Negli Stati Uniti esistono le carceri federali, che in genere mancano di torrette, filo spinato, agenti costantemente armati di fucile. A disposizione dei detenuti vi sono biblioteche, campi sportivi, sale da gioco. Perlopiù, i reclusi sono stati condannati per reati amministrativi, frodi, concussione, falso in bilancio, insider trading, e non sono considerati pericolosi; potrebbero scappare, però non lo fanno: lì la vita scorre noiosa ma tranquilla, quasi come in un college. Le risse sono praticamente inesistenti e i televisori, privi di telecomando, con i programmi da vedere scelti da una guardia, sono un efficace deterrente per evitare litigi. I detenuti svolgono piccoli lavoretti per una modesta paga sotto forma di buoni per lo spaccio e per i francobolli o le telefonate, e si dedicano a vari hobby.
Esistono poi le prigioni statali, e qui la musica è molto diversa, i regolamenti più rigidi, le restrizioni più numerose, e il trattamento assai meno cordiale. Esistono le carceri di massima sicurezza, riservate ai delinquenti peggiori, in cui l’esistenza è un inferno e gli atti di violenza sono all’ordine del giorno. La gente destinata a trascorrere lunghi anni dietro a quelle sbarre ormai non ha più niente da perdere.
Nei trentasette Stati dove è prevista la pena capitale (in un caso solamente per reati precedenti il luglio del 2009), c’è infine il braccio della morte. Nel Nevada attualmente ottantasette persone aspettano il giorno fatale. I tempi sono sempre molto lunghi a causa del principio americano che prima di morire il colpevole deve rendersi conto di quello che ha fatto e di conseguenza pentirsi.
Alle otto di domenica ventiquattro febbraio, il direttore di una di queste strutture era già nel suo ufficio. Affermare che era spaventato sarebbe un eufemismo. Non si era sbarbato, perché gli tremavano le mani. Era vestito in qualche modo e meditava amaramente sul suo futuro. Prima di uscire di casa, aveva bevuto di nascosto un paio di bourbon.
D’Amico non voleva perdere la moglie, il lavoro e il rispetto dei suoi due figli. Non intendeva diventare un reietto, deriso e schernito da tutti. Ma era ciò che lo attendeva, gli avevano spiegato con garbo i due uomini in grigio che lo avevano sorpreso a letto con un ragazzo. Avrebbero anche potuto chiudere un occhio, aveva detto il più anziano dei due; in cambio, lui avrebbe dovuto fare quello che gli veniva ordinato di fare. E ora D’Amico si accingeva a obbedire. Aveva preso in considerazione l’idea del suicidio, ma gli mancava il coraggio e non lo avrebbe mai trovato.
Alle otto e dieci minuti, cinque uomini furono introdotti nell’ufficio da una guardia. I primi due purtroppo li conosceva già. Si sedettero davanti alla scrivania. Gli altri rimasero vicino alla porta, anche loro vestiti di grigio, tranne uno che indossava jeans, blazer blu e camicia azzurra con i bottoni del colletto slacciati. Con sé aveva un’elegante borsa, del tipo di quelle che usano i medici. Fu lui a parlare. “Sono un dottore.”, affermò. “Prima del trasferimento, devo visitare i prigionieri per accertarmi che siano in buone condizioni di salute.”
D’Amico annuì, sollevò il ricevitore e impartì le disposizioni del caso.
Volkov lo guardò con disgusto.
Carnevale era un genio, pensò il giornalista italiano che, sebbene non potesse saperlo né lontanamente immaginarlo, stava lavorando all’ultimo reportage della sua vita. Era una sua caratteristica strana, della quale non finiva di stupirsi. A tratti, gli balenavano nella mente le idee più disparate, che nulla c’entravano con quello di cui al momento si stava occupando. Era sempre stato così, fin da ragazzo.
Scrollò le spalle e considerò la faccenda. Grazie a una conoscenza vasta e profonda della legge, una conoscenza enciclopedica, nel corso degli anni Corrado Carnevale era riuscito a cassare circa cinquecento sentenze, trovando immancabilmente in ognuna di esse un vizio di forma, talvolta pressoché invisibile, però presente. E lui lo individuava. Peccato che la straordinaria bravura di quello che era stato un autentico enfant prodige, laureatosi a soli ventun anni con il massimo dei voti, e in seguito diventato un assoluto fuoriclasse, non fosse stata rivolta a fin di bene.
