La pioggia scendeva leggera, e forse non sarebbe durata tutto il giorno.
A nord già si intravedevano degli squarci di azzurro che tentavano di aprirsi un varco nel cielo ancora grigio e pervaso di nubi.
Valeri detestava la pioggia. Per questo convenne con se stesso che aveva scelto il momento migliore. Si incamminò verso il ponte di K, cercando di ignorare il disagio e le folate di vento freddo che, a tratti, aumentavano l’intensità dell’acqua. Non aveva mai avuto un ombrello, perciò si riparava nello striminzito impermeabile che aveva acquistato a Kiev molti anni prima. In testa portava un berretto di un blu sbiadito, al quale era estremamente affezionato, quasi fosse una presenza in qualche modo reale, e non invece un semplice copricapo logorato dal tempo.
Attraversò il ponte, tentando di evitare gli scrosci provocati dalle macchine che procedevano a tutta velocità, e imboccò il lungo viale alberato che conduceva alla piazza. Da lì avrebbe proseguito, attraverso un nugolo di stradine, fino a giungere al piccolo bosco che segnava il confine occidentale della città. Dopo il bosco, si stendeva una interminabile serie di campi coltivati, fradici d’acqua e in attesa di un sole che forse avrebbe fatto la sua comparsa più tardi.
Meglio con la pioggia.
Valeri ripensò a Sonja che a quell’ora stava ancora dormendo, avvolta in un morbido piumone. Era uscito di casa molto presto, stando attento a non fare troppo rumore mentre preparava il caffè. Lo aveva bevuto con calma, e intanto la sua mente era corsa a infinite mattine che lo avevano visto seduto al tavolo della cucina, intento a osservare sua moglie che preparava la caffettiera. Poi si accomodava anche lei, e nell’aria c’era quella fragranza squisita che egli associava ai momenti più felici della sua vita.
Ora pioveva meno. Valeri giunse alla fine di via S, ed entrò nel bosco. Quella notte aveva sognato topi, e lugubri fantasmi che rievocavano le pagine ingiallite dei troppi giorni persi, delle occasioni mancate, delle speranze sopite e infine ignorate. Ricordava vagamente un grosso ratto, grande quasi come un gatto di strada, che inseguiva una bambina. Lei era terrorizzata, ma lui, sebbene lo avesse voluto, non poteva aiutarla. Infine la bambina incespicò, e il topo le fu sopra, incominciando a divorarla. Valeri si era svegliato di soprassalto, con il cuore che batteva forte.
Era un incubo. Uno stupido incubo.
Nel bosco si respirava un’aria di pace. Gli antichi e austeri alberi si scrollavano di dosso le ultime gocce di pioggia; i rami seguivano i tempi del vento, che ora si era fatto più forte. Valeri volse lo sguardo a settentrione e vide che il cielo si faceva blu. Ma sopra il bosco, si stendeva ancora una cappa grigia, di un grigio indistinto, in alcuni punti sbiadito, in altri tendente a una tonalità più scura, non esattamente nera tuttavia prossima a quel colore. Spirali di fumo si alzavano dagli avvallamenti del terreno; gli ultimi ciuffi di erba verde si apprestavano ad assumere le sfumature prossime dell’autunno.
Pensò nuovamente al sogno di quella notte e, benché come sempre accade, stesse per allontanarsi dalla sua memoria cosciente, non poté reprimere un moto di orrore e di disgusto. Poi il suo pensiero fu avvolto dalla tenerezza, al pensiero di Sonja che dormiva serenamente. Presto si sarebbe svegliata e avrebbe allungato una mano per cercarlo. Era domenica, e si sarebbe chiesta dove fosse andato. Forse a comprare il giornale. Si sarebbe recata in cucina e avrebbe preparato il caffè anche per lui, convinta che di lì a breve sarebbe tornato.
Ma questo non succederà, amore mio.
Si inoltrò nel bosco, camminando lentamente.
