Quando Pomarev uscì per ultimo dall’appartamento, era immerso in profondi pensieri. L’americano era stato messo in guardia e in fondo questo poteva essere spiegabile, dato che godeva della protezione dell’Organizacija.
Ciò che gli sfuggiva era il motivo di quell’appoggio. Soldi, si disse. Ma esisteva un’altra domanda. Come aveva fatto a venire in contatto con loro? Un traditore, ai vertici del KGB o del GRU. Un traditore contrario a ciò che Kryuchkov e gli altri stavano progettando di fare. Un uomo che intendeva sabotare l’operazione. Ma allora perché Yarbes non si era ancora incontrato con il segretario generale? Poi rammentò che Gorbaciov era appena partito per trascorrere le vacanze in Crimea. Questo spiegava tutto.
La vecchia giaceva sul pavimento del soggiorno. Ci avrebbero pensato quei bastardi a seppellirla. Ma la sua morte rappresentava una ben magra consolazione. Per la seconda volta, Yarbes gli era sfuggito. Lo avrebbe trovato, pensò. Lo avrebbe trovato e lo avrebbe eliminato. Intanto, fra breve, avrebbe avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con la sua complice. Era interessato a conoscere quanto alta fosse la soglia del dolore di una cekista americana.
Gli uomini del Gruppo Alpha cominciarono a scendere le scale. Pomarev si apprestò a seguirli.
Nessuno di loro aveva preso in considerazione l’idea di controllare il ballatoio, in fondo al quale c’era l’unico servizio del quarto piano. Mentre il maggiore era di spalle rispetto alla porta che conduceva fuori, l’uscio si socchiuse.
Una mano perfettamente salda, la mano di un soldato, puntò l’arma contro di lui.
Un istante dopo, premette il grilletto.
Martin Yarbes si era allontanato da Mosca, un’ora prima dell’irruzione del Gruppo Alpha. A bordo dell’auto di Sasha, accompagnati da Sonja, si erano diretti a est.
Viaggiarono fino alle undici di sera, quando raggiunsero una strada sterrata che si inoltrava per un lungo tratto in una vasta foresta. Sasha posteggiò la macchina in uno spiazzo davanti a una piccola dacia, nascosta dalla vegetazione.
Il russo era palesemente contrariato.
Durante il tragitto, aveva dichiarato senza mezzi termini che era stanco di proteggere l’americano, che lo avrebbe comunicato a Putin, e che entro due giorni Yarbes avrebbe dovuto andarsene. Era disposto a fargli passare il confine, ma se questi aveva altre idee per la testa allora si sarebbe dovuto arrangiare da solo. Non accennò a sua nonna, sebbene immaginasse che avesse passato un brutto quarto d’ora, e tutto a causa di una maledetta spia americana! Non poteva sapere che Miloslav Pomarev era andato molto oltre.
Martin rispose che aveva ragione. Lui non poteva lasciare l’Unione Sovietica – Sonja gli lanciò un’occhiata ostile -, ma avrebbe rispettato il termine di due giorni, dopodiché avrebbe levato il disturbo. E comunque gli era profondamente grato.
Poi pensò alla follia di Tarasov.
Forse non avrebbe mai dovuto dirgli che sua moglie e suo figlio erano stati uccisi.
Una volta entrati nella casa, Sasha prese in mano il telefono ed effettuò una chiamata. Era una linea sicura e in Germania l’ora era ancora accettabile. Sebbene capisse il russo, a Yarbes sfuggirono molte parole, dato che Sasha si esprimeva in modo concitato e probabilmente usava anche termini dialettali. Seguì un lungo silenzio. Yarbes aspettò con pazienza. Quando riappese il ricevitore, Sasha si voltò verso di lui. “D’accordo, Amerikanskiy.”, disse scontento. “Vladimir Putin ha deciso altrimenti, e io gli obbedirò.”
Yarbes si strinse nelle spalle.
Lo sguardo che gli rivolse Sonja questa volta fu velenoso.
“Ho fame.”, annunciò Sasha. “Guarda cosa c’è nella dispensa di Roman. E porta una bottiglia di vodka.”
La giovane andò in cucina.
Yarbes chiese se poteva telefonare a Langley.
“Tranquillo, Amerikanskiy. E’ un apparecchio anti-intercettazione. Uno dei gingilli di Roman.”
Se Leonid Tarasov era un uomo del GRU, Miloslav Pomarev apparteneva al Gruppo Alpha.
