arrestarmi a esaminare quella copertina. Non esattamente al centro, ma lievemente spostato sulla destra, c’era una specie di quadro che raffigurava un vecchio curvo per il peso di una fascina che portava sulle spalle. Il vecchio, probabilmente un contadino, si appoggiava a un bastone e, attraverso il vetro, sembrava guardare me, quasi volesse invitarmi a varcare la soglia del negozio e a procedere all’acquisto del misterioso LP. Poi guardai in basso e notai un rudimentale cartello su cui una mano aveva tracciato una scritta avvalendosi di un pennarello rosso. La scritta era a stampatello, e le lettere che la formavano declinavano dall’alto in basso, probabilmente a causa della fretta con cui il proprietario o il commesso si erano precipitati a informare la potenziale clientela che quello era un 33 giri davvero speciale.
C’era scritto: IL NUOVO ALBUM DEI LED ZEPPELIN! Mi dimenticai di Silvia, e del combattimento che attendeva sua nipote, ed entrai nel negozio. Ma prima che potessi parlare, lei mi anticipò. Mi aveva seguito senza sapere cosa avessi in mente, a parte il fatto che volevo acquistare un disco, e riuscì a stupirmi perché disse: “Per favore, mi dia quello”, indicando con un dito esattamente l’oggetto dei miei desideri. Il vero ricordo, però, risale a qualche ora dopo. La nipote era uscita indenne dalla lotta con i leoni, e noi eravamo tornati a casa.
Ascoltai il disco una prima volta, convenendo con me stesso che era magnifico. Poi volli riascoltare la canzone numero quattro, e quando risentii per la seconda volta quella cosa prodigiosa che stava facendo Jimmy Page con la chitarra, fui colto da un attacco di riso isterico. Rimisi la puntina sul solco della quarta traccia, e mentre “Stairway to heaven” evolveva maestosamente, trascinai Silvia sul pavimento, la spogliai e diedi vita alla scopata del secolo. Gli altri novecentonovantanove ricordi gareggiano fra loro per mantenere una posizione di preminenza nel mio cervello, ma quel ricordo non ha rivali, è fisso in pole position, è il Cristiano Ronaldo dei ricordi.
Ho tirato in lungo, però c’è un motivo che mi ha spinto a farlo. Non è piacevole essere inculati dal destino, e desideravo rimandare di qualche minuto la rievocazione di quella sodomia selvaggia e brutale. Non ho mai conosciuto una donna che sapesse nuotare meglio di Silvia. Mi sono chiesto spesso a quali vertici sarebbe arrivata se si fosse dedicata alla carriera agonistica. Il suo crawl era fluido, potente, inarrestabile. Poteva nuotare per ore senza avvertire nemmeno un principio di stanchezza. Quel giorno di terrificante calura l’aveva spinta a cercare un po’ di refrigerio nelle acque del lago di Como. Io non l’avevo accompagnata per un eccesso di pigrizia.
In seguito venni a sapere che un ragazzo l’aveva vista annaspare. Quando il ragazzo la raggiunse con la sua canoa, ormai era troppo tardi.
Silvia annegò in un punto imprecisato fra Bellagio e Tremezzo.
I giorni che seguirono furono un viaggio all’inferno, non esistevano frontiere fra alba e crepuscolo: solamente un lasso di tempo colmo di stilettate di inaudita sofferenza; e al sopraggiungere della notte si aprivano voragini dove guazzavano famelici incubi. Andò avanti così per secoli, millenni. Bisogna dire che le benzodiazepine associate all’alcool formano una pessima combinazione e in definitiva non risultano di grande aiuto. Per quanto mi riguarda, non mi furono di alcun giovamento. Pioggia, grandine, tempesta. E scheggie di vetro che incidevano il cuore, come un bravo chirurgo intento a operare.
Infine, decisi che era ora di chiudere con il passato. Non aveva senso continuare a macerarsi nel dolore. Beninteso, sapevo che sarebbe stato difficile, difficilissimo, ma almeno dovevo tentare (e senza droghe e senza bourbon; rimasi perplesso quando infilai le bottiglie in un sacco nero: erano più di venti). La prima cosa da fare era liberarsi dei ricordi tangibili. Incominciai col riporre le foto di Silvia in uno scatolone. Cercavo di non guardarle; ma gli occhi sfuggivano al mio controllo. Silvia seduta sul divano che sorride. Sorrideva a me e rammentavo perfettamente il giorno e l’ora di quel sorriso.
Cazzo! Non pensare. Lavora e chiudi la mente. Immagina che sia una cassaforte, dotata di una robusta serratura. L’hai comprata di seconda mano, ma è ancora efficiente e a prova di ladro. L’acciaio è nero e lucido, la superficie del tutto liscia, gelida al tatto. Ci devi ficcare dentro tutti i tuoi fottuti pensieri, eliminarli dalla zona cosciente del cervello. Altrimenti non solo non ci riuscirai, ma non ci andrai nemmeno vicino.