Giovanni Raimondini finì di bere la spremuta d’arancia e gettò uno sguardo velenoso al titolo del suo articolo, pubblicato su “Repubblica”: La Lady d’Acciaio. Quanta fantasia!, si disse acidamente, e non per la prima volta. Che licenziassero simili idioti, gli stessi che adoperavano il termine “stangata” in continuazione, quasi fosse una prescrizione medica. Poiché lavorava come free-lance, li avrebbe puniti, non inviandogli il nuovo pezzo su Monica Squire. Era famoso, quindi in grado di proporsi a chiunque. Stabilì che avrebbe scelto “Panorama”; poi, soddisfatto, si dedicò alle uova, trovandole troppo cotte.
Come ogni giornalista di spessore, aveva importanti agganci fra gli alti papaveri degli Stati Uniti, che da cinque anni costituivano il suo terreno di caccia preferito. Abbandonato Carnevale, rifletté su ciò che gli era stato confidato, durante una piacevole cena a base di pesce, dal DDI della CIA, il traballante (le voci correvano), ma imperturbabile Bruce Underwood.
Mentre il direttore del carcere deponeva la cornetta e Raimondini addentava il bacon, in Israele erano le diciotto di una tiepida giornata allietata dal sole. Nella nuova sede del Mossad, che non è a Tel Aviv benché molti credano che si trovi ancora in King Saul boulevard, il corpulento, abile e spietato Aaron Ben-David fissava la giovane donna, immerso nei suoi pensieri.
Sarah Gabai aspettava in silenzio. “I nostri amici americani non sanno cavare un ragno dal buco.”, disse infine il capo del servizio segreto israeliano. “Sono intervenuti i russi, non si sa bene il perché. Conosciamo i loro inimitabili metodi.” C’era del sarcasmo nella sua voce, ma pure qualcos’altro, come un’ombra di riluttante rispetto. Probabilmente stava pensando al tenente generale Vasiliy Melnikov, primo vicecapo del SVR, il Maestro della Disinformazione, secondo una definizione della CIA che lui condivideva. Ben-David si accese una Noblesse, aspirò una boccata di fumo, tossì e aggiunse, come parlando a se stesso: “In un modo o nell’altro, i russi risolveranno la questione.”
Sarah fece un cenno d’assenso con il capo.
“Ma a me tutto questo interessa relativamente. E’ giunto il momento di regolare i conti con il pazzo che ha organizzato il sequestro. Sta per attaccarci, quindi va fermato, e molto in fretta anche. A Langley hanno un nostro rapporto, un po’ vago a essere sinceri; non me ne sono nemmeno occupato io… noi badiamo ai fatti nostri. E comunque, ci metterebbero un anno a scovarlo, sempre che ci riescano. Ti affido questo compito, Sarah. Ho fiducia in te, perciò non deludermi.”
“Non fallirò.”, disse Sarah Gabai in tono fermo.
“Molto bene.” Ben-David le porse una cartelletta. “Vita, opere e miracoli di Ibrahim al-Ja’bari.” Poi si alzò e si avvicinò zoppicando a una grande carta geografica che occupava buona parte di una parete. Era anziano e malato, ma la sua mente era ancora acutissima e la sua perspicacia intatta. Apprezzato anche se con numerose riserve da metà Likud e detestato dall’altra metà e dall’intero partito laburista, a causa di alcune iniziative giudicate opinabili, nessuno si sarebbe comunque sognato di mandarlo in pensione anzitempo: Ben-David rappresentava lo Scudo della nazione. D’altro canto, aveva la cassaforte che rigurgitava di dossier dedicati a tutti i membri della Knesset.
Mentre camminava, tossì nuovamente. Il medico gli aveva vietato le sigarette, Aaron aveva preso alla lettera quel divieto… ma solo per il giorno del sabato. Indicò due punti sulla mappa. “Qui o qui.”, dichiarò. “Buon lavoro.”
