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LA MAGIA DEL BOSCO DI BRICIOLANELLATTE E ALE

31 ottobre 2016 di Alessandra Bianchi

cristina-khay-2Eventuali commenti del tipo “lo ricordavo”, “l’ho già letto”, etc. saranno rimossi. Il mondo è grande. Capito mi hai, Genoveffa?

Il nonno gli aveva trasmesso la passione. Quella per i rapaci notturni s’intende: gli allocchi, le civette, i barbagianni. Anche se il nonno era riuscito ad addomesticare un gufo reale solo per andarci a caccia. E Stelvio ancora se li ricordava quei giorni: era uno spettacolo osservare l’animale lavorare la preda. Il gufo si levava in ampi giri morbidi sfruttando il vento e le termiche che lo spingevano improvvise da sopra gli specchi d’acqua al sole. E poi si gettava a capo fitto verso il coniglio selvatico o il leprotto attardatosi fuori dalla tana. Era un volo pieno di silenzi ma con la rapidità della morte negli artigli aperti a ghermire la vita. Un attimo ed era tutto finito. Stelvio però preferiva guardarli, i rapaci. E se fosse riuscito a catturarne uno ne avrebbe avuto cura per sempre. È per questo che aveva costruito un riparo di legno posizionandolo a sud, come andava fatto, sui rami alti della quercia più frondosa. E aveva atteso per settimane, fino a quando quel giorno non trovò alla base del tronco un bolo di pelo e ossa. Il suo rifugio era stato colonizzato, ne era certo.
“Domattina andiamo dal Marchese.” gli comunicò lo zio arrivandogli alle spalle. Invidiava quel suo modo di camminare nel bosco, da lupo, senza fare il minimo rumore. “Martino sta male. E ho bisogno che tu mi dia una mano con le foglie del viale.”
Stelvio non disse nulla. Assentì cercando di riuscire a intravedere tra i rami il ‘suo’ strigide. Non c’era bisogno di dire nulla, del resto, non sarebbe servito. Lo zio comandava e basta e non c’era modo di contrastarlo. Tanto valeva fare come diceva lui, da subito.
Così al mattino seguente si era fatto trovare pronto alle cinque. La tenuta ‘I Geti’ del Marchese, di centottanta ettari, era a due ore di furgone da casa. Il nonno gliene aveva parlato diverse volte, quand’era piccolo, e sempre con gran rispetto. In quella foresta c’erano daini, caprioli, lepri, cinghiali, cervi. Il paradiso del cacciatore. Al nonno brillavano sempre gli occhi quando ne parlava e finalmente, ora, l’avrebbe visto. Ma aveva bisogno di un paio di stivali per il fango, così diceva lo zio, e lui non ne aveva. Frugò allora tra le cose del nonno. C’era ancora tutto nella sua stanza: i vestiti, il necessario per fare la barba, i cappelli, le scarpe, la busta per il tabacco. Ogni cosa era ben riposta, in ordine, persino senza polvere, come se avesse dovuto tornare da un momento all’altro. E invece una mattina, aveva preso il suo sovrapposto più bello ed era uscito senza più tornare. La sensazione era però che, pur dopo tanti anni, l’avrebbe visto una sera affacciarsi allo specchio della porta e chiedere, come se nulla fosse stato, cosa ci fosse per cena.
E dopo tanto cercare li trovò in fondo all’armadio: un paio di stivali neri, consumati, che a lui, che non aveva compiuto diciassette anni, stavano davvero larghi. Il nonno era infatti un omone di quasi due metri di altezza, grosso come un monumento ai caduti, una roccia d’uomo che nulla sembrava poter scalfire. Gli stivali gli servivano, e questo era tutto, e lui li prese.
Il furgone s’inerpicò per la strada sterrata sobbalzando a ogni buca. I rastrelli, la scala, le pale e ogni altro strumento da lavoro sbattevano sul pianale del furgone con gran fracasso. Lo zio se ne stette muto, per tutto il tempo: sembrava godersi quel concerto di ferraglia. Quando cominciarono ad avvicinarsi alla tenuta, tanto da poterla veder sbucare, tra il verde cupo dei lecci, come un animale curioso, cominciò a fargli un mucchio di raccomandazioni. Doveva parlare solo se gli altri gli avessero rivolto la parola, non doveva entrare nella Casa, né sputarsi nelle mani in presenza di qualcuno prima di usare il rastrello e, soprattutto, non avrebbe dovuto lamentarsi mai. Stelvio lo ascoltò per i primi cinque minuti, poi si mise a fissare alla sua destra due cavalli che correvano liberi al galoppo con il collo rigido e le froge al vento a fiutare gli odori grassi della pioggia che nella notte aveva reso scura e fredda la terra della campagna. Le luci del parco, ancora accese, consentivano una certa visibilità.
“Hai capito? Sono stato chiaro?” gli chiese alla fine lo zio mentre stavano ormai entrando nella tenuta.
“Sì sì, certo, zio.”
Appena scese dal furgone gli si parò innanzi, inaspettata, la più grossa voliera di rapaci che avesse mai visto. Vi si avvicinò come rapito. C’era una poiana codarossa, una di Harris, un falco pellegrino, un astore e… e un tenero assiolo. Che meraviglia. Non ci poteva credere di poterli vedere tutti insieme in un solo momento.
“Stelvio! Stelvio!” lo zio lo chiamava facendogli gli occhi severi. “Prendi gli attrezzi sul furgone, presto, e seguimi: non fare lo scemo come al tuo solito”.
