In una fredda mattina di febbraio, a tratti rischiarata dal sole ma più spesso avvolta dalle nuvole che un vento gelido sospingeva verso l’oceano, un ragazzo di quattordici anni camminava di buon passo, diretto alla palestra dove lo aspettava un incontro di basket.
Era domenica, perciò non era giorno di scuola. Il ragazzo sapeva molto bene che era seguito, e, sebbene ci avesse fatto l’abitudine, la cosa continuava a infastidirlo non poco. Dietro di lui c’erano una macchina priva di contrassegni, con quattro persone a bordo, e due uomini che invece si muovevano a piedi. Tutti e sei erano armati. Si tenevano a debita distanza, pronti a intervenire al minimo segnale di pericolo. Erano professionisti: i migliori nel loro campo.
Come la maggior parte dei figli concepiti quando i genitori non sono più giovani, John “Nadiya” Yarbes aveva spesso lo sguardo assorto ed era di temperamento riflessivo. Questo non gli impediva di essere un atleta nato, né di avere la capacità di stregare le ragazze, dato che era alto e bello. Dal padre aveva preso il vigore fisico – ma non il suo cinismo -, dalla madre l’avvenenza e l’idealismo. Era stato chiamato John in onore di John Lodge, un’icona della CIA, mentre “Nadiya” – un nome femminile – era dovuto al fatto che una giovane russa, Nadiya Nicolajevna Drosdova, sette anni prima che lui nascesse, aveva sacrificato la vita per salvare Monica, sua madre.
John adorava la mamma e, malgrado il fastidio di essere sempre controllato, era estremamente orgoglioso di lei: era la prima donna a essere stata eletta presidente degli Stati Uniti, sebbene a un’età relativamente avanzata, mai comunque quanto quella di Ronald Reagan, che era assurto alla presidenza a sessantanove anni.
A John la politica non interessava, preferiva lo sport e la musica, ma aveva trepidato al momento dello spoglio dei voti: fino all’ultimo era sembrato che dovesse vincere il candidato repubblicano, Craven, a causa delle opinioni espresse da Monica sulla guerra del Vietnam che moltissimi americani non avevano apprezzato. Alla fine, erano stati determinanti i voti dell’Alaska, e Monica Squire l’aveva spuntata d’un soffio.
Imboccò un lungo viale alberato, ai bordi del quale c’erano gli ultimi residui di neve, poi svoltò a destra e attraversò la strada, oltre la quale si ergeva il complesso sportivo. A parte il freddo, il clima era asciutto e nei giorni precedenti c’era stato quasi un primo accenno di primavera.
Se anche vide il furgoncino nero, posteggiato sull’altro lato della via, non ci fece caso.
L’uomo che portava una kefiah e indossava una candida kandura di cotone bianco staccò gli occhi dal monitor e rivolse un lungo sguardo penetrante ai quattro guerriglieri che attendevano in silenzio.
Era alto, con le spalle ampie, il naso adunco che peraltro si intonava alla conformazione del viso dai lineamenti affilati, che se non bello era comunque attraente. “Fra dieci minuti.”, disse. Erano le cinque del pomeriggio, vista la differenza di fuso orario con Washington.
Aveva cominciato a studiare e a preparare l’operazione tre mesi prima, subito dopo aver appreso con suo grande stupore l’esito delle elezioni presidenziali americane e la sconcertante vittoria della donna. Come d’abitudine, il suo lavoro era stato meticoloso; lo aveva assorbito dall’alba fino a notte inoltrata, senza che lui avvertisse la minima stanchezza. Ora era giunto il momento. Sapeva che tutto avrebbe funzionato alla perfezione.
Ibrahim al-Ja’bari era abituato da sempre a non lasciare nulla al caso. Glielo aveva insegnato suo padre, quando era ancora bambino.
Nello Studio Ovale, Monica trasse un profondo sospiro e depose i tre dossier sulla Resolute desk, la scrivania che la regina Vittoria aveva donato a Rutherford B. Hayes, e che dopo essere stata utilizzata in diversi uffici della Casa Bianca aveva trovato la sua collocazione definitiva per volere di Jackie Kennedy.
I tre fascicoli riportavano vita, opere e miracoli di tre uomini che lei conosceva molto bene. Uno di loro sarebbe stato nominato direttore della CIA. In linea teorica, quel posto sarebbe potuto andare a Martin Yarbes. Yarbes, però, si era dimesso per evitare conflitti d’interesse. Monica aveva scelto, ma prima di apporre la sua firma lasciò vagare la mente, ritornando al passato.
Nel corso di una vita lunga e avventurosa dedicata al mestiere di “spia”, ravvisava tre episodi cruciali.
Il primo, quando aveva ventiquattro anni, nel 1976, era molto doloroso: in quell’anno era morta Kris Howe, sua diretta superiore e maestra, che era stata soffocata nell’acqua. Sebbene Kris l’avesse pugnalata alle spalle, Monica l’aveva pianta sinceramente, rimpiangendo di non averla potuta salvare.
Il secondo risaliva al 1980, l’anno in cui aveva abbattuto un Hind sovietico in Afghanistan, con il triste corollario della successiva uccisione di John Lodge, ad opera del terribile Matrioska, il numero uno del KGB, che lei in seguito aveva eliminato in una camera d’albergo di Cannes.
Il terzo episodio riguardava il fallito colpo di Stato in Urss dell’estate del 1991. Monica aveva umiliato il maggiore del Gruppo Alpha, Miroslav Pomarev. Anche qui con una nota tragica: la morte di Nadiya, inizialmente sua carnefice e poi amica, protettrice e amante.
Craven l’aveva definita “assassina prezzolata”, poiché aveva citato alcuni di questi fatti durante il loro acceso dibattito televisivo. Forse c’era del vero in quell’affermazione, ma lei aveva sempre operato per il bene dell’America.
Tornò a osservare i dossier e infine firmò, promuovendo il vicedirettore delle Operazioni, Brian Stevens, un veterano che proveniva dal “campo”.
Poi pensò al suo primo viaggio ufficiale. La settimana dopo, avrebbe incontrato Putin a Mosca. Monica parlava il russo correntemente e ciò le sarebbe stato di grande aiuto. Senza l’intervento di un interprete, si potevano cogliere molte sfumature, altrimenti difficili da captare. E Putin era già enigmatico di suo.
Monica si alzò e si diresse verso la porta a est, una delle quattro di cui dispone lo Studio Ovale. Lì, in primavera, sarebbero sbocciate le rose.
Nel frattempo, John passava accanto al furgoncino nero.
Ma in che anno stiamo nel racconto?
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Nel 2013.
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Ok. Cercavo di capire se c’era qualcosa di misterioso nel ragazzo, ma lo saprò leggendo 🙂
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@ RODIXIDOR no, il ragazzo è ok.
Grazie per l’attenzione 🙂
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fantastico racconto..ti seguo e aspetto il prossimo 😉
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@ MAIRITOMBAKO ti ringrazio di cuore, amica mia ❤
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Scrivi, in modo eccellente…e non solo. Saluti dal vecchio Sar.
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@ SALVATORE RIZZI caro Sar, grazie!
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Dunque Monica ce l’ha fatta. Salto in avanti nel tempo e entra di scena il figlio, che sicuramente va incontro a un destino non troppo favorevole.
Analisi acute su monica, richiamando alla memoria qualcosa che già conosciamo.
Questo terzo episodio prosegue senza incertezze sulla scia dei primi due.
Aspettiamo cosa succede col furgone nero.
Un caro abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR il tuo pensiero riguardo al figlio è senza dubbio veritiero.
Il furgone nero… alla prossima.
Un grande abbraccio.
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Egr. sig.ra Presidente Squire dott.ssa Monica,
inizio questa mia congratulandomi con lei per l’ambito e meritatissimo traguardo gravoso e onorevole.
Era da molto tempo che attendevo una “Presidente degli Stati Uniti”. Per tanti motivo che, molto brevemente, mi permetterò illustrarLe.
Vede, signora, una fra le più antiche democrazie del mondo conosciuto ha, quasi da sempre, deciso i destini di numerosi popoli – tra i quali, ci si permette, di inserire quello italiano.