Sarah Gabai si congedò. Bruna e atletica, aveva ventotto anni; era entrata nel Mossad dopo aver prestato il servizio militare occupandosi di controspionaggio. Terza di cinque figli, aveva perso i due fratelli maggiori, entrambi uccisi dalle bombe. Da sempre era la prima, in qualsiasi campo: un punto d’onore in un Paese assediato da innumerevoli nemici e che tuttavia reagiva colpo su colpo agli attentati con uguale ferocia.
Sarah eccelleva nell’arte dei travestimenti: poteva apparire in una strada vestita con un elegante tailleur e un istante dopo trasformarsi in una mendicante coperta di stracci. Parlava correntemente sei lingue, conosceva ogni genere d’arma e di lotta. Si era classificata al secondo posto in una prova assai poco piacevole dell’addestramento: resistenza agli interrogatori “speciali”. Non si considerava graziosa, anche se lo era.
L’anno prima, aveva ricevuto l’Israel Security Prize, un’onorificenza destinata a chi ha operato con valore per la sicurezza d’Israele. Quando affrontava una nuova missione, sapeva di rischiare la morte e atroci torture; ciò non le impediva di agire con determinazione e coraggio. La sua migliore amica si era fatta catturare: le avevano stritolato le articolazioni delle dita delle mani e dei piedi; salvata in extremis da un commando, adesso svolgeva un noioso lavoro d’archivio. Era un ricordo che non la abbandonava mai. Conosceva la paura, ma la teneva a bada.
Donne e uomini in Israele pari sono, tutti devono essere pronti a combattere per la patria, e nel Mossad le donne rivestono un ruolo importante quanto quello dei maschi. Una donna è stata vicedirettore generale per sette anni.
Quando Sarah era partita per l’Iran, il suo capo le aveva detto: “Tu sarai gli occhi dello Stato nei Paesi nemici.” Lei aveva provato un forte senso di orgoglio. In tale occasione, aveva riportato notizie di importanza vitale sugli esperimenti nucleari degli iraniani. Qualche mese più tardi, a Damasco, aveva ucciso Imad Mughniyeh, il capo militare di Hezbollah. E in seguito era stata nominata comandante, che nell’esercito israeliano equivale al grado di colonnello.
Raggiunse il suo piccolo ufficio, si sedette alla scrivania e lesse per tre volte il fascicolo relativo a Ibrahim al-Ja’bari. La prima velocemente per ottenere un quadro generale affidato all’istinto, la seconda con maggiore attenzione soffermandosi a rileggere interi paragrafi, la terza con in mano un lapis blu con cui sottolineò i passi che le sembravano più rilevanti. Nemico giurato di Israele e degli Stati Uniti, sprezzante nei confronti di Hamas, mezzo arabo e mezzo palestinese, da parte di madre, assetato di morte, vendetta, sterminio. Amava farsi chiamare “il figlio del deserto”.
Sarah si tolse le desert boots e appoggiò i piedi sulla scrivania. Un pazzo, come lo aveva dipinto Ben-David?
Scosse la testa. No. Un grande pericolo.
La mia insonnia mi ha reso possibile la lettura di questo capitolo “fresco di stampa”. La tela del ragno si estende, e molti personaggi entrano in gioco, e anche i giornali Italiani ne parleranno….e tutti a supportare Margaret, tuttavia credo che il percorso sarà colmo di insidie e colpi di scena! Ancora un elogio alla tua bravura. Volevo tentare di dormire, ma dopo questa lettura sarà difficile, quindi per colpa tua passerò una domenica da zombie….ciao Ale. Loredana
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@ LOREDANA insonnia reciproca…
E’ vero ciò che dici: il quadro si amplia, e Sarah risulterà assai importante ai fini della narazione. Il mondo al giorno d’oggi è una polveriera continua, che non sembra risparmiare nessuno. Nel presente caso, ciascuno, per interessi diversi, prova a intervenire. Il Mossad, sebbene piccolo, è molto potente; e poi ci sono Volkov, la CIA, Milton Brubeck, Martin Yarbes. Mi auguro che questa storia continui a piacere agli amici lettori.
