Appena entrato in casa, “Maggie”, forse era un pensiero sussurrato, o forse erano le labbra che s’erano mosse. Le stanze erano in penombra, con le tende tirate a metà. Era un bella giornata di sole. Gli stivali erano sporchi di terriccio e nella destra stringeva la pianta che aveva strappato. L’avrebbe messa a dimora più tardi. Era stato fortunato, quel pomeriggio, a trovarla. Ma prima di interrarne le radici, due o tre rose, le più fresche, sarebbero andate sul camino.
Margaret Swanson era la quinta di sette figli. A parte i capelli ramati e la tinta degli occhi, non aveva granché in comune con gli altri fratelli. Era nata nel Cheshire e si era trasferita lì, col resto della famiglia, quando aveva dodici anni. Era diventata amica di Anne, con cui condivideva aspettative irrequiete e lo stesso modo di guardare le cose. Anne era la cugina di George e così si erano conosciuti. Era come un serpente, ciò che li aveva uniti. Una stretta difficile da districare, specie quando la loro carne era diventata quell’abbraccio.
Si sedette a guardare le rose. Le osservava inebetito, come fossero qualcosa di più che un’erba. Maggie non c’era nella sala. No, non c’era. Dov’era? Forse stava facendo la toeletta, di sopra. O magari era fuori. Qualcosa di triste s’era infilato sotto la sua pelle, dalle mani fino alla testa e lì era diventata una piena. Non poteva reggerla. Si alzò, cominciò a girare nelle stanze a piano terra, mentre i suoi pensieri giravano ancor di più e infine uscì, sconfitto. Il sole era calato, l’aria era buia e fredda e sperava che gli facesse male.
Maggie aveva uno strano modo di sedere. Teneva le gambe aperte, la schiena puntata in avanti e le braccia, poggiate sulle ginocchia, che si riunivano ai polsi. Poi si ciondolava e guardava il mondo dall’alto in basso. E quegli occhi sembravano così lontani, così lontani che la gente forse non pensava nemmeno di esserci, dove guardava lei. Lui invece sì. Maggie aveva fili di rame, gli stessi dei capelli, che s’affacciavano sottili nel grigio dell’iride, come se fossero stati acconciati proprio per quello. Si spegnevano solo quando aveva goduto. George era pazzo di lei.
Rientrò in casa che per le vie non girava più nessuno. Potevano essere le tre. S’avanzò nel pallore che permetteva la luna, riuscì a distinguere le tre rose bianche sul cornicione di legno. No, non era successo in questa stanza. “Maggie.” Ebbe l’impressione che lei gli fosse dietro, eccola. La gonna verde scuro, le pieghe che fasciavano le gambe, il petto che premeva sulle falde grigie della camicia. Le avrebbe stretto la vita. Sentiva il profumo del fiato di lei formarsi appena sopra le sue labbra.
Margaret non aveva chiesto nulla. Aveva preso come si prende una cosa che ci appartiene, senza riserve, senza particolari preoccupazioni. Sapeva, Maggie, sapeva tutto di lui. Sapeva dove abitavano i suoi sogni, ad esempio. Dove cercare i segreti, sapeva, e conosceva gli angoli dei cassetti e le pietre del giardino da rivoltare. E quando arrivava in fondo a quella strada che ancora non avevano percorso, George scopriva stupito quanto avesse desiderato essere proprio lì. Sapeva quasi tutto, maledizione.
Fece le scale. Perché non c’era, Maggie? Il profumo era un’illusione, come le pieghe della gonna. Una tremenda illusione, come quella dell’amputato che crede di avere ancora l’arto. Il resto del corpo proteso a disegnare armonie oramai impossibili, la mano fantasma a danzare nell’aria. Un taglio che non ha tagliato, ecco cos’era. La mano era rimasta, ecco cos’era, sinistra, intoccabile, vuota, eppure ancora piena. Sì, era stato proprio qui. Qui l’aveva uccisa.
Maggie aveva uno strano modo di sedere. In verità, erano due. Il primo con le gambe aperte. Il secondo la vedeva con un piede sulla sedia e l’altro che dondolava. Calze bianche e stringhe slacciate, le belle gambe nude in evidenza. E talvolta lo scrutava. Margaret capiva tutto. Penetrava nei suoi pensieri più reconditi, udiva le voci oscure che gli appartenevano e quelle che parlavano di sesso. Fiori, piante recise, l’orizzonte lontano che si tingeva di rosa, mentre soffiava il vento di ponente e il sole si inabissava dietro alle montagne. C’era un senso in tutto questo. Esistevano abitudini, ad entrambi note, e soffi di vita che li accomunavano o li allontavano, a seconda dei casi, del momento, del giorno.