Un addestramento Spetsnaz non si limita alle marce estenuanti, alle tecniche di lotta, al nuoto subacqueo, al lancio con o senza paracadute, all’uso di esplosivi e di IM, all’acquisizione della resistenza a qualsiasi clima e temperatura.
Questo è solo il primo passo.
Successivamente, ci si immerge nello studio del comportamento animale.
Immergersi è il termine corretto, dato che si assimila l’innata predisposizione, poniamo di un lupo, a percepire la presenza di un nemico in mancanza di un contatto visivo o di un particolare rumore. Ciò avviene grazie alla capacità di cogliere la presenza di feromoni. Questo non è frutto di magia, bensì di allenamenti ripetuti fino allo sfinimento fisico e psicologico.
Nel contempo, si acquisisce il metodo per ridurre il battito cardiaco, allo scopo di evitare che un agente del SAS o della Delta Force riesca ad applicare le stesse tecniche. In molti romanzi di spionaggio, ai protagonisti vengono attribuite doti straordinarie, però di pura fantasia. La realtà è ancora più sorprendente.
Leonid Tarasov non era certo a digiuno di tali nozioni, ma il suo compito era sparare.
E sparò.
Era un tiratore eccezionale, la sua preda si trovava a pochi passi di distanza e dalla porta dell’appartamento, lasciata aperta, filtrava la luce. Era impossibile sbagliare.
All’ultimo istante, Pomarev avvertì il pericolo.
Si gettò a terra, evitando di un soffio la pallottola.
Preso alla sprovvista, Tarasov esitò un istante di troppo.
Tese il braccio per sparare di nuovo, ma due agenti del Gruppo Alpha si voltarono di scatto e fecero fuoco quattro volte.
Tarasov si accasciò. Mentre agonizzava, Pomarev gli fu sopra. “Tua moglie ti aspetta, traditore. Desidero che tu sappia che, prima di morire, ha strillato come un maiale. Eppure, i miei uomini le avevano fatto un sontuoso regalo d’addio. Se la sono sbattuta tutti. E tuo figlio…”
Fortunatamente per lui, Leonid Tarasov si trovava già in un altro mondo.
Il mattino dopo, Kryuchkov lasciò Mosca per trascorrere quattro o cinque giorni in completo isolamento nella sua lussuosa dacia di Usovo. Disse che non intendeva essere disturbato: non avrebbe risposto al telefono nemmeno se gli Stati Uniti avessero invaso l’Unione Sovietica. Poi partì, accompagnato soltanto dalle guardie del corpo.
Doveva concentrarsi, riflettere con calma, rivedere ancora una volta nella mente il complesso piano studiato da lui e dai suoi colleghi negli ultimi mesi.
La situazione era drammatica. Gorbaciov stava conducendo alla rovina quella che fino a pochi anni prima era la più potente nazione del mondo. Glanost e perestrojka erano un fallimento, al pari del resto di tutta la politica dell’uomo di Stavropol. E nuvole ancora più fosche si addensavano all’orizzonte. A causa dello scellerato nuovo patto federativo, l’impero era sul punto di dissolversi. L’economia languiva, la povertà aumentava. I governi occidentali erano compiaciuti, sebbene fingessero di voler aiutare l’inesistente processo di crescita portato avanti con pervicacia dal segretario generale. Presto, se non si fosse posto tempestivamente rimedio, l’Urss sarebbe stata schiacciata dalla mafia e dagli americani, i due nemici mortali del popolo russo.
Kryuchkov rimpiangeva Stalin; benché fosse un pazzo, Josif aveva saputo vincere la guerra e conquistare mezza Europa. Bisognava tornare a quei tempi. Ricreare un’invincibile Armata Rossa, costruire nuove armi sempre più potenti. In questo modo, si sarebbe eliminata la disoccupazione che dilagava, tutti avrebbero avuto un lavoro, uno stipendio e una casa. Sarebbero tornati ordine e disciplina, i cardini su cui si fonda il benessere di una nazione. Se Gorbaciov fosse rimasto al potere, le strade delle città si sarebbero riempite di uomini disperati, bambini affamati, donne disposte a vendersi pur di ottenere in cambio il cibo necessario alla famiglia.
Il presidente del KGB guardò il calendario.
Entro quindici giorni, tutto sarebbe cambiato.
A tarda sera, il maggiore Pomarev accolse con estrema soddisfazione la notizia della partenza di Kryuchkov. Ora, era libero di agire come meglio credeva. Pensò a Susan Cooper, ma subito dopo fu raggiunto da un’idea migliore: per il bene di tutti, avrebbe eliminato Monica Squire.
Poi avrebbe escogitato una scusa plausibile per giustificarsi con Kryuchkov.