Adesso non pensava più al topo, e di proposito aveva escluso Sonja da quel misterioso meccanismo che è la mente umana. Misterioso e indecifrabile, pronto a passare con incredibile facilità dalle suggestioni più belle alle pulsioni più torbide. Se lo raffigurava come un magma composto da variegate zone, ciascuna delle quali custodiva un segreto, un desiderio, un rimorso e un rimpianto. Lì c’erano le gioiose aspettative della giovinezza, i rancori coltivati negli anni, le offese dimenticate e quelle mai perdonate; la solitudine di un bambino infelice, la paura immotivata che talvolta ti assale, stordimenti e voci distanti. L’ascolto di musiche che lo avevano reso felice, litigi che avevano scavato profondi solchi. Arroganze immotivate, e senso di inadeguatezza. Era simile a un polveroso solaio, dove si può trovare di tutto, e a volte il tutto diventa un niente. Solo qualche simbolo. Immagini fugaci. Il mare e le barche dalle vele sgargianti a Odessa. Una notte d’amore e un pomeriggio trascorso a stendere i panni della coscienza su un balcone immaginario.
Il male senza nome.
L’angoscia che improvvisa ti assale, rendendoti incapace di qualunque azione. Anche lavarsi era diventata una fatica. Valeri avrebbe avuto la volontà per reagire: ma gli mancava la forza; non erano sufficienti il coraggio e l’orgoglio. Forse era stato abbandonato dall’alito della vita, smarrito chissà dove, e ormai introvabile. Valeri si immaginava una cupa vallata, incassata fra alte montagne dalle cime aguzze: il suolo era cosparso di profondi crateri; sui due lati della gola si aprivano caverne dall’aspetto sinistro. In quella più buia soggiornavano le anime morte; nell’altra, dove filtrava una luce maligna, i corpi devastati di innumerevoli bambine, che erano state dilaniate dai topi, violentate da uomini brutali simili a bestie, martoriate da demoni che di notte si impossessavano del suo cervello per condurlo nei baratri della follia.
Le domande eterne, prive di risposta. La consapevolezza di non aver mai saputo dare abbastanza.
Forse Sonja era felice, ma ne dubitava.
Con un altro uomo avrebbe scoperto nuovi percorsi; probabilmente, la sua anima si sarebbe arricchita di complicità inedite, e di sentimenti capaci di riscaldarle il cuore, come in una giornata limpida, soleggiata, percorsa dalla brezza del sud. Valeri conosceva il sapore dello scirocco, la sua capacità di infondere gioia; se si fosse concentrato, ne avrebbe percepito addirittura il profumo, e il senso profondo che da sempre recava con sé. Però sapeva anche di non poterlo evocare. Forse, in giorni lontani, ne sarebbe stato capace. Ma quei giorni non esistevano più, né in alcun modo sarebbero tornati.
Giunto che fu al centro del bosco, rivolse per l’ultima volta lo sguardo al cielo. In lontananza, vide l’arcobaleno.
Poi prese la pistola e si sparò alla tempia.
DOPO IL PONTE DI K
28 gennaio 2015 di Alessandra Bianchi
45 Risposte
Non so perché, ma ho subito avuto il presentimento che il finale sarebbe stato tragico. Forse sbaglio, ma per caso l’avevi già pubblicato?? Mi pare di averlo già letto, oppure è una di quelle sensazioni simili a quanto sembra di essere già state in un luogo quando non è vero!!
A parte questi miei ragionamenti strampalati (forse la stanchezza e l’ora tarda)
come sempre è scritto molto bene, con tanta dolcezza nel personaggio di Valerì quando pensa alla moglie e con tanti particolari ben descritti.
Complimenti, sempre grande cara Alessandra.
Serena notte. Pat
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@ PATRIZIA M. sì, lo avevo già pubblicato, poi però ho modificato alcune parti.
Non sai perché? Perché mi conosci bene, cara Pat!
I tuoi ragionamenti non sono affatto strampalati, credimi.
Grazie e un grande abbraccio, amica mia 🙂
Sogni d’oro.