Maggie era speciale. Lui infine aveva sospettato che fosse andata a letto con Anne, ma questo se mai lo eccitava. Strani voli della fantasia.
E adesso come un rimpianto. Forse non un rimpianto vero – e nemmeno un rimorso -, piuttosto una sensazione di stupore. Aveva trovato il coraggio, e aveva fatto ciò che andava fatto. Altrimenti, Margaret avrebbe posseduto il suo corpo, il suo cuore, la sua anima. Altrimenti Margaret si sarebbe presa tutto, magari guardando lontano, come indifferente. Era la sua natura.
Poi lui sedette. Invano, cercò ancora il suo profumo. Si guardò attorno, smarrito. George era pazzo di lei. La desiderava: voleva fare l’amore, assaporare baci, carezze, orgasmi infiniti, vasti quanto la notte può esserlo. Dio del cielo, dov’è andata Maggie?
Si alzò e uscì in giardino. Rammentò all’improvviso la forte stretta delle sue mani. Lei si era dibattuta, aveva lottato selvaggiamente, con la furia di chi anela alla vita. Ma lui era più forte. E aveva un sasso nella sinistra.
Tornò in casa, vagando attraverso le stanze in cerca di una risposta. Però, non esisteva. Esistevano indecifrabili zone d’ombra, ricordi e vaghi pensieri. Trattenne il respiro, mentre si poneva domande, mentre riviveva quel lungo momento, lungo come un fiume, lungo quanto un’intera esistenza. Che lui aveva reciso, come un fiore.
Da bambino, amava le mentine; in seguito, aveva amato altre cose, che ora gli sfuggivano. Quello di cui era proprio sicuro era che aveva amato Margaret. Immensamente.
Sapeva dove andare, sapeva cosa fare.
Ed era certo che fosse giusto.
Avrebbe ritrovato Maggie. Insieme, avrebbero esplorato boschi e giardini, si sarebbero sdraiati sulla sabbia, in attesa del mare.
Aveva l’impressione che lei gli fosse dietro.
“Cercami, Maggie! Trovami, Maggie!”
Poi aprì un cassetto e puntò la pistola alla tempia.
SINDROME DI QUOU E ALESSANDRA
25 febbraio 2014 di Alessandra Bianchi
56 Risposte
Una realtà complessa e realistica, di concreti atti, nel senso dello specifico agire che dipana esso stesso il verbo e la parola. Come sempre brava. Saluti da Sar.
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SACARA REALTA SCRITTRICE GRANDISSIMA
TI AMMIRRO SEMPRE
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La mente umana….un filo sottile separa la normalità dalla pazzia…
Molto bello, complimenti!
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Vivere per lei e nello stesso momento morire, togliersi la vita con la convinzione che lei lo troverà ugualmente!! Tremendo tutto questo, tremendo.
Un racconto molto toccante e innegabilmente scritto con la tua grande bravura.
Serena notte, Pat
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@ SALVATORE RIZZI grazie, caro Sar!
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@ MAIRITOMBAKO un bacione, amica mia*
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@ MARI un filo molto sottile, MIA guerriera…
Ti ringrazio e ti abbraccio.
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Un filo che prima di spezzare bisognerebbe intrecciare…per farne il giusto mix….
Bravissimi entrambi!
P.S. il finale é MOLTO tuo MIA strega!
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@ MARI come mi conosci, MIA guerriera 😀
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@ PATRIZIA M. tremendo, sì, ma fermi tutti! 😛
Il racconto è anche di Quou, ex Pappina. Un grandissimo.
Sogni d’oro, Pat ^^
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Chiedo venia, complimenti anche a Quou 😳
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@ PATRIZIA MEZZOGORI 🙂
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Piccolo scrigno di bellezza questo post, che si conclude tragicamente. La voce narrante, che ha ucciso maggie, si uccide per poterla raggiungere. Una pia illusione o forse il rimorso di averla uccisa?
Bravi entrambi.
Un caro abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR “piccolo scrigno di bellezza”: sono lusingata, e penso che anche Quou lo sarà, quando leggerà il tuo commento.
Pia illusione, rimorso, follia… chi può dirlo…
Grazie e un grande abbraccio.
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E’ bellissima ma difficile da comprendere, troppo profonda e complessa!