A te, un grandissimo abbraccio, cara amica 🙂
E buon sonno. Presto arriverà la fata che dispensa dolci sogni.
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Maestra nell’allargare il contesto a trame internazionali. Per poi tornare al duello epico, Sarah contro Ibrahim e conoscendoti il finale è tutt’altro che scontato.
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Un intreccio internazionale a dir poco, con la tua solita maestria. Con ambiti realistici. Un saluto da Salvatore….detto….Sar….
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15° capitolo con l’ingresso di Sarah che pare già sapere come muoversi tra le faide internazionali. Indosserà presto le desert boots e qualcosa mi dice che ne farà buon uso.
Attendiamo anche di conoscere che accadrà nelle carceri(sai che è la prima volta che leggo questo sostantivo plurale al maschile? La lingua italiana si evolve e si trasforma) con D’Amico che trema come una foglia d’autunno.
A presto Ale, sempre avvincente leggerti.
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Ci mancavano i nipotini dell’Haganah ? Direi proprio di si. Per ovviare alla mancanza ecco Sarah, figlia del Mossad. Insomma una che non scherza e che non lo faccia si legge subito dalla missione che le viene affidata.
Le prossime puntate ci sveleranno di che pasta é fatta.
Se ricorda l’Irgun allora …
Giusto per aprire altri fronti, anche interni, nella prigione di Lovelock a Carson City si sta consumando una tragedia molto americana. Si sa che sesso e denaro sono la benzina che fa girare il motore del mondo, però non sfugge l’espressione di disgusto del lupo siberiano. Che poi c’é da chiedersi cosa ci faccia lui li.
Poi non possiamo non sottrarci ad un tocco di made in Italy. Ormai diciamolo , il brend é internazionale e sicuramente sarà una presenza se non decisiva, preziosa sicuramente.
Insomma, siamo globalizzati.
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sei una maestra come combini sempre le persone e loro attivita
ti ammiro tanto..
serena serata cara mia
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La trama si sta allargando con l’entrata di nuovi personaggi ma soprattutto con l’estensione della storia, con degli intrecci che sicuramente riserveranno diverse sorprese, rendendo la storia sempre più appetitosa e avvincente.
Bravissima Alessandra, veramente stupenda!!
Ciao, serena notte e buona nuova settimana
Pat
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Bravissima, troppo bello leggerti, grazie, con affetto Laura.
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@ RODIXIDOR maestra? Sei troppo buono, mio caro amico!
Un abbraccio.
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@ SALVATORE RIZZI nei miei limiti, cerco sempre di inserire nella realtà le storie che scrivo.
Un saluto a te, Sar.
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@ ILI6 certo: Sarah si rimetterà le desert boots per prendermi a calci nel sedere 🙂
E me lo merito.
Le carceri! Ho corretto subito, cara Marirò: grazie!
Un bacione.
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leggevo ieri sera che nel linguaggio giornalistico oggi inizia ad usarsi il plurale maschile del sostantivo carcere. E il dibattito sui plurali irregolari della nostra lingua è sempre aperto. Quindi che Sarah dia i calci a Ibrahim e anche belli forti 🙂
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@ ILI6 🙂
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@ CAPEHORN Sarah è una dura, ma è attesa dalla missione più pericolosa della sua vita. Il lupo siberiano era già approdato nel Nevada… era l’ospite dell’albergo (puntata precedente).
E l’italiano… mmm… non garantisco per lui.
Ti ringrazio, Cape!
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@ MAIRITOMBAKO t.v.b. ❤
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@ PATRIZIA M. non è la prima volta che mi succede: parto con un racconto che poi, a mia insaputa, si dilata a dismisura 🙂
Spero che “Rage” non deluda.
Un sorriso per una bellissima nuova settimana, cara Pat.
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@ LAURA sei carinissima!
Grazie a te con pari affetto ^^
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Sono sempre più affascinata dalla tua scrittura e dalla tua grande fantasia, per quanto riguarda i luoghi, l’attività di spionaggio so che c’è dietro un grande lavoro di ricerca. Sarah, entra in gioco, mi sembra astuta e competente, speriamo che risolva la faccenda e che non subisca torture, comunque sta a te la scelta narrativa.