Lui tornò indietro, in fretta, saltando sul pianale del furgone. Afferrò i rastrelli, un forcone e il secchio. Poi si fermò a guardare lo zio che, più avanti, si era messo a parlare con un signore ben vestito. Da lassù poteva vedere l’ingresso della foresta, il maneggio, le stalle e l’andirivieni della gente, ognuno con un suo compito preciso. Guardò la casa che si ergeva accanto a lui, forte e austera come un monito. Era grigia, di pietra granitica, con modanature in legno quasi nero, che ne sottolineavano l’imponenza solenne. Guardò verso le finestre al primo piano. E fu lì, che nella semioscurità, la vide. Poteva avere la sua età. Una ragazza dai lunghi capelli biondi, il viso appoggiato sul mento, lo stava osservando attraverso i vetri della finestra. Lo sguardo era triste, annoiato, ma era diretto proprio verso di lui. Stelvio provò ad abbozzare un sorriso e alzò una mano, per salutarla, ma lei non contraccambiò. Stelvio si mise subito al lavoro.
Sebbene fosse un ragazzo, era molto forte per la sua età ed era abituato alla fatica. Cominciò a levare le foglie con metodo.
A est una pallida striscia luminosa preannunciò il sorgere del sole. Qualche minuto più tardi, il cielo diventò azzurro e tutta la campagna circostante si rivestì di un morbido colore dorato. A causa della pioggia della notte precedente, si erano formate vaste pozzanghere che, però, presto asciugarono.
Un vento fresco che proveniva da occidente accarezzava le cime degli alberi e scompigliava i capelli di Stelvio.
Il ragazzo procedette con impegno per le successive due ore. Mentre adoperava il rastrello, pensava a quando avrebbe visto volare il suo rapace. Forse goffo e incerto, i primissimi tempi, poi sempre più sicuro e arrogante, come lo spirito di un predatore richiedeva. Di tanto in tanto lo zio lo controllava, ma si limitava ad annuire: il ragazzo stava facendo un buon lavoro. Man mano, Stelvio si allontanò – la tenuta era assai vasta – fino a quando lo zio scomparve alla vista.
A un tratto, il vento cessò. Adesso faceva caldo. Stelvio sostò per qualche istante e si deterse il sudore dalla fronte. Fu allora che udì una voce che gli ricordava qualcuno. “Ti stanno proprio bene quegli stivali! Sembrano fatti su misura.”
Stelvio si voltò di scatto e vide un uomo grande e grosso, con una folta barba grigia e occhi azzurri e penetranti.
Un momento dopo lo riconobbe.
“Nonno!” esclamò in preda a una viva gioia.
Aveva amato molto suo nonno, forse più dei genitori, e quando era scomparso ne aveva sentito profondamente la mancanza. Adesso appariva invecchiato, ma era sempre dritto e solido, simile a una poderosa quercia.
“Dove sei stato per tutto questo tempo?”, gli domandò.
“Oh, in vari posti.”, rispose il nonno. “Ho girato il mondo. Volevo vedere foreste più grandi, e le ho viste!” C’era una luce sognante nel suo sguardo. Rimase in silenzio per alcuni istanti, come se stesse rivivendo quei giorni e vedendo nuovamente le foreste di cui parlava.
“Ho visto una quantità di animali.”, riprese il vecchio. “Non soltanto daini, caprioli, lepri, ma anche lupi, volpi e un cervo che aveva un palco di straordinaria bellezza. Era veramente un esemplare maestoso. E, poi, ogni genere di rapace. Però, mi sei mancato, figliolo.”
Stelvio era commosso. “Anche tu, caro nonno!” Gli raccontò del suo sogno di avere un rapace e di come forse fosse riuscito a realizzarlo. Il nonno lo ascoltò con attenzione, quindi gli impartì alcuni consigli pratici, che il ragazzo memorizzò. Stelvio accennò anche a una certa Matilde, una giovane maggiore di lui di un anno. Aveva dei magnifici occhi verdi e soffici capelli biondi che le arrivavano alle spalle; purtroppo, però, non lo degnava di uno sguardo, forse a causa della differenza di età. Il nonno si sedette su una roccia che affiorava dal terreno, proprio sul limitare del bosco, tolse il cappello e lo depose con cura in un punto perfettamente asciutto. “Presto Matilde ti amerà.”, commentò dopo un momento. “Vi sposerete, avrete tre figli e sarete molto felici insieme. Lei si dimostrerà una moglie fedele e devota, e tu sarai un marito appassionato e premuroso. Vivrete a lungo insieme.”, concluse sorridendo. “Ma ora riprendi il tuo lavoro, altrimenti lo zio si arrabbia.”
Stelvio avrebbe voluto parlare ancora con il nonno, però obbedì. Continuò a sgombrare il lungo viale dalle foglie, mentre il sole saliva alto nel cielo. Ogni tanto, si lanciava un’occhiata alle spalle come per accertarsi che il vecchio fosse ancora lì. Il nonno riposava tranquillo. Il ragazzo provava una dolce sensazione di calore che non era dovuta al sole.
Doveva essere circa mezzogiorno quando lo zio lo venne a cercare. Era ora di pranzo.
“È tornato il nonno!”, lo informò Stelvio, tutto eccitato.
“Non dire sciocchezze.”, replicò lo zio. “Che ti ha dato di volta il cervello?”
“Ma guardalo, zio, è lì!” E indicò la roccia dove il nonno si era seduto.
Ma su quella roccia non c’era nessuno.
Stelvio fece girare lo sguardo. Non vi era traccia del nonno.
Lo zio lo prese sottobraccio. “E’ ora che tu lo sappia.”, disse in tono gentile. “Nonno è morto da molto tempo.”
“Ma… ma…” Stelvio scosse il capo, frastornato.
Si avviarono per tornare al furgone dove avrebbero consumato una colazione al sacco.
Stelvio camminava a testa bassa.
Non si voltò più.
Se lo avesse fatto, avrebbe visto un cappello depositato con cura su un punto perfettamente asciutto del terreno.