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Ricambio di cuore l’abbraccio carissima 🙂
Sogni d’oro a te.
Pat
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@ PATRIZIA M. 🙂
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E’ bello Alessandra anche in questa tua variante, un abbraccio cara, buonanotte, kiss, ❤
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@ LAURA grazie di cuore ❤
Ti auguro una notte fatata, stellina*
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MOLTO BELLO ANCHE QUESTO CARA MIA..COMPLIMENTI DI CUORE
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Ecco, finalmente, uno di quei brani che ci colpirono nel tempo.
Ricordammo, come fosse adesso, quando lo elaboraste.
La piattaforma Splinder lo accolse con quella serietà e quella bellezza che vi competeva. Un brano che avete migliorato (se mai fosse possibile migliorarlo).
Ricordiamo, addirittura, che preferimmo non commentarvi, tanto sentivamo questo recconto nelle nostre corde, che depositammo presso le vostre pagine un nostro piccolissimo e umile raccontino improntato all’empatia verso il Ponte K.
Non ripeteremo quella esperienza in quanto venne pubblicato, presso il mirabile blog dedicato alla letteratura Gotic Cipria nuda e scritti di sangue, (credo fossero due piattaforme) della brava Emma Vittoria Francesca dall’Armellina.
S’intitolava: “Solitude sous le ciel de Paris” raggiungibile attraverso questo link: https://emmavittoria2.wordpress.com/2011/05/24/capitolo-quarto-solitude/
Ricordiamo che, nelle more della vostra cortese risposta, scriveste in apposito commento, una vostra storia brevissima che s’incastrava benissimo col nostro apportino.
Con molta umiltà riteniamo che, questo vostro racconto breve, possa essere aggiunto a quella raccolta. (Ci facciamo carico di esporre a Lady Emma Vittoria la presente proposta e che Vi contatti a mezzo Blog).
Non riusciamo, come allora, a scrivere e/o elaborare una qualsiasi parola a commento.
La bellezza non si commenta!
La perfezione non si analizza.
Abbiate le nostre cordialità.
PS: Esclusivamente nella veste di espertissimi nel campo dei refusi, vi segnalammo una innocentissima svista:
“che erano state dil i aniate dai topi, violentate da uomini brutali simili a bestie”.
Salutations
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Pordon.
Il link (anche se tutti quei racconti sono, semplicemente, superlativi) fu questo:
Merci
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Bellissimo il flusso di coscienza intessuto sulle analogie e sulla concretezza delle immagini che costituisce il cuore del racconto. Un’anima a confronto con la propria angosciosa finitezza. E la parsimonia con cui fornisci dettagli (pochi ma significativi) trasferisce tutto su un piano oltremondano, allegorico.
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L’avevo già letto ma l’ho riletto con calma e con piacere. Quello snodarsi tra pensieri e realtà, quell’evolversi ta sogni e realtà si intrecciano in un gioco di sensazioni, di malinconie che nemmeno l’arcobaleno, simbolo della speranza perché dopo la tempesta verrà il sole, riesce a mitigare.
Un caro abbraccio
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@ MAIRITOMBAKO ευχαριστώ 🙂
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@ LORD NINNI sono letteralmente incantata, Milord!
Vi ringrazio moltissimo.
P.S. provvedo immantinente. Grazie ancora.
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Grazie
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@ LORD NINNI andai a vedere ma, a causa della mia indubbia stoltezza, non compresi di chi è il blog. Vidi voi, ma quello non è il vostro sito…
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Ehm… milady: .. non compresi di chi è il blog …?
… […] venne pubblicato, presso il mirabile blog dedicato alla letteratura Gotic Cipria nuda e scritti di sangue, (credo fossero due piattaforme) della brava Emma Vittoria Francesca dall’Armellina…[…]
ehm … secondo voi?
😮
vabbé…
😦
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Inserimmo, anche i link!
Due link…
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@ GIOVANNI COMPARONE grazie mille!
