Aspettammo che il fornaio aprisse per assaporare l’odore del pane.
Poi lo sbocconcellammo per strada, mentre sopra di noi sorgeva il sole preannunciando una stupenda giornata autunnale. L’estate era finita, con i suoi sogni e la carica di adrenalina che essa comporta. Arrivava il tempo della riflessione, dei pensieri nuovi. Lo scenario sarebbe mutato e, come sempre, tappeti di foglie bruciate e alberi man mano più spogli ci avrebbero condotti lentamente verso l’abbraccio dell’inverno.
Guido camminava in silenzio. Durante la notte aveva già detto tutto quello che c’era da dire; adesso le parole non avevano più senso: sarebbero rimasti i ricordi. Ogni vita ne è colma, e a seconda della predisposizione naturale rimangono maggiormente impressi nella mente quelli più amari o, in altri casi, quelli più dolci. Io fino a quel giorno avevo una bilancia in perfetto equilibrio, ma ora le cose erano destinate a cambiare.
La sera prima avevamo cenato in un ristorante giapponese. Quando portarono in tavola il sushi, lui finalmente disse ciò che già sapevo. “Amo un’altra.” Sapevo anche chi era. Allontanai il piatto da me, perché mi era passato l’appetito: la conferma definitiva rappresenta sempre uno schock, anche quando sei preparata a riceverla. Poi lo osservai mangiare con crescente fastidio. Lo conoscevo bene, e la cosa non mi avrebbe dovuto stupire; tuttavia non potevo esimermi dal pensare che avrebbe potuto, non dico fingere, ma almeno moderarsi un po’. Invece, terminato il sushi, si dedicò voracemente anche alla tempura.
Smisi di guardarlo, lasciando liberi i miei pensieri. Mi tornò alla mente l’infanzia, che si era dimostrata felice; e l’adolescenza, dove avevo conosciuto i primi dispiaceri. Cercai un ricordo bello, e lo trovai. Una domenica di luglio, io, Sabrina, e due ragazzi. Di loro rammentavo ben poco; ciò che conservavo intatto nella memoria era il sentimento di comunanza che quel giorno mi aveva unita a mia sorella. Ci trovavamo a Bellagio, sul lago di Como, e avevamo trovato un piccolo lido, lindo e ordinato. Da lì si godeva una vista magnifica: di fronte a noi, Lenno, Tremezzo, Menaggio, rilucevano al sole. La breva smuoveva le acque del Lario, e per una volta io e Sabri dimenticammo la rivalità che ci aveva sempre diviso per condividere lo spettacolo della natura e il gelido impatto con il lago.
Guido stava parlando. Faticai a riportare l’attenzione su di lui. Immaginavo il senso del suo discorso, e infatti quando cominciai ad ascoltarlo mi resi conto di quanto fosse prevedibile. Costruiva un castello di scuse, pretendendo non solo che io non sofrissi ma anche che lo capissi, e che gli rimanessi amica. Lo fissai in silenzio, senza interromperlo, e dopo qualche minuto lasciai che le sue parole si perdessero nel locale, confondendosi con quelle di altri, un coro di voci che sembrava provenire da Babele.
Non mi interessavano le sue giustificazioni, i suoi appelli alla maturità che mi apparteneva, le sue sbiadite frasi fatte. Lo osservavo portare il cibo alla bocca, e quell’avidità mi ripugnava. La trovavo fuori luogo, irrispettosa, totalmente priva di sensibilità. Anche Sabrina mangiava così, forse aveva preso da nostro padre, mentre io assomigliavo alla mamma. E questa era solo una minima parte di ciò che ci rendeva assolutamente diverse, quasi non fossimo due sorelle. Il resto apparteneva allo stile di vita, al genere di letture, alla capacità di emozionarsi che in lei era del tutto assente. Dopo la tempura, volle il daifuku, e ordinò ancora sake. Tutto questo senza smettere di parlare.
All’improvviso mi chiesi come avevo fatto a innamorarmi di lui, e ad amarlo per cinque anni. Non esistevano risposte razionali, lo sapevo, dato che un sentimento complesso come l’amore non può essere vivisezionato, né ha senso il cercare di farlo. Ai miei occhi, la cosa più grave era il fatto che lo amavo ancora, e che probabilmente avrei continuato ad amarlo per molto tempo. Non volevo che mi vedesse piangere, ciononostante lo seguii a casa sua per prolungare l’agonia di una notte priva di significato, e avvolta nel ghiaccio della desolazione. Da quanto non facevamo bene l’amore? Scandagliai nella memoria, appurando che era circa da un anno. Probabilmente quella data corrispondeva all’inizio della sua nuova relazione. Del tradimento.
Guido aveva il diritto di lasciarmi, ma non gli avrei mai perdonato la menzogna, l’inganno. Mi domandai come lei avesse accettato quella situazione. La risposta era ovvia: si era accontentata delle sue promesse, aveva preso per buoni i suoi giuramenti, non aveva obiettato al classico ‘dammi solo un po’ di tempo’. Le era andata bene, perché spesso il barcamenarsi di un uomo prosegue all’infinito, fino al momento in cui la donna, quale delle due non importa, prende il coraggio a due mani e decide. Per sé e per lui.