Complimenti siete molto bravi entrambi!
Vi abbraccio
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Un “ensemble” che cattura il lettore,trovo Quou davvero eccellente,l’ho letto e mi piace molto,avete fuso tutti i sentimenti più forti Amore,Gelosia,Vendetta,Rimorso….Follia. Grazie !
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Un saluto, da Salvatore.
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Passione che si tramuta in ossessione, tormento e follia. Un vortice di emozioni forti, che ammette solo conclusioni altrettanto estreme: omicidio e suicidio.
Sono rimasta colpita dalla storia fin dalle prime righe!
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Scritto a due mani con grande maestria, questo racconto tocca le corde emotive, aprendosi faticosamente un varco in un caos di sentimenti e contraddizioni…Amore e morte. Quou e Alessandra, mi fate sempre riflettere.
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Storia bellissima che come un labirinto del ricordo, cerca drammaticamente l` uscita per ricostruire un amore
Bravissimi
Abbraccio
Mistral
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Mi hai stupito. Non sembra scritto da te, questo racconto. Il soggetto e la trama si, sono tipici… ma la stesura sembra a volte attribuibile ad altri. Ci sono frasi che non avrei mai detto tu avessi potuto scrivere.
Ma tant’è… l’hai fatto.
Non è possibile fare considerazioni sul comportamento di un folle. Ma… potremmo dire (anche se non si dovrebbe -la follia della mente umana segue leggi diverse da quelle dei savi-): “c’è giustizia a questo mondo”.
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@ CLE REVERIES forse è un po’ complesso, sì.
Ti ringrazio, Lady.
Lots of love ^^
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@ TOSCA a mio giudizio, Quou è uno dei migliori scrittori in assoluto, qui come in precedenza sulla piattaforma Splinder – e su “Caffè Letterario” è possibile reperire i suoi vecchi post.
Un sentito grazie anche da parte sua!
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@ SALVATORE RIZZI good evening, Sar.
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@ MARTI C. hai saputo descrivere in modo perfetto questo racconto!
Grazie, cara*
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@ LOREDANA quanti bei commenti 🙂
Beh, far riflettere significa aver raggiunto un traguardo.
Ti ringrazio, amica mia.
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@ OMBREFLESSUOSE come sovente accade, il tuo commento è una poesia.
Grazie e baci, Mistral * ___________________ *
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@ BRUMBRU una parte è stata scritta da Quou, una parte da me.
Giustamente un folle non è decifrabile. Penso per definizione. Un pizzico di follia alberga in ciascuno di noi; poi esistono casi – come questo – in cui si varca la soglia del “non ritorno”.
Un abbraccio.
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Ecco. Quando imparerò a leggere i titoli?
Uhm. Forse non mi avrebbe detto comunque niente, non è un nome che ho già sentito. Però avrei potuto capire che fosse scritto a 4 mani. Pardòn.
Il “pizzico di follia” di cui parli è qualcosa di ben diverso da quello che ha portato la persona del racconto a fare quello che ha fatto. Non credo alla gente che, quando accade una tragedia come quella raccontata, dice -parlando dell’assassino- : “era una persona normale, e chi se lo aspettava?”. Per me dei segnali esistono sempre, solo che non gli si da la giusta importanza. Non si varca la “soglia del non ritorno” all’improvviso.
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@ BRUMBRU c’è gente che legge “solo” i titoli…
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Ciao, Ale. Hai portato la storia in una direzione che non m’aspettavo, e dove può sognare ancora. Bravissima.
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non c’è sogno in un assassinio.
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@ ILI6 è vero. Tuttavia il commento di Luigi – Quou – credo che vada interpretato in un altro senso.
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Un amore malato, un amore esasperato dal possesso, quanti casi così accadono? Purtroppo sono ancora molti gli amori che finiscono con la sospensione della vita in modo brutale, un amore che il folle crede di sigillare per l’eternità.
Bellissimo racconto a quattro mani scritto con classe e bellezza.
Bravissimi!
Buona giornata, un abbraccio bis.
annamaria
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Nulla da eccepire sulla qualità letteraria del racconto: sinceri complimenti ad entrambi.
E’ la storia che, invece, non mi piace, una storia che purtroppo sentiamo sempre più.
“Io l’amavo…”
Tu l’amavi? che amavi?? amavi solo il tuo ego di maschio! No, nessuna forma d’amore, e quell’arma avrebbe dovuto rivolgerla a se stesso PRIMA e non dopo. Che morisse ammazzandosi, invece di ammazzare e poi cercare l'”amata” per boschi!
128 donne uccise nel 2013 per “amore”! Un massacro compiuto ai danni di fidanzate, moglie, compagne, figlie, sorelle e così via. Donne accoltellate, uccise a colpi di arma da fuoco, picchiate, soffocate dai loro “cari”, dagli uomini della loro vita.A questo aggiungi le percorse e i maltrattamenti verso quelle donne che riescono a sopravvivere: migliaia e migliaia!
” …aveva fatto ciò che andava fatto. Altrimenti, Margaret avrebbe posseduto il suo corpo, il suo cuore, la sua anima. Altrimenti Margaret si sarebbe presa tutto, magari guardando lontano, come indifferente. Era la sua natura.”
E non chiamateli folli.E non ammantateli d’amore che l’Amore non c’entra nulla! Sono assassini, semplicemente e spaventosamente assassini! E della specie peggiore.
Scusatemi,
Marirò
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Ciao, ili6 e grazie.Solo per chiarire le mie parole: Ale, che deve conoscermi molto bene, ha giustamente precisato che il mio “sognare” era riferito ad altro. Quando ho letto il finale, mi sono detto… uh… ne voglio ancora… brava, Ale. Come un pranzo che ti lasci il desiderio e non il disgusto. Ovviamente, non è che desiderasi altro sangue o altra follia, ma… altra storia. Non conosco argomenti indegni di essere raccontati: conosco modi indegni di raccontare. Si può scrivere in modo indegno delle violenze subite dai bambini, come si può scrivere in modo superbo della preparazione di un sandwich. Personalmente, ad esempio, trovo orribile ogni forma di sopraffazione, in particolare contro “il debole” di turno e neanche a me piace invocare la follia come scusante, o confondere l’amore con l’egoismo. Se scrivo del folle, quindi, non è per familiarizzare con lui, ma semplicemente perchè non voglio nasconderlo. Il discorso su Amore e Follia, poi, mi sa che si farebbe un po’ lungo… ciao ciao!
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Ciao Luigi,
sono certa che anche tu hai compreso il mio dire.
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@ LUIGI FURONE per me è stata una grande gioia scrivere con te!
Abbraccio, caro Quou ^^
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@ ANNAMARIA49a troppi sono i casi, troppi sono i folli, mia cara amica.
Il mondo è strano, e spesso cattivo oltre ogni limite.
Grazie e un grande bacione.
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@ ILI6 il tuo sfogo è stupendo, cara Marirò!
Condivido ogni parola – elogi a parte – e nutro i tuoi stessi sentimenti.
Ciò che posso dire è che un racconto può essere anche una denuncia, un qualcosa che induca a riflettere.
In ogni caso, sono assassini. Questo è fuori discussione.
Non scusarti e accogli il mio abbraccio * _____________ *
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Un abbraccio che ricambio con simpatia.
Notte, ciao :))
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@ ILI6 notte, cara 🙂
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Baci di sonno beato…
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@ MARI spero di sognare il mare che amo.
Baci a te, MIA guerriera.
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Grazie a tutti per i gentilissimi commenti e all’altrettanto genitle Ale per avermi ospitato. Bonne nuit. Quou.
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@ LUIGI FURONE sono sempre pronta per te!
Ehm, non equivochiamo 😛
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Maggie aveva fili di rame, gli stessi dei capelli, che s’affacciavano sottili nel grigio dell’iride …. Come non essere pazzo di lei ?
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@ RODIXIDOR un caldo benvenuto in questo spazio!
Eh, sì: sono d’accordo con te.
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Breve racconto affascinante e raffinato che scruta nel seme della follia.
Un piccolo capolavoro 😉
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST grazie mille, lupissimo!
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Bellissima la descrizione di Maggie e dei suoi atteggiamenti…
magnifico struggente racconto
complimenti ad entrambi!
Michelle
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@ VENTIDIPRIMAVERA chi legge i post meno recenti mi fa sempre un grande piacere, perché è un segno di vero interesse.
Grazie da me e da Luigi (Quou).
Un abbraccio forte*
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Un intreccio emozionante. Complimenti. Un caro saluto. Univers.
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@ UNIVERS81 forse tu sei fra i pochi che si ricordano di Pappina, in seguito diventato Quou.
Bei tempi quelli!
Grazie per i complimenti e l’augurio di ore felici.
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straordinario
Cordialità
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@ LORD NINNI radiose radiosità.
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