Quasi sempre è più facile “aggiungere” piuttosto che “togliere”, quasi che le parole scritte fossero oro 🙂
Ciò vale anche per me e, nei limiti del possibile, cerco di moderarmi.
Che bei commenti che sto ricevendo!
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@ NEWWHITEBEAR ed ecco un altro contributo assai significativo.
Mi viene voglia di scrivere…
Un grande abbraccio e appuntamento a domenica con “Rage”.
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@ LORD NINNI io sono andata, seguendo il link!
Ho ascoltato bella musica e letto ottimi racconti. Purtroppo non c’è la possibilità di commentare, o forse sono io che non ho trovato il modo.
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Quando si dice il fato.
Buona giornata
🙂
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Ho riletto con piacere questo racconto dal finale drammatico, purtroppo nella vita è anche una triste realtà, le problematiche a volte conducono all’esasperazione che annulla la volontà di reagire.
Scritto con classe e grande passione.
un abbraccio
annamaria
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Mi ricorda Alex Alliston, ma forse è solo l’atmosfera di uno dei personaggi femminili in quel libro. Deve andare a rileggerlo.
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@ ANNAMARIA49 è esatto quello che scrivi, cara Isabel.
Grazie per la “classe” e la “passione”.
Un bacione.
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@ RODIXIDOR sono felice che tu l’abbia letto 🙂
Rileggerlo poi… ^^
Chissà a quale personaggio ti riferisci.
Buona serata, caro amico.
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Grazie, Alessandra
Applauso
Mistral
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@ LORD NINNI già 🙂
Radiosa serata, Milord.
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@ OMBREFLESSUOSE grazie a te, Mistral!
Baci.
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Solitude sous le ciel de Paris
“Da quanto tempo me ne stavo lì, seduto immobile su quella comoda poltrona?”.
Me lo domandai quando il mio sguardo vagò fuori, oltre le fini tende e la vetrata della finestra di quell’accogliente camera d’albergo.
Notai che la maggior parte delle luci, che prima illuminavano gli appartamenti dei grigi palazzi lì intorno, ora si erano spente. Rimasi ancora per un po’ immobile. Solo i miei occhi si mossero, alzandosi verso il cielo.
Un’immensa distesa nera ricoperta di nubi; un oscuro sudario d’ombra che pareva voler minacciare la città, come se da un momento all’altro avesse potuto inghiottirla, facendo sparire tutto nelle tenebre più profonde.
Doveva essere abbastanza tardi, a giudicare anche dai suoni e dai rumori, che giungevano ormai lontani ed ovattati; forse erano le undici o mezzanotte.
Sospirai: Durante il giorno non riuscii a riposare e tutto quel buio e quel silenzio m’innervosivano tremendamente.
Mi guardai intorno.
L’unica luce che rischiarava l’ambiente proveniva da un lampadario, appeso sopra il letto. Nella stanza c’era però un camino; era spento ed io vi ero seduto davanti. M’innervosii ancora di più; qualcosa mi bloccava e m’impediva di accendere un fuoco in quel camino.
Capii subito che si era trattato del mio buon senso o di paura.
Molto più probabilmente, invece, era l’insieme di entrambe le cose, ma non vi feci più caso.
M’imposi di non pensare più a nulla per un momento; ero dannatamente troppo teso quella notte, forse per l’incontro che la tua lettera aveva sollecitato, dopo tanti anni, pur di farmi arrivare fino a Parigi.
Dopo un lungo sospiro, mi alzai dalla poltrona.
Non conosco il motivo ma, mentre lasciavo vagare lo sguardo stanco per la stanza, improvvisamente, tu piombasti nella mia testa squarciando i miei pensieri, come un raggio di sole penetra la fredda nebbia di una mattina d’inverno.
Il pensiero, quindi, scivolò leggero sulla poltrona dov’ero seduto qualche minuto prima.
Le ombre della stanza ora danzavano.
Era una danza vorticosa la loro, sfrenata ed incontrollabile. Per un attimo mi sembrò che mi stessero chiamando, pronunciando il mio nome, ma con la tua voce.
