Fu in quei giorni che imparai a dormire in macchina.
A mezzogiorno avevo finito la benzina e non intendevo spendere altri dieci euro. Li avrei conservati per il giorno dopo, sperando in una giornata di lavoro più fortunata. Non avevo i soldi per mangiare due volte al giorno, perciò andavo a parcheggiare la macchina in un grande piazzale, circondato da una quantità di alberi dall’eleganza austera. Il piazzale confinava con un posteggio più piccolo, davanti al camposanto: lì c’era un certo viavai, ma dove stavo io, all’estremità opposta, l’unica compagnia era rappresentata da qualche raro camionista che aspettava l’orario di apertura delle ditte. I primi tempi, mi limitavo a osservare le piante, che rappresentavano una sorta di avamposto di un bosco vasto e ombroso che copriva diverse miglia in direzione ovest.
Poi imparai a dormire.
Il sedile dell’auto si adattò al mio corpo, o forse fui io ad adattarmi a esso: è incredibile come si riesca ad abituarsi a tutto; fatto sta che raggiunsi un grado di comodità molto simile a quello che potevo ottenere dal divano di casa. Osservavo la natura, davo un’occhiata ai camion, guardavo nello specchietto retrovisore, notando che le visite al camposanto incominciavano a rarefarsi, fino a cessare del tutto, almeno per le prossime due ore, e poi mi assopivo. L’abitacolo della macchina non era grande e io sono alto: ma trovai un modo per sistemarmi bene, appoggiando la testa al vetro laterale, con una mano a sorreggerla e l’altra appoggiata sul sedile. Per qualche ragione, prima di chiudere gli occhi, facevo scattare la sicura.
Quelle erano le ore più felici della mia giornata. A tratti un rumore, il suono di un clacson, una voce troppo forte e scomposta, mi destavano, ma non avevo difficoltà a riaddormentarmi subito. In genere, quel momento di estremo benessere, di sogni spesso dolci o comunque innocui, durava circa un paio d’ore, a volte un po’ meno. Quando mi svegliavo, frugavo nel portamonete per appurare se avevo un euro. Raggiungevo a piedi un bar poco distante e bevevo un caffè. Tornando al piazzale, fumavo una sigaretta che aveva un sapore delizioso. Mi piace fumare dopo aver bevuto il caffè, ma non credo di essere molto originale in questo. D’altro canto, non penso proprio che l’originalità sia particolarmente spiccata in me. Magari è un’idea sbagliata, dato che per certi versi possiedo una vena di singolare originalità, tuttavia è talmente nascosta, quasi chiusa nel solaio buio e inaccessibile dell’anima, da apparirmi praticamente irrilevante. Una volta nuovamente in macchina, consultavo l’orologio. Era come un rito: mi attendevano ancora tre ore, e allora le suddividevo in segmenti di trenta minuti l’uno. E’ un metodo efficace, perché in questo modo il tempo sembra meno lungo; e, anche se in realtà la cosa non è affatto vera, esiste pur sempre la teoria della relatività che, almeno a livello psicologico, avvalora in pieno la mia tesi.
Fumavo una sigaretta all’ora. Al di là del piacere del fumo, anche questo rituale accorciava le distanze e mi avvicinava al momento del ritorno. Il lato ironico della situazione (a saperli cogliere, esistono sempre lati ironici) stava nel fatto che non desideravo rincasare. Nello stesso modo, sapevo che il giorno dopo mi sarei ritrovato nello stesso posteggio, davanti agli stessi alberi, che ormai potevo considerare quasi amici, e vicino agli stessi camionisti, o forse erano altri; ma non mi presi mai la briga di appurarlo. Per me i camion sono tutti uguali.
Eppure mi piacciono, e quando ero bambino ne possedevo una bella collezione che mi permetteva di giocare per interi pomeriggi, mentre nel campetto vicino a casa nostra gli altri bambini davano vita a interminabili partite di calcio. Io avrei voluto giocare con loro, ma mi era concesso solo di rado, perché soffrivo d’asma. A volte mi sono chiesto se non sarebbe stata meglio una bella bronchite piuttosto di quella solitudine, che soltanto i camion alleviavano.
ll sole incominciava a tramontare, lunghe ombre coprivano man mano il piazzale; l’aria diventava più fredda, e talvolta, mio malgrado, ero costretto ad accendere il motore, almeno per qualche minuto, in modo da ottenere un po’ di calore. Si avvicinava il momento del rientro, però non guardavo troppo spesso l’orologio, dato che sono gli ultimi minuti quelli più lunghi a passare, esattamente come avviene sotto le armi. Io non ho fatto il militare, ma alcuni miei amici mi hanno raccontato che le ultime settimane, proprio quando sei a un passo dalla meta, rappresentano un’autentica agonia.
E infine giungeva l’ora. Mettevo in moto, abbandonavo con un muto arrivederci il mio piazzale, e rincasavo.
Mi attendeva una serata vuota e solitaria, e una notte percorsa da incubi.
Mi attendeva la solitudine, ed era tanto forte, tanto gelida, da farmi ripensare con nostalgia al mio piazzale. Mi consolavo sapendo che il giorno dopo sarei tornato lì. Ormai era la parte più importante della mia vita. Lo era diventata da quando mia moglie se n’era andata.
Quella sera, mentre accendevo il fornello per cuocere un piatto di pasta, mi venne in mente un’idea talmente bizzarra da farmi sorridere (un ghigno, più che un sorriso).
I miei alberi erano felici, ne ero certo. Ma… cosa pensava un salice piangente? E perché piangeva?
In ogni caso, mentre portavo gli spaghetti alla bocca, mi sentii simile a lui. Se piangeva doveva avere i suoi buoni motivi.
Io li avevo.
Fu allora che finalmente piansi.
AGOSTO 2013 / I MIEI POST PREFERITI: VITA SEGRETA DEL SALICE PIANGENTE
11 agosto 2013 di Alessandra Bianchi
25 Risposte
Un intreccio di accadimenti, che mi hanno portato alla mente, quando vado in autostrada per viaggi. Poi, il merito dei fatti insiti, tipo il fumo, mi ricordano quando pure io….poi smisi…già nel ’69, ed ero al servizio militare, diversamente dal protagonista. Etc…etc. Sempre coinvolgenti le tue disamine. Salutoni da Sar.
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Un post delicato e dolce come le parole che hai usato per descrivere il dramma della voce narrante, che soffre la solitudine e vive emarginato da tutti.
Molto poetico è il finale con la voce narrante che si interroga sui motivi per i quali il salice è piangente.
Un caro abbraccio
O.T. Blanka non ha ancora comunicato nulla, deduco che sia in ferie o comunque scollegata. Quindi come eravamo d’accordo ti chiedo di postare qualcosa per il 18. Grazie
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@ SALVATORE RIZZI grazie, mio prezioso amico!
Un salutone a te*
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@ NEWWHITEBEAR questo è un racconto che sento profondamente.
Ti ringrazio e ricambio di cuore l’abbraccio.
O.T. va bene.
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Ricambio….!
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Un brano la cui bellezza e pulizia, da sembrare quasi tratto da una nota biografica, ci colpì lungamente.
Stesura, forma e andamento, poi, rivestono una profonda importanza ai nostri occhi.
Tutto il sapore della bellezza.
Tutto il sapore di un antico vissuto.
Un vissuto che non si dimentica.
Ci permettemmo di lasciarvi un link, a ricordo.
http://www.krennegmcaff.altervista.org/krenneg_mcaff_00009f.htm
Cordialità, mia Signora.
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@ SALVATORE RIZZI good night 🙂
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@ NINNI RAIMONDI il link mi ha commossa profondamente!
Nota biografica? Sì, mio Signore: essa è tratta da una pagina di vita vissuta. Un amico a cui auguro di aver potuto cambiare la sua vita. Altro purtroppo non so, dato che non lo sento da tempo.
Un grazie veramente sentito, che nasce dal profondo del cuore.
Radiosità… e un forte abbraccio ^^
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Non potevo mancare, non potevo perdermi un tuo scritto, questa notturna coccola…
L’ho riletto con lo stesso cuore della prima volta, con la stessa emozione…
“laku noć” MIA strega
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Leggere il Suo racconto, Mrs. Alessandra è come camminare in un sentiero solitario pieno di mille riflessioni.
La mente ci si slaccia i lacci dentro per riposare.
Ci si ritrova in tanti in quel pensare, in quel rivivere che ripercorre pagine vissute di una vita…riflessioni che tingono di saggezza il rigo, pensieri da
tenere scritti nella giacca a compagnia.
Cordialmente, Edo
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Un racconto bellissimo..
struggentemente sentito e che (ri)leggo con lo
stesso piacere della prima vota…
Un abbraccio carissima e buon proseguo di giornata!
Michelle
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@ MARI dobar dan, MIA guerriera, e grazie!
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@ EDOARDOPRIMO i miei più grandi ringraziamenti per le Sue parole così poetiche e belle.
Felice giornata ^^
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@ VENTIDIPRIMAVERA sei sempre un tesoro, Michelle!
Grazie e un sorriso per te * ______________ *
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…. molto bello e delicato!
*________*
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Anche questo mi ricordo, ed anche questo indubbiamente va catalogato tra i brevi racconti più belli (non solo tra i tuoi, va da sé ;-)). La forza dirompente della solitudine e gli sforzi per negarla e cercare di dire a sé stessi che… va bene così.
http://www.wolfghost.com
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@ CLE REVERIES grazie, mia country-lady*
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@ WOLFGHOST che bel commento, lupo!
(A parte gli apprezzamenti, di cui ti sono comunque grata).
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Bellissimo e struggente fino ai brividi.
Mi piace questo tuo riproporre, mi dà possibilità di leggere pagine di emozioni.
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@ ILI6 questa era la mia intenzione, e sono felice di averti lasciato una piccola emozione.
Grazie, Marirò*
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Coinvolge nella misura in cui hai scelto termini e temi appropriati. Brava. Univers
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@ UNIVERS81 ti ringrazio, “vecchio” amico.
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Questo è di certo uno di quelli che preferisco io. Rileggendo i tuoi racconti, ho scoperto ‘la pace del Lupo’, che mi era sfuggito. Scritto da dio.
(da dea, pardon)
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Questo del salice, intendo 🙂
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@ LILLOPERCASO grazie, stellina!
Il post che citi è uno dei miei preferiti in assoluto. Lì ci ho messo l’anima.
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