Il cinque agosto si rivelò una giorno particolarmente afoso. Le nubi erano basse, il cielo di un grigio indistinto e il sole nascosto da quella coltre.
Entrambe le donne erano madide di sudore. Ciò, tuttavia, non era sufficiente per interrompere quello che stavano facendo.
Contrariamente alla sua volontà, e ai suoi desideri coscienti, Nadiya aveva accettato definitivamente il nuovo ruolo che l’americana le aveva assegnato. Talvolta, rigirandosi nel letto in attesa di prendere sonno, si era domandata se non fosse proprio questa la sua vera, e principale, inclinazione. Si ribellava a quella deprimente prospettiva, ripetendosi che lei amava dominare: suscitare piacere o infliggere dolore, oppure tutti e due; che era nata per comandare, umiliare, sottomettere. Però, la realtà si stava dimostrando decisamente diversa. Squire faceva di lei ciò che voleva. A volte – ma raramente – era dolce, molto più spesso dura e autoritaria. Nadiya la preferiva nella seconda veste, sebbene in certi momenti Monica le procurasse un dolore talmente devastante da costringerla a invocare pietà. Mentre la implorava, sapeva già che non sarebbe servito a niente… ed era questa consapevolezza che la faceva impazzire di piacere.
Era un piacere perverso, degradante. Ma mai, prima di allora, aveva conosciuto orgasmi così intensi. Era sbalordita di se stessa. In più di un’occasione era entrata nella camera dell’americana intenzionata a porre fine a quel gioco, e a ristabilire la sua autorità. Squire le rideva in faccia, poi le ordinava di tacere e la costringeva a pratiche sempre più dolorose e umilianti.
La russa comprese che era diventata una schiava e smise di pensarci.
In quanto a Monica, non era per nulla soddisfatta di se stessa, ma si era imposta di seguire soltanto la ragione, ignorando emozioni, sentimenti, compassione. Stava funzionando ed era l’unica cosa che contava. Non le piaceva vedere un’altra donna sottomessa e tremante, e poco contava che quel tremore fosse dovuto solo in minima parte alla paura e soprattutto all’eccitazione. Si sentiva sgradevole e volgare, e non era bello. Però, doveva continuare: anzi, accelerare. Era l’unico modo che, forse, le avrebbe permesso di tornare libera.
Il passo successivo fu rappresentato dalle crudeli punizioni che le impartiva, se solo osava supplicarla.
Ormai, suo malgrado, Nadiya Nicolajevna Drosdova viveva per questo.
Quel pomeriggio di caldo soffocante, mentre la accarezzava in maniera insolitamente gentile, Monica Squire le parlò per la prima volta dell’America.
Nadiya la ascoltò con attenzione, sebbene fosse in preda a una forte ansia: temeva – e allo stesso tempo desiderava – il castigo che immancabilmente avrebbe subito più tardi.
La sera prima, infatti, Monica si era lamentata per la qualità del cibo e le aveva preannunciato per l’indomani una punizione più severa del solito.
“Il Crepuscolo della Lubjanka” tornerà con l’anno nuovo.
I miei primi auguri di buone feste (ne seguiranno altri, con i prossimi post).
Bel capitolo. Due considerazioni: magari bastasse assumere soldati, per risolvere la disoccupazione. Ma gli stipendi chi glieli paga?
Seconda: complimenti per la conoscenza delle “perversioni” umane. E’ più facile che il masochismo s’insinui tra i desideri repressi di una persona abituata a comandare… concordo.
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Bellissimo e lunghissimo capitolo letto d’un baleno,
accattivando e coinvolgendo l’attenzione parole su parola..
Allucinante la crudeltà mentale di Pomarev nei confronti
di Leonid agonizzante…
Molto bello il pezzo su Monica nei confronti di Nadiya che,
sembra tenerla in pugno in un modo non di Lei , cosi perverso…
Non ti faccio oggi gli auguri, certa che ci rincontreremo prima di Natale..
Un abbraccio e luminoso proseguo di giornata!
Michelle
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Azione, strategie e intrecci sempre di grande valore. Sempre più sottile e raffinata la presentazione dei “sentimenti” dei personaggi. Narrazione avvincente, sempre affrontata con equilibrio e buon gusto, tale da caratterizzare ulteriormente le personalità o introdurre strategie future o in esecuzione di personaggi dal carattere forte e deciso.
Natale è un po’ lontano, 😉 prima la fine del mondo predetta dai Maya! :D)!