Questo enorme, meritato, potere è derivato dal fatto che, superando le antiche ed ataviche differenze subite dal varipinto popolo che Lei, signora, ottimamente rappresenta, il popolo statunitense ha, da sempre, sottolineato l’umiltà del proprio lavoro regalando, nel contempo tanti insegnamenti di ibera convivenza.
Mi permetta, però, di fare un distinguo (le prometto di non rubarle molto del suo preziosissimo tempo).
Noi italiani siamo un popolo le cui stratificazioni sociali sono, sempre, ben visibili.
Stratificazioni che ci portano, molto spesso, a dover scendere a compromessi che, al chiuso di quattro mura, mai accetteremmo.
Vede, secoli di dominazioni e assunzioni a carattere antropologico, non ci hanno forgiato. Il fatto è che, il popolo della penisola italiana, tanto variegato sia per estrazione, sia per attitudine, non è mai stato unito, né per vocazione, nè per affinità. Il forte sentimento che ci lega è, per l’appunto, un sentimento.
Ad esso si rifecero, molto romanticamente, i nostri eroi unitari: Cesare battisti, Fabio Filzi, Enrico Toti, Guglielmo Oberdan, Damiano Chiesa … (mi perdoni, ma – nella mia pochezza, ancora oggi mi commuovo, con lacrime, soltanto a sciorinare alcuni dei magnifici nomi che oggi ci permettono di scrivere).
Questi uomini, signora presidente, hanno dato amore per un’idea e forza per un ideale.
Ecco, signora,noi abbiamo questo; semplicemente questo; molto grandemente questo. Noi viviamo di “ideali” e moriamo pieni di “idee”. Va da se che, non esistendo termine di paragone, mi trovo costretto a sottoporLe tale verità: Consideri, per cortesia, l’eventualità di assimilare la nostra esistenza a quella museale.
Noi non siamo maturi, signora, a scendere e trascendere le forme e i temi nazionali.
No.
Ci piacerebbe, forse.
Viviamo, come si vive, d’oblio.
Abbia uno sguardo verso la nostra civiltà che, dietro l’alibi della europeistica culla si adagia, morendo. Il Suo insegnamento (la seguo/seguiamo da molto tempo) può essere vivifico per le nostre coscienze.
Impariamo presto, eccome.
E sappiamo regalare tanto (Lady Alessandra che, immeritatamente – al momento – ci ospita, doa racconti e momenti di pura bellezza da anni).
Ci metta alla prova.
saremo degni di tirare fuori una dignità insospettata.
Una dignità costruttiva.
Una dignità contagiosa.
Voglia accettare, signora Presidente, i sensi della mia personale stima.
Con umiltà
Ninni Raimondi
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Abbia pietà per i refusi.
Promettiamo un suicidio congruo e riparatore.
Grazie
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@ LORD NINNI ricevo da Monica Squire e trasmetto:
“Malgrado certi fatti incresciosi, sui quali preferisco sorvolare, da sempre ammiro l’Italia, nostra fedele succub… ops alleata. Apprezzo Battisti, soprattutto la canzone “Una donna per amico”, nella quale vedo me stessa. So che lei è un famoso giornalista – così almeno sostiene Alessandra Bianchi – pertanto mi auguro che scriva spesso, e bene, di me. Le idee, gli ideali, sono fondamentali, quasi quanto l’azione.
Viva gli States!”
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Dear president,
leggo la tua frase:
“Viva gli States!“.
Viva gli States?
Una mia carissima amica, a tale frase (considerata la sua estrazione partenopea) esclamerebbe:
“A sòrete!“.
Salutamme presidé!
🙂
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@ RICHARD NIXON anvedi 🙂
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Monica presidente…mi piace…e penso alle molte (anche se ancora tropo poche ) Donne che hanno avuto un ruolo importante sia nella storia che nella politica. Ora entra in scena il figlio arrivato un po’ tardi, e per questo tanto amato e curato a vista dalle guardie del corpo…ma riusciranno a intercettare il furgone nero? Ho letto tutti i tuoi libri e credo di conoscere abbastanza bene come scrivi, quindi mi aspetto grandi colpi di scena e resto ansiosamente in attesa!!! Ieri notte c’era un luna grande e splendente come sei tu. Aspetto
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Un saluto affettuoso… Ti leggo con interesse e… curiosità: scrivi benissimo, Alessandra!
Ros
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Monica ora ha un incarico difficilissimo che sicuramente riserverà delle sorprese, ma credo che sorprese ben più incisive saranno quelle che ci daranno i risvolti di ciò che succederà al figlio!!
Come sempre letto con grande piacere, scivola via senza alcun intoppo e incuriosisce tantissimo!! Bravissima, come sempre!!!
Un caro saluto e a presto, sono in pausa, interrotta per un attimo solo dopo aver visto nella posta l’avviso di un tuo post 🙂
Ciao, Pat
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uhm… c’è odore di terrorismo islamico qua! 🙂 Il racconto inizia ad avere direzioni e personaggi, suggestiva l’idea del figlio! 😉
http://www.wolfghost.com
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E mi fermo anche io accanto al furgoncino nero, agitata e in attesa della prossima puntata.
Un abbraccio,
marirò
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@ LOREDANA hai ragione: sono ancora poche le donne che hanno un ruolo importante, però stanno crescendo. A me piaceva molto la lady di ferro. Ti ringrazio tantissimo per il tuo magnifico commento.
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@ ROSEMARY3 un bacione, Ros ^^
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@ PATRIZIA M. sei stata davvero carinissima a venire qui a leggere e a commentare, nonostante la tua attuale pausa.
Serena notte, Pat.
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@ WOLFGHOST il profumo si avverte, vero?
Sul figlio preferisco tacere, lupissimo.
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@ ILI6 beh, allora vengo vengo a portarti un caffè, cara Marirò 🙂
Due abbracci**
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Il furgone nero mi fa tremare…
E invece il cuore batte nel ricordo di Nadiya.
Bellissimo questo episodio!
Un bacio
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Non mi pare ci sia del vero nella definizione di “assassino prezzolato” per Monica. Ma se c’è…Craven dovrebbe spiegarmi perchè lo stesso epiteto non valga per i soldati dell’Afganistan, anzi per i soldati in genere.
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Ricordo bene l’episodio di quando Monica era prigioniera alla Lubjanka e per salvarsi ha coinvolto Nadiya in un rapporto intimo e particolare, promettendole amore e libertà sapendo di mentire….e la russa ha dato la vita per lei
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@ MARI già, Nadiya: all’inizio sembrava spietata, e poi…
Grazie e un bacio a te!
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@ BRUM concordo.
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🙂
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E ce lo sapevo… ahahah
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@ BRUM beh, sono Brumbra, no? 🙂
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@ TOSCA quanto piacere mi fa sapere che un’amica ha letto con attenzione, e gradito, “Il Crepuscolo della Lubjanka”!
E’ innegabile: in quella circostanza, Monica la usò.
D’altra parte, era in gioco la sua vita.
Un abbraccione ^^
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Puntata molto coinvolgente, incrementa la tensione e ci dice qualcosa in più sul profilo psicologico di Monica. Bene così, cara. Un saluto, a presto. Univers
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…
E’ sempre piacevole per me
quando vai a ritroso e ricordare i percorsi
di Monica…
Ottima e scorrevolissima puntata!
Un abbraccio carissima e buon proseguo di serata
Michelle
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@ UNIVERS81 ti ringrazio di cuore, amico mio.
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@ VENTIDIPRIMAVERA ricordo bene quanto sei attenta, cara Michelle.
Bisous, chou*
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Tornerò appena possibile
I tuoi scritti vanno letti con calma e piacere
Bacetti da Mistral
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@ OMBREFLESSUOSE kisses, Mistral ^^
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Eccomi e già tremo per John Nadya Yarbes
Bene, Monica è la prima donna presidente degli Stati Unii d’ America
Ti seguo…
Brava sempre
A big smile
Mistral
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@ OMBREFLESSUOSE fai bene a tremare…
Thank you, Mistral.
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