Più tardi, il Marchese li mandò a chiamare. Sebbene fosse un ricco nobile, era anche un uomo alla mano. Intendeva congratularsi per la solerzia con cui zio e nipote avevano svolto il lavoro di Martino. Lo zio aveva colto un mazzo di fiori. Lo porse al Marchese. “Un piccolo omaggio.”, dichiarò.
In quel mentre, sopraggiunse la figlia del Marchese.
“Questi fiori sono per me?” chiese.
Il Marchese sorrise. “Credo proprio di sì.”
Matilde fece un piccolo inchino. “Grazie!”, disse rivolta allo zio, ma il suo sguardo si fissò su Stelvio.
Lui la ricambiò ed entrambi arrossirono.

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Pubblicato su raccolti dal sentiero, racconti | 16 commenti

16 Risposte

  1. su 31 ottobre 2016 a 21:43 newwhitebear

    una delicata storia che un ragazzo sognatore come Stevio ha sempre desiderato. Veramente bella questo post scritto da due grandi Ale e Biciolanellatte.
    Un caro abbraccio.

    O.T. mi banni se dico che non l’ho mai letta?

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    • su 31 ottobre 2016 a 22:00 Alessandra Bianchi

      @ NEWWHITEBEAR ti bannerei se tu dicessi che l’hai già letta 🙂
      Grazie, amico!
      Un grande abbraccio.