Iniziò a bere, e i suoi discorsi si fecero sempre più confusi. Andai alla finestra, e mi affacciai sul parco che circondava la nostra villa. L’inconfondibile sapore dell’autunno mi raggiunse, portando echi lontani della mia vita, suggestioni e immagini, momenti di gioia e altri di serenità. A differenza di Sabrina mi piaceva andare a scuola, e l’inizio di un nuovo anno scolastico era fervido di proponimenti che poi mantenevo, poiché riuscivo a studiare con facilità. Mi piacevano i libri di testo nuovi, il frusciare della carta, il diario ancora intonso su cui avrei scarabocchiato ingenue poesie. La mia insegnante di italiano era severa ma giusta, e da lei avevo appreso molto, non soltanto in termini di nozioni, ma anche a livello di vita, di pudore, di onestà dei sentimenti. Due anni più tardi anche Sabrina era stata nella sua classe, e l’aveva cordialmente detestata.
Guido si preparò un caffè per combattere l’alcool. Io rifiutai la bevanda e continuai a dargli le spalle, mentre la mia mente vagava, e nel cielo apparivano le prime stelle. Avevo conosciuto Guido in circostanze casuali, e per qualche strana ragione mi era piaciuto subito. Il lato ironico della situazione stava nel fatto che me lo aveva presentato proprio Sabrina. La notte passò lenta. Poi uscimmo.
La città era ancora deserta e silenziosa. Ci incamminammo insieme, quasi fossimo restii a lasciarci, malgrado tutto. Era per sempre, ed entrambi lo sapevamo. D’un tratto, si verificò ciò che temevo: come in un film, scorsero davanti ai miei occhi le ore felici che avevo trascorso con lui. Fino a quell’istante ero riuscita a evitarlo, ma a volte la voce del cuore non si può fermare; ricacciai le lacrime, assumendo un’espressione dura. Sapevo che il dolore mi aspettava per accompagnarmi nei prossimi mesi, seguendomi passo dopo passo come un’ombra malevola. Guido aveva molti difetti, ma non siamo noi a scegliere l’amore, è lui che ci sceglie, spesso a nostra insaputa o addirittura contro il nostro volere. E non è possibile opporsi ai sentimenti. Sarebbe sciocco solo pensarlo. Capita che un gesto, un sorriso, una parola pronunciata in un dato giorno, assumano un significato che annulla tutto il resto.
Una sera, Guido si era presentato a casa mia con una rosa. Non avrei mai scordato quel momento, né il sorriso timido con cui mi porse il suo dono. “E’ per te, Lucia.”
Quella rosa era un pegno d’amore, e mi sarebbe appartenuta per sempre. Sabrina non l’avrebbe mai avuta. Questo pensiero mi diede forza; sorrisi, e continuai a camminare al suo fianco. Arrivammo in piazza e aspettammo che il fornaio aprisse per assaporare l’odore del pane.
L’ODORE DEL PANE
28 giugno 2016 di Alessandra Bianchi
20 Risposte
Ho le lacrime. Bellissimo.
Non ho parole più di queste, mi ha toccato il cuore.
E …
Per una strana coincidenza sono passata da qui e…
BELLISSIMO ALE.😉
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@ LADY NADIA tu hai una sensibilità incredibile; per questo ti voglio tanto bene. Grazie ❤
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Grande! Misurata miscela di azioni presenti e nei ricordi, parole inascoltate, parole interne, l’odore del pane. Eccellente.
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@ RODIXIDOR ti ringrazio moltissimo!
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Bellissimo, sei unica tesoro, buon sole tesoro, ❤
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@ LAURA un bacio grande grande, mia carissima amica 🙂
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❤
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tra ricordi piacevoli si insinuano quelli tristi, la morte di Sabrina, anche se non detta, il dolore di una rottura. Ma poi l’odore del pane sovrasta tutto e scaccia per qualche minuto l’inevitabile addio.
Brava
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR thank you, my friend!
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Ma prego, querido amigo
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molto avvincente questo racconto….
anche a me piace l’odore del pane appena sfornato….
complimenti per il tuo blog!
buon prosieguo
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@ ANTONIO benvenuto nel mio blog!
E un sentito grazie 🙂
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In questo addio sei riuscita a infondere una grande tenerezza che vince quei rancori che di solito accompagnano una rottura.E l’odore del pane appena sfornato è perfetta cornice al miscuglio di pensieri ed emozioni.
Gran bel racconto, mille complimenti a te.
Marirò
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@ ILI6 e mille grazie a te!
Dipende dalle persone, credo, e dal loro grado di maturità, oggi troppo spesso assente con i risultati che sappiamo.
Baci, Marirò.
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L’ha presa bene la ragazza, nel modo giusto. Il “percorso” che ha fatto in una sola notte per molti richiederebbe mesi. Per alcuni perfino anni. E qualcuno non ci arriverebbe mai 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST esatto, e tu hai moltissimo da insegnare in questo 🙂
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Molto bello e sentimentalmente ordinato. Non è facile lavorare con le emozioni e ancor meno con i sentimenti tu ci sei riuscita. Davvero brava.
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@ WILLYCO se ci sono riuscita è perché do un grande peso alle emozioni e ai sentimenti; mi piace “vederli”, belli o brutti che siano.
Grazie ^^
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Toccante e sinceramente genuino, scrittura piena di valore. Un saluto notturno. Univers
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@ UNIVERS81 sei sempre molto caro con me!
Un sorriso*
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