A Mosca gli inverni sono estremamente rigidi, ma l’estate può essere torrida.
Il 10 luglio era stato un giorno molto caldo. Verso sera, però, mentre Martin Yarbes si recava al luogo dell’appuntamento, una fresca brezza mitigò il clima afoso. Yarbes aveva preso in considerazioni varie ipotesi, pervenendo alla conclusione che, in un caso o nell’altro, poteva affidarsi soltanto alla fortuna.
Ogni precauzione sarebbe stata inutile. Se si fosse nascosto nei pressi del ristorante, avrebbe forse visto la Milizia arrivare; ma nulla escludeva che potessero piombargli addosso nel corso della cena, o magari dopo, all’uscita del locale. A parte questo, un vago intuito gli suