Lei scese da una nuvola camminando a piedi scalzi.
L’inverno finalmente era finito. Giorgio non ricordava di aver mai visto tanta neve. Adesso le giornate si allungavano, e il prodigio dell’alba competeva con l’incanto del tramonto, mentre ovunque fiori nuovi e bellissimi sbocciavano nell’eterno tripudio della vita. Un vento lieve, mite, accarezzava le fronde degli alberi, sussurrando antiche storie e vecchie leggende. Ormai gli alberi le conoscevano a memoria; tuttavia il vento sapeva rivestirle di sapori inediti, aggiungendo particolari o rivelando pezzi di un mosaico che non si sarebbe mai completato. Poi la brezza salutava i vecchi amici per andare a ovest, e nel parco scendeva il silenzio, interrotto solo dalla voce di qualche bambino o dai bisbigli degli innamorati.
Volgeva l’ora del crepuscolo, e Giorgio, seduto su una panchina arrugginita dal tempo, contemplava il miracolo che si rinnovava. Giorgio non amava l’inverno, odiava il freddo e temeva le gelide aurore che lo vedevano uscire di casa tutto intirizzito. Egli amava la primavera e l’estate, il verde dei prati e le spighe di grano, il mare verde e profondo e le notti stellate.
Un tempo, aveva amato anche l’amore. Erano stati giorni felici, prima che Chiara lo lasciasse, ma ormai quei ricordi, tutti quei ricordi, belli o brutti che fossero, spiragli di una luce passata o brume intessute di malinconia, erano finiti nella valigia destinata alle fate, ed esse l’avevano recata lontana, oltre il tempo e lo spazio.
Giorgio viveva un oblio sonnolento, che neppure le amate letture o i dischi della California riuscivano a trasformare in un inizio di percorso. E’ pericoloso uscire di casa, perché quel sentiero potrebbe condurti lontano, in luoghi inimmaginabili e senza nome, laddove ogni incontro celerebbe rischi di incalcolabile portata oppure, se la fortuna fosse amica, amicizie nuove e sorprendenti. Giorgio sorrise senza sorridere, pensando che per lui non esisteva più alcun sentiero, tranne quello che lo portava al posto delle fate.
Ricordava l’ultima domanda che gli aveva rivolto Stefania, quella decisiva: “Hai ancora voglia di vivere?”
E ricordava di non averle risposto, distogliendo lo sguardo, come per sfuggire all’indagine di quelli occhi sereni, che però nascondevano un’ombra di disagio, di pena, forse di quella compassione che lui non accettava, e che non avrebbe mai accettato.
Ogni vita ha una parvenza di progetto, ma esso non è mai compiuto: il caso o la perseveranza, il mutare delle sorti o la fede in se stessi, la fatalità o il coraggio, sono in grado di indirizzarla in modi del tutto diversi, a seconda che trionfi l’ottimismo della volontà o il pessimismo della ragione. Non rammentava a chi appartenesse quella frase, e sebbene ne condividesse il senso, in un modo o nell’altro l’aveva sempre elusa, rifugiandosi in un solaio di pensieri ormai appassiti, simili a quegli oggetti che non servono più a nulla, ma che non si ha il coraggio di gettare.
Il sole stava per tramontare e ora l’aria si era fatta più fresca. Giorgio si strinse nel giubbotto, ma senza abbandonare quella panchina che rappresentava il suo unico rifugio. Per la prima volta notò una scritta, che in passato gli era sempre sfuggita; fu un ultimo lampo di luce a mostrargliela. Erano due nomi intrecciati in un cuore. Marco e Letizia. Per un momento Giorgio vide, o pensò di vedere, un uomo che si allontanava da quella panchina. Percepì addirittura i suoi pensieri, e quelli di lei, per uno di quei fenomeni inesplicabili che forse esistono o che magari appartengono all’immaginazione dei folli.
Marco sapeva che se lei gli avesse chiesto di gettarsi in un burrone, lui avrebbe obbedito senza esitare. E non si sarebbe limitato a questo. Una graziosa casetta immersa nel verde. Vasi di fiori a ogni finestra. Uscire al tramonto con Sally, respirando l’aria viva della natura. Rincasare per raggiungere Letizia che lo aspettava a letto.