Obbedii, però la terza foto fu la classica stilettata al cuore. Silvia in costume da bagno. Costume da bagno uguale lago. Lago uguale… C’era ben poco di subliminale in tutto questo, l’associazione era talmente palese che avrebbe raggiunto anche il cervello di un’oca. Strinsi con forza i pugni, abbaiai due bestemmie, e il costume da bagno finì nello scatolone, seguito dai suoi libri, dal quarto album dei Led Zeppelin e da vari ninnoli assortiti. Contemplai il soggiorno per vedere se avevo dimenticato qualcosa, poi presi lo scotch e sigillai quel sepolcro di fantasmi. Andai in camera con un altro cartone. Incominciai con le scarpe, quindi le gonne. Pensavo di portare il tutto alla parrocchia. Erano capi belli e costosi: avrebbero fatto la gioia di molti poveri. Silvia aveva un gusto squisito.
Zitto, imbecille! Pensa alla cassaforte. Ricostruiscila, rendila reale, vera, concreta, come è vero e concreto il tuo dolore. Deve essere molto grande, grandissima, solo in questo modo riuscirà a custodirlo.
Passai ai cassetti. Quando aprii il terzo, iniziai a togliere i maglioni. Lavoravo con feroce concentrazione; la cassaforte funzionava, era a prova di bomba. Almeno per il momento. Giunto all’ultimo capo, vidi un quaderno.
L’istinto mi suggerì di non aprirlo. Dai gas all’immaginazione, ragazzo! Per quale motivo una persona nasconde un quaderno? Perché questo quaderno era nascosto, lo sai vero? Sì, lo sapevo. Ma la mia interpretazione dei fatti era diversa. Ci sono molte buone ragioni per ritagliarsi uno spazio privato. D’altra parte, quello era il mio campo da gioco: conoscevo troppo bene Silvia. Non mi avrebbe mai tenuto all’oscuro di qualcosa che fosse anche solo minimamente importante. (E poi tu sbagli nove volte su dieci). Allungai una mano.
L’istinto capì che suggerire era inutile, perciò mi ordinò in tono perentorio di non aprirlo e di scaraventarlo immediatamente nel cartone.
Subito dopo sarei passato a un altro cassetto e lo avrei dimenticato. Allarme rosso, strillò.
Stavo per cedere, quando la curiosità prese il sopravvento. L’istinto fu cacciato in qualche angolo buio.
Io aprii il quaderno.
COLD TURKEY 1 DI 3
16 novembre 2016 di Alessandra Bianchi
32 Risposte
Bello lo stile rude, diretto, frenetico del raccontare in prima persona, un po’ nuovo rispetto al tuo stile più consueto. Bella lettura, aspettiamo il continuo, che sicuro saprà stupirci. 🙂
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@ RODIXIDOR grazie, carissimo!
Riguardo allo stile… mi è venuto così 🙂
Buona giornata.
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Bello. Crudo come piace a me. Cosa ci sarà stato scritto? …
Bel pezzo signora!
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@ LADY NADIA cara fairy lady, sono estremamente felice per l’approvazione!
“Cosa ci sarà stato scritto?”
Lo scopriremo con la prossima puntata.
Un sorriso per una serata serena.
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Witch Lady. Le fate non mi appartengono. 😆
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@ LADY NADIA agli ordini!
Pensavo che con la nuova serie tu fossi diventata meno black e più white 🙂
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Con questa citazione ‘Era anche intelligente (e questo significa vincere la lotteria dei sogni, considerato il quoziente intellettivo medio delle donne. Ascoltare due o, peggio, tre femmine che parlano fra loro è un’esperienza non molto dissimile da una seduta dal dentista’ ti sei giocata la stima di tutte le donne 😀
Ottima questa prima parte. Anche a te una piccola pausa caffè ha fatto bene.
Cosa leggerà la voce narrante nel quaderno? Ai posteri l’ardua lettura.
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR scrissi anche: ” Ciò peraltro vale anche per un’ampia categoria di maschi, senza contare taluni vecchi rimbecilliti che trascorrono le ore osservando gli operai al lavoro nei cantieri edili o lungo le strade.”
La pausa caffè? Be’ andrebbe anche detto che con il profondissimo OGGI FACCIO IL BUCATO questo blog ha superato ogni precedente record di visite 😀
Ti ringrazio e ricambio l’abbraccio.
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insomma ti sei alienata entrambi generi. 😀
dovresti fare il BUCATO più spesso 😀
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR aprirò una lavanderia 😛
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Narrazione incalzante e coinvolgente, non lascia spazio a possibili riflessioni. E’ nel quaderno la risposta cercata?
A presto, un abbraccio
annamaria
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@ ANNAMARIA49 nel quaderno ci sarà certamente una prima “traccia” di risposta.
Grazie, amica Isabel, e un bacione.
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Davvero un bel ritmo!