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      • su 31 ottobre 2016 a 22:08 newwhitebear

        grazie a te per le belle storie che scrivi.
        Un grande abbraccio

        "Mi piace"Piace a 1 persona


    • su 1 novembre 2016 a 16:28 Alessandra Bianchi

      @ NEWWHITEBEAR se non ci foste voi parlerei al vento 🙂

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      • su 2 novembre 2016 a 15:58 newwhitebear

        😀 Lasciale al vento le tue parole. Le porterà ovunque

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      • su 3 novembre 2016 a 17:30 Alessandra Bianchi

        @ NEWWHITEBEAR 🙂 🙂 🙂 🙂

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  2. su 31 ottobre 2016 a 23:27 ivano f

    Che dolcezza questo racconto (ma non esagerata – niente rischio diabete), lieve, onirico, ottimista perfino!
    Ogni bene!

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    • su 1 novembre 2016 a 16:29 Alessandra Bianchi

      @ IVANO F meno male: niente diabete 😀
      Grazie, caro amico!
      Ogni bene a te.

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  3. su 31 ottobre 2016 a 23:44 ili6

    HO GIA’ LETTO della vostra bravura e qui la evidenziate tutta. Bellissimo racconto, siete riusciti anche a farmi amare la montagna. E poi i nonni…ah, che dolce nostalgia!
    Complimentissimi.

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    • su 1 novembre 2016 a 16:31 Alessandra Bianchi

      @ ILI6 ieri eri monella, ti ho vista in un altro blog 🙂 🙂 🙂 🙂
      Io preferisco il mare, eh eh.
      Grazie mille, Marirò.

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  4. su 1 novembre 2016 a 09:57 Lady Nadia

    Una bellissima storia delicata come le pennellate di un acquarello nella prima parte, e spessa, vivace e intensa come i colori ad olio nella seconda.
    Ahahaha.
    Che strana prefazione! Genoveffa ringrazia.

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    • su 1 novembre 2016 a 16:34 Alessandra Bianchi

      @ LADY NADIA che bellissima similitudine! Chissà dov’ero io? Acquarello o pittura ad olio? Non lo dico 😀
      La prefazione? Mmm, già strana 😛
      Baci a Genoveffa ^^

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      • su 1 novembre 2016 a 21:19 Lady Nadia

        Io riconosco il tuo tratto… anche ad occhi chiusi!😑 Baci a Indovinella.

        "Mi piace"Piace a 1 persona


      • su 1 novembre 2016 a 21:58 Alessandra Bianchi

        @ LADY NADIA abbraccio a occhi chiusi dalla tua amica Indovinella 🙂

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  5. su 8 novembre 2016 a 14:32 univers81

    Intrecciate bene i vostri stili. Un caro saluto. Univers

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    • su 8 novembre 2016 a 20:14 Alessandra Bianchi

      @ UNIVERS81 per me è un grande complimento.

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I commenti sono chiusi.

  • CHI SONO

    Mi chiamo Alessandra Bianchi.
    Amo ballare, nuotare, il sole, il mare e il vento.

    Ho scritto un romanzo,"Lesbo è un'isola del Mar Egeo" (Borelli Editore, collana Pizzo Nero), che era reperibile nelle migliori librerie (Mondadori, Feltrinelli, etc.) e su vari portali (IBS, ad esempio); ma che adesso è esaurito.
    Il libro costava 12 euro.

    Il mio secondo libro si intitola "Sognate con me" ed è una raccolta di racconti, tratti dal mio blog. Costa 10 euro.

    "Alex Alliston" è il mio nuovo romanzo, pubblicato nel mese di febbraio del 2012.

    Il mio precedente blog su Splinder ha superato le 420.000 visite. Desidero ringraziare i molti amici che mi hanno seguita.

    SUL CORRIERE DELLA SERA DEL 25 MARZO 2012, NEL SUPPLEMENTO CULTURALE “LETTURA”, IL MIGLIOR INCIPIT DI UN ROMANZO INEDITO (PAGINA 20):
    La barca – un vecchio dragone praticamente inaffondabile – virò di prua e fendendo i marosi imboccò lo stretto passaggio che conduceva alla piccola baia. Aleksandr ormeggiò lo scafo, lo disarmò e scese a terra. Lì il vento era meno intenso: l’insenatura era protetta dai numerosi scogli che affioravano dal mare, simili a denti aguzzi. Le onde si infrangevano su quella barriera e andavano a sfogare la loro collera altrove.
    ALESSANDRA BIANCHI “MATRIOSKA”

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