Se il tempo fosse gestito dall’uomo, tutto questo si sarebbe realizzato. Ma il futuro non è una linea retta che attraversa i campi della vita; è più simile a un cerchio tracciato da un compasso misterioso, che persegue fini propri e oscuri.
Marco si alzò dalla panchina e si avviò lentamente verso l’uscita del parco. Durante quel tragitto eterno non si girò mai perché non voleva vederla piangere.
Ma sentì Sally guaire.
Giorgio provò un moto di commozione. Si chiese il motivo per cui due persone che si amavano avevano deciso di troncare il loro sogno. Poi, subitanea, l’immagine scomparve, e assieme ad essa, anche quel senso di profonda comunanza che egli aveva provato. Ormai Marco e Letizia appartenevano al passato, e lui non avrebbe mai saputo quello che era successo dopo. Si disse che forse all’epoca erano già sposati con altre persone; ma presto il quesito perse importanza. A ciascuno la sua vita, pensò alzandosi dalla panchina.
Fu allora che vide Stefania.
La donna era in piedi davanti a lui, presumibilmente già da qualche minuto. Lui la osservò, sorpreso.
Il tempo si fermò, e rimase fermo a lungo, mentre le ombre della sera scendevano sul posto delle fate.
“Sono qui.”, disse semplicemente lei.
“Sono qui per restare.”
La fata tornò sulla nuvola camminando a piedi scalzi.
IL POSTO DELLE FATE 4 DI 4
29 luglio 2015 di Alessandra Bianchi
19 Risposte
Le fate colpiscono al cuore.
Delicato, profumato ma intenso è un pezzo scritto molto bene che lascia un piacevole gusto in bocca.
Un caro abbraccio
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Una storia dolcissima velata da ricordi ovattati pregni di sentimento.
Bellissima narrazione.
Buon tutto, cara Alessandra.
Un abbraccio
Annamaria
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https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/hphotos-xpt1/v/t1.0-9/11204482_1656081717939315_2170265478058582361_n.jpg?oh=80534ca3738de217f2fa99b0cc7d6277&oe=56599C4E
buondi’dolce fata 🙂
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Wow. E che te lo dico a fare ? 🙂
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Interessante.
Cordialità
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@ NEWWHITEBEAR ciò che è importante è credere in loro – e in altri miei racconti non l’ho fatto.
Grazie e un caro abbraccio a te.
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@ ANNAMARIA49 sono contenta che questa storia ti sia piaciuta.
Baci.
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@ MAIRITOMBAKO ❤
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@ RODIXIDOR ti ringrazio, amico mio!
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@ LORD NINNI quella donna ha degli occhi molto belli…
Radiosità, Milord.
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Donna?
Può essere. Ma quale? Dovrebbe essere nelle corde …
Gli occhi … la seconda cosa che guardo in una donna, ma non l’ultima.
Alcuni racconti regalano un po’ dell’autore, ma coinvolgono il lettore in una farandola difficile da fermare.
Viviamo, respiriamo, moriamo come dentro un passato remoto racchiuso dentro un futuro probabile, conservato in una boccia di cristallo in attesa di rompersi.
E non succede, non succede, non succede …
Cordialità
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@ LORD NINNI era una risposta scherzosa al vostro commento. Quando un uomo vede una donna brutta, in presenza magari del fidanzato, dice: che begli occhi. Lì si può anche fingere.
Molto bello il nuovo intervento!
Radiosity.
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Many thnx, milady.
🙂
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Le fate ti sono amiche…
Un bacio
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uff… io vado controcorrente: penso alla povera Sally 😦 😀 Sai com’è: Lady Wolf e Tom sono in quel di Merano e io li raggiungerò solo tra qualche giorno: on questi giorni mi sento un po’ come Giorgio 😛 Perfino se qui tre piccole fate le ho già: Sissi, Julius e Numa, i gatti! 😀
Ehm… è da sistemare, ci vorrà tempo, ma… clicca un po’: http://www.wolfghost.com 😉
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@ MARI oh, yes! Due baci**
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@ WOLFGHOST funziona! 🙂 🙂 🙂
Coraggio, amico mio: presto sarai con Lady Wolf ^^
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Intensità a go go, complimenti, ben scritto. Univers.
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@ UNIVERS81 grazie, amico caro.
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