Buon inizio settimana.
con affetto
annamaria
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@ ANNAMARIA49 sono lusingata, cara Isabel.
Il grande lavoro di ricerca, in effetti, c’è. Mi piace essere precisa. Per scoprire quali sono le sigarette più vendute in Israele ci ho messo una vita, però secondo me ne è valsa la pena. Il mio concetto di spy-story è basato sull’attendibilità delle informazioni, anche se naturalmente il racconto è di fantasia.
Un grande abbraccio, mia preziosa amica.
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La storia si fa intrigante con le new entry: un giornalista italiano e il mossad con Sarah. E iul gioco si fa duro.
Il filo della storia non si spezza ma si aggroviglia e tutto diventa piùm interessante.
Un caro abbraccio
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Ciao! Ci sono eh, continuo a leggere. Solo mi sto incasinando parecchio la vita e non trovo mai il tempo di scrivere. Ma tu vai avanti alla grande, mai avuto dubbi su questo.
A presto e scusa l’assenza. Uno strabacio!
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@ NEWWHITEBEAR il giornalista italiano ha poche ore di vita…
Sarah, invece, sarà una protagonista a tutti gli effetti.
Grazie e un caro abbraccio.
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@ KRIS ciao ^^
Mi sei mancata molto!
Spero che la tua vita sia incasinata in senso positivo 🙂
Due strabaci**
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In questa nuova puntata, si vive la bellezza della descrittività completa.
Quella descrittività che ci accompagna nella lettura di questa nuova puntata de “Rage”: La quindicesima..
Siamo certi di considerare e decidere per il meglio, in tutte le situazioni?
Siamo sereni quando, nelle decisioni e/o atteggiamenti importanti, basiamo le scelte in merito o nel merito delle situazioni imposteci?
Ecco che, lady Alessandra, ci stupisce con un altro passaggio denso di aspettative e risultati.
“Aveva preso in considerazione l’idea del suicidio, ma gli mancava il coraggio e non lo avrebbe mai trovato”.
Quante volte assistiamo a considerazioni che ci vengono espresse, in tal senso, e non riusciamo a porre o proporre alcun fatto per far recedere da quei “malsani” proponimenti?
Ci si abitua al dolore, alla miseria e alla disperazione.
Ci si abitua a tutto questo.
Non ci si abitua al pulsare del cuore che, ogni giorno, ci ricorda che mai tutto è perduto. Forse …
Il Mossad.
Alcune volte ago della bilancia, non già per specifiche azioni svolte dai vari reparti specializzatissimi. Spesso per quelle azioni non eseguite, ma sicuramente attese. Devastanti più fortemente delle prime.
Leggendo, nel prosieguo, non potemmo non notare la figura di “Ibrahim al-Ja’bari”, considerata l’immediata assonanza con un altro personaggio reale (vi ispiraste?) e se trattasi di chi supponemmo, avete ragione: è un grande pericolo. Un grandissimo, immediato, grave, pericolo.
Concludiamo con la figura del giornalista che, elemento nuovo, ha le ore contate. Che fortuna, in questi casi, poter conoscere la propria morte e quindi mettere a frutto gli ultimi istanti rimasti per distruggere quanto di malevolo, terribile e inumano è venuto a conoscenza. Tanto, da lì a qualche ora, muore.
Morte liberatoria e benedetta alcune volte.
Abbiate, mi signora, le nostre cordialità.
(via satellite)
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@ NINNI RAIMONDI via satellite? Sono commossa!
Non mi ispirai in particolare ad alcun nome, ma certo alla situazione attuale.
Il giornalista… un omaggio, sia pur funebre (ma porta bene!)
E ora la storia. E’ forse la più complessa di tutte quelle che ho scritto, quasi certamente la più dura, perché non ci saranno sconti.
Il Mossad talvolta agisce, talvolta sta a guardare: ma sempre in modo inimitabile.
Un abbraccio!
No, due!!
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al-Ja’bari ha tutti contro. Non dovrebbe riuscire a scamparla. Non DOVREBBE. Con te, non si sa mai.