A dopo! 😀
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@ BRUM quella era la ricetta di Kryuchkov (ma con Hitler in Germania funzionò).
Concordo in pieno con la tua seconda osservazione e lieta sono dell’approvazione!
Rime sempre più fantastiche 😛
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Saluti e riverenze a profusione.
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@ BRUM faccio la riverenza (tocca alle donne).
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Con me nelle vicinanze? A tuo rischio e pericolo… ahahahha
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@ BRUM eheheh 🙂
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@ VENTIDIPRIMAVERA certo, il blog prosegue. Ho rinviato a gennaio questa storia solo perché è a puntate, e visto il periodo natalizio, mi sarebbe spiaciuto che qualcuno perdesse il prossimo capitolo. Forse editerò ancora un episodio di “I love Janine”. Poi solo racconti, uno o due, non lo so ancora.
Pomarev è un figlio della sua epoca. Un uomo perfido, gelido, come potevano esserlo i membri delle SS.
Monica… fa di necessità virtù.
Ti ringrazio moltissimo e ti mando un grande bacione!
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@ CLE REVERIES ho spiegato nel commento precedente il perché della mia decisione… se poi non ci saremo più, allora anche questo romanzo scomparirà 🙂
Sono veramente lusingata, cara!
Come ripeto spesso, io mi impegno sempre al massimo per non deludere i miei amici lettori. Poi, i risultati non dipendono dalla mia volontà.
Baci ^^
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Ottimo regalo per le festività da qui al 2013. Una serie di episodi interessanti e stimolanti contornati da molte voci, molti protagonisti, ognuno dei quali col proprio fardello psicologico.
Violenza, paura, risentimenti e rispetto delle gerarchie hanno riempito e condito questo lunghissimo capitolo che in qualche modo svela le future mosse, anche se i colpi di scena cambieranno la faccia e previsioni.
Ricambio i tuoi auguri, che ripeterò anche nei prossimi post.
Un grande abbraccio
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Freddezza, calcolo, decisione… qualcosa che spesso fa paura, che salva la vita, che raccapriccia….qualcosa che non mi appartiene…ma così straordinario da leggere perché scritto con straordinaria bravura!
Un abbraccio
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Un episodio più interessante dell’altro carissima Alessandra. Un susseguirsi di azioni ed emozioni fortissime dove i vari protagonisti stanno vivendo situazioni fortemente intriganti. C’è freddezza, determinazione, paura, vicende vissute anche contro la proprio personalità per potersi salvare la vita, riferimenti politici e storici , intrighi molto complessi. Insomma un mix altamente esplosivo al quale è difficile sottrarsi. Ho letto con grande interesse lo svolgersi della storia ed è innegabile la tua bravura nello scrivere!!!
Ricambio gli auguri, anche se ce li faremo nuovamente 🙂
Serena notte e nuovamente COMPLIMENTI!!!
Ciao, Pat
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Questo capitolo mi è piaciuto particolarmente, molto scorrevole e dalla scrittura duttile, densa e sorprendentemente vitale nelle sequenze esposte con la classe che ti contraddistingue. Credevo che ci fossimo liberati di Pomarev, poi l’ho ritrovato ed è giusto così: la storia richiede un personaggio del genere. Non sapevo che ci fosse un addestramento al limite dell’immaginabile, certo che i servizi segreti quando perseguono un fine lo portano a termine, meno male che noi siamo gente comune.
Carissima sei troppo brava ed è un piacere sempre più crescente leggerti, in riguardo agli auguri grazie anticipatamente, ma ce li rifaremo.
con affetto
annamaria
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@ NEWWHITEBEAR ti ringrazio per il bellissimo commento, che prende in esame le varie parti di questo lungo capitolo.
Da domani mi metterò all’opera per il quattordicesimo, con la speranza di realizzare qualcosa di buono.
Un caro abbraccio.
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@ MARI non appartiene neppure a me, ma purtroppo appartiene al mondo.
Grazie mille, cara Marina!
Un bacione.
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@ PATRIZIA M. sono lusingatissima! La tua è una vera e propria recensione.
Talvolta rimpiango Splinder. Però, su quella piattaforma non ho mai ricevuto commenti così belli come qui su WordPress.
Buona serata, Pat ^^
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@ ANNAMARIA49 “un addestramento al limite dell’immaginabile”: ed è tutto vero!
Pomarev (purtroppo o per fortuna) fa parte di questa storia, e non sarà semplice liberarsi di lui.
Grazie di cuore per le tue parole*
Ti saluto con pari affetto.