Altro che a prova di ladro… Ma che ci sarà scritto nel diario? Attendo curioso…
Ogni bene
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@ IVANO F tutti gli scoiattolini incominceranno a scoprirlo presto.
Ogni bene a te, e grazie!
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Non avevo dubbio che l’avrebbe aperto il quaderno, era chiaro che sarebbe stata la chiave perché il racconto continuasse 😉
L’inizio del post dipinge un uomo molto superficiale, specchio di luoghi comuni, tranne per l’amore che la donna aveva per il rock, cosa non troppo comune, anche se nemmeno rara.
Poi, come spesso avviene, un grosso trauma può cambiare le cose e far sorgere dall’incoscio aspetti di noi che nemmeno sospetteremmo di avere.
Curiosità: anche io, dopo tre bionde, ho finito per sposare una bruna 😀 Ma – spero – di non avere avuto le stesse motivazioni del protagonista 😀 E poi le tre bionde sono state solo un caso, all’epoca c’erano anche brune, nere… uhm… rosse forse no, che mi “incuriosivano” altrettanto 😉
Un’altra curiosità è che anche io a volte ho sposato la tesi del “fai sparire tutto e dimentica”, ma poi si cresce e ci si rende conto che non è il modo migliore. Seppellire tutto significa essere sorpresi mortalmente non appena un ricordo fa capolino, magari solo per una canzone ascoltata alla radio, invece è meglio “smitizzare”, continuando a frequentare gli stessi posti, ascoltando la stessa musica, poi allora le cose smettono di essere legate solo ad una determinata persona, come invece succede quando cerchi di allontanarle. Al di là poi della considerazione morale – e del tutto personale – che sia giusto o sbagliato cercare di dimeniticare, soprattutto chi non c’è più non per scelta sua.
Ho trovato interessante il linguaggio da “portuale” che hai saputo esprimere facendo parlare il tuo protagonista: dovevi calarti in lui per rendere il personaggio credibile ai lettori. E… bé, direi che ci sei riuscita in pieno! 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST un commento veramente bello e completo, signor lupo! E risulta davvero interessante l’analisi, assai profonda, del “fai sparire tutto e dimentica.” In quanto al protagonista appare indubbiamente come un uomo superficiale… però, forse, saprà riguadagnare colpi.
Sono felice di essere riuscita a esprimermi in un linguaggio da portuale; d’altro canto, era ciò che volevo.
Baci lupeschi e saluti a Lady Wolf 🙂
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ahah mi è piaciuta la precisazione: ero sicuro che ti eri espressa così solo per “esigenze di copione”, non temere! 😀
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@ WOLFGHOST lo sai che i tuoi commenti sono sempre belli! 🙂
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Bel ritmo e bella disinvoltura tu a indossare pantaloni di foggia maschile.
Hai fermato il racconto al culmine della tensione, ora m’aspetto una discesa vertiginosa negli abissi per l’incauto protagonista
Complimenti
ml
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@ MASSIMOLEGNANI innanzi tutto, benvenuto nel mio blog!
I pantaloni di foggia maschile forse derivano anche dal fatto che oltre a storie d’amore più o meno tristi ho postato qui diversi romanzi di spionaggio (Rage, Matrioska, Il Crepuscolo della Lubjanca, etc.) per i quali è necessaria una scrittura immediata e sobria.
Vedremo la “discesa vertiginosa”, senza dubbio.
Grazie!
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Ok, in questa prima parte, ci sono tutti gli ingredienti di rigore in una storia breve, per suscitare interesse nel lettore. Anche il linguaggio è quello giusto che traduce in parole senza peli il pensiero di un uomo (da tenere presente che è una donna a scrivere). Giusta la suspense.
Mi auguro che saprai stupirci con il seguito… anche se una certa idea già ce l’ho.
Cordialità.
Nicola
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@ NICOLA LOSITO un caldo benvenuto in questo spazio!
Spero e mi auguro fortemente di non deludere le aspettative dei miei amici lettori. In genere, parto e non so dove andrò a finire: spessissimo i miei personaggi fanno quello che vogliono, anche a mia insaputa 🙂
Ti ringrazio e ti auguro una felice serata.
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Intrigante! Piacevole scoperta di una domenica mattina 🙂
Sono curioso di leggere il seguito, e dunque, a presto!
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@ JULIAN VLAD è un piacere vederti. Una piacevole sorpresa serale 🙂
Il seguito non tarderà.
Grazie mille.
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Ottimo pezzo che mette voglia del seguito:non farci aspettare troppo!
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@ ILI6 sarò brava, te lo prometto, cara Marirò.
Bacioni.
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Quando il resto?😂😉
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@ LADY NADIA questo pomeriggio, tesoro.
Ciao, Witch Lady 🙂
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Bene.
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@ LADY NADIA puff puff sperem!
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Ti sai immedesimare bene nella testa di un uomo. Narrazione asciutta e essenziale, comunque coinvolgente. Un saluto. Univers
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@ UNIVERS81 come direbbe Matrioska, spasibo!
Un saluto a te.
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