Capitolo preparatorio, che richiede attenzione…però. Il rischio di confondersi è alto.
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Come nella vita anche nei tuoi episodi ( sarebbe bello un libro!) nulla accade per caso. Sarah riuscirà a scovare il ragno dal buco, a me sembra agguerrita e determinata a svolgere la sua missione con successo, con la consapevolezza del grande pericolo che correrà. Ancora Italiani in questo capitolo, ma vivranno o faranno la fine della Cara Ivana “Stella Rossa?” Chi può dirlo…quindi aspetterò il seguito sperando!!!! Un abbraccio e a prestissimo. Tosca
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Adoro quando accavalli le situazioni e rendi tutta la storia ancora più intrigante, con più soluzioni narrative per il proseguimento… puntata avvincente, insomma. Si legge con più calma, con cadenza settimanale. Un caro saluto, a presto. Univers
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@ BRUM concordo con te: la storia non è semplice.
Per quanto riguarda Ibrahim al-Ja’bari… si vedrà 🙂
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@ TOSCA un libro? Mai dire mai, mia carissima amica.
Posso anticipare almeno il destino del giornalista: gli restano pochi minuti da vivere, al massimo un’ora… forse due.
Vedo che sei molto attenta e che ricordi i miei vecchi racconti. Di questo ti ringrazio molto.
Povera Ivana, Stella Rossa 😦
Un abbraccione!
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@ UNIVERS81 data la complessità del romanzo (ormai posso chiamarlo così) è meglio un solo capitolo alla settimana, sono d’accordo.
Se e quando mi verrà l’ispirazione, al mercoledì posterò un racconto o magari un nuovo episodio delle “ragazze terribili”.
Sono contenta che questo capitolo di “Rage” ti sia piaciuto!
Un caro saluto a te.
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Solo…brava!!!!!!!!!!!!!!
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@ SALVATORE RIZZI bacione!
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Sarah…..forte!
La MIA strega non si smentisce mai!
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@ MARI è una guerriera, come te!
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♥♡♥♡♥
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@ MARI ❤
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Sei, sempre gentile….ricambio…!
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@ SALVATORE RIZZI tu sei un vero amico!
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Accidenti, certo che ne ha di nemici questo rapitore-terrorista 🙂 E anche qua il racconto dimostra tutta la sua attualità 😉
Interessante la figura di Sarah, un altro elemento di spessore che si aggiunge ad una storia che ne è già ricca.
http://www.wolfghost.com
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….
Complesso e molto intrigante…
sembra che il cerchio d’azioni s’allarghi sempre di più,
come la figura di Sarah a rendere il racconto
ancor più interessante.
Sei d’una bravura davvero unica!
Un abbraccio cara e buon proseguo di giornata
Michelle
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E’ il mio modo di essere…..! Ciao…!!!!!
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@ WOLFGHOST è vero, lupissimo: Ibrahim al-Ja’bari ha molti nemici, però è un uomo tremendo.
Domenica arriverà anche un nuovo personaggio. E la storia diverrà ancora più complessa.
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😮 Accidenti… io non saprei far funzionare nemmeno una storia con due personaggi, tu ci riesci con un mezzo esercito! 😀
Riguardo al mio blog… la situazione è perfino peggiorata rispetto ad un po’ di tempo fa: il refresh automatico della pagina non ha mai funzionato, vero, ma almeno al momento della pubblicazione di un commento il pubblicante lo vedeva apparire, adesso deve fare il refresh della pagina perfino lui, altrimenti non va… 😦
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST io non saprei scrivere nemmeno una riga dei tuoi splendidi post.
In quanto alle piattaforme, compresa questa, Splinder era un’altra cosa, sia pur con i suoi difetti.
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@ VENTIDIPRIMAVERA chérie Michelle, “Rage” si allargherà ancora di più.
Grazie di cuore, amica mia, e serena serata*
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@ SALVATORE RIZZI ciao!!!!
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Rimango sempre amirata dalla tua bravura e …ti leggo
Alla prossima
Bacetti
Mistral
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@ OMBREFLESSUOSE bacini e bacetti, Mistral ^^
E grazie!
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