Chiusi ancora una volta gli occhi e portai le mani sulla testa, quasi a voler sopprimere tutti i pensieri. Mi voltai, dando così le spalle a quella maledetta finestra, che aveva risvegliato in me quella sete di te che tanto lottavo per controllare.
Andai a sciacquarmi il viso.
Rimasi appoggiato al lavandino per un po’ di minuti, il tempo necessario per far sì che i miei pensieri scivolassero via, insieme all’acqua. Riattraversai con gli occhi serrati e a grandi passi la camera, fino all’ingresso. Aprii la porta e subito la richiusi dietro di me, una volta uscito sul lungo corridoio.
M’illusi d’aver intrappolato nella stanza tutte le mie angosce in modo che, quella notte, non avessero più avuto l’opportunità di tormentarmi.
M’illusi, appunto…
Serrai di nuovo gli occhi e sospirai.
Trassi, nuovamente, la tua lettera ormai sgualcita e con occhi febbricitanti ne scorsi, per la millesima volta, le parole:
” … Vous êtes allé sur une froide journée de Décembre.
J’ai toujours aimé l’été. J’ai toujours détesté l’hiver.
En été, la mer est capable de prendre des milliers de couleurs
et mille nuances de couleurs,
les odeurs de la vie de la mer,
est sillonné … “
Poi, dopo l’ultimo sospiro, chiusi gli occhi e volai oltre i pensieri e le idee.
Volai dove nessuno avrebbe più raccolto il mio pianto, la mia disperazione o il mio destino.
Volai oltre quella grande finestra che, un giorno, ci aveva visto uniti, innamorati e felici.
Volai oltre i piani che mi separavano dal suolo e i vetri infranti, in una esplosione dai mille diamanti come il mio cuore e una coppa di Louis Roederer.
Adieu.
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@ LORD NINNI una sola parola: splendido!
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@ LORD NINNI “J’ai toujours aimé l’été. J’ai toujours détesté l’hiver.
En été, la mer est capable de prendre des milliers de couleurs
et mille nuances de couleurs,
les odeurs de la vie de la mer,
est sillonné … “
Grazie 🙂
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eh, era facile immaginare il finale 😦 forse non il metodo, ma la conclusione sì 😐
Hai descritto benissimo quelli che Churchill chiamava “i morsi del cane nero”: la depressione. Perfino avere la persona amata vicina non riesce a cambiare il senso profondo di ineluttabile disperazione 😦
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST sono onorata, caro lupo 🙂
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Pezzo amaro, duro da affrontare… ma è scritto con abilità assoluta da parte tua. Un saluto, a presto. Univers
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Resto in silenzio. La mente purtroppo va verso un “Valerì” che in una mattina di pioggia raggiunse il suo amato bosco e prese una corda mentre la sua dolce “Sonja” si accingeva a preparare il caffè della domenica.
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@ UNIVERS81 ne ho scritti molti di pezzi duri e amari; questo credo che sia fra i più tristi. Grazie, mio “vecchio” amico.
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@ ILI6 sei riuscita a commuovermi, citando la trama del mio racconto!
Ti abbraccio.
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La cosa più triste è che queste cose accadono per davvero. E questo pensiero non mi da pace. Io credo che qualcosa si potrebbe fare per eliminare queste morti. Si DOVREBBE fare qualcosa.
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@ BRUM sono con te, caro amico.
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Senso d’angoscia fin da subito, ma proprio per questo molto bello.
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@ BLANCA MACKENZIE detto da una scrittrice come te mi fa doppiamente piacere!
Grazie, Blanquita*
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Infine la bambina incespicò, e il topo le fu sopra, incominciando a divorarla. … bcameralampadario.wordpress.com
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@ matthiasbuesseckel2 😦
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Andammo a leggere anche noi, mia signora (Buon giorno).
Trattasi di “Spam”.
Semplice, stupido e volgarissimo spam.
Ne bloccammo a migliaia.
Serena giornata.
🙂
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@ LORD NINNI serena serata, Milord.
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