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Come al solito, sei capace di dispiegare, in modo tale, che al sottoscritto, gli è parso di vedere un film. Intrigante è dir poco. Un saluto da Sar.
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Finalmente ho potuto leggere questo lungo capitolo con calma! Era tutto il giorno che ci provavo ma avevo davvero troppo lavoro.
Sebbene sia in pieno tuo stile, non pensavo che Pomarev si sarebbe salvato dal proiettile 🙂
Immagino che, al di là del romanzo, sia vero che abbiamo rischiato che la guerra fredda continuasse per un altro pezzo e il muro di Berlino non cadesse, vero? 🙂 Certo che ci siamo andati vicini molte volte nello scorso secolo a non vedere il nuovo millennio! 😀 Penso solo alla crisi di Cuba… A proposito, anche questo sarebbe un bel soggetto per costruirci un romanzo di spionaggio sopra, no? 😉
http://www.wolfghost.com
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@ SALVATORE RIZZI non può esistere complimento più bello di questo!
Grazie e un caro saluto da Ale ^^
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@ WOLFGHOST e infatti Pomarev si è salvato 😛
Lo abbiamo rischiato, e come!
Di Cuba purtroppo non so abbastanza per costruirci un romanzo. Un conto sono le ricerche se hai già una base, altro avventurarsi in mondi sconosciuti.
Caro lupo, piuttosto io avrei in mente la storia del sommergibile Kursk… però sono un po’ estenuata 🙂
Controllare, ricontrollare…
Saluti carissimi a Lady Wolf!
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ahah capisco! 😀 In effetti il tuo e’ un impegno estenuante, ma ti assicuro che e’ molto apprezzato 😉 Quindi… vuoi dire che dei temi che tratti, a parte approfondirli, ne sai gia’ molto a priori? 😮 Devo dedurre che gli ultimi tempi dell’Unione Sovietica ti hanno molto interessata in passato…
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST deduzione esatta, lupo!
Inoltre, amo moltissimo la letteratura russa (anche se questo non c’entra molto :-P).
Sono felice che il mio impegno sia apprezzato. Molto felice!
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Io speravo che quella carogna di Pomarev morisse!
Comunque è scritto benissimo.
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Ricambio…..Sar………..
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@ VALENTINA è una carogna importante ai fini della narrazione.
Grazie, Vale!
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@ SALVATORE RIZZI ciao, Sar.
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Le carogne sono inevitabilmente importanti. Nei film e nei libri. Se fossero tutti buoni sai che noia.
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@ VALENTINA penso che funzioni proprio così, mia cara.
Un sorriso per una dolce serata.
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Che il cekista morisse con due colpi alle spalle era un sogno ed un regalo natalizio troppo bello ed é … sfumato. Speriamo che con l’anno nuovo … 🙂
Capitolo lungo ma equilibrato. Da una parte la sentita ed ingombrante presenza di Yarbes, che stia facendo vacillare il complesso equilibrio di alleanze tra le parti grige dell’apparato e l’onnipresente e potente mafia russa? eppure gli eventi incalzano, la quiete si sta caricando di una elettricità inconsueta.
sembra che ciascun personaggio si stia rattrappendo su se stesso, come quando una molla viene caricata, per poi sprigionare tutta la propria forza.
Anche il rapporto torbido e violento delle due donne sta raggiungendo un punto di svolta che va al di la della semplice equazione padrona – schiava.
Monica cerca una via di fuga, la strada della libertà personale. Nadiya sembra più intenzionata a cementare vieppiù l’inquietante legame.
Sembra che oramai non ci sia più tempo, se non quello per un viaggio di sola andata verso l’inferno.
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@ CAPEHORN niente ragalo natalizio 🙂
Capitolo mooolto lungo! Forse ho preso il morbo di Stephen King 😛
Il morbo, beninteso, non (l’antico) talento.
Come sempre, leggere un tuo commento è un’assoluta gioia!
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@ KRIS se passi di qui per leggere, ti auguro uno stupendo Natale*
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Ma certo che passo di qui, ci mancherebbe. L’avevo fatto subito. Poi la maledetta pigrizia…
Non aggiungo altro, solo che il tuo pensiero mi ha fatto un piacere che neanche immagini.
Stupendo Natale anche a te, carissima e bravissima amica!
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@ KRIS vale anche per me, amica mia!
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Lunga e articolata puntata, che lascia risvolti d’eccezione e caratterizzazioni che troveranno spunti per le prossime vicende. Un abbraccio e spero di rileggerti presto, con rinnovato slancio.
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@ UNIVERS le prossime vicende ormai incombono…
Grazie e un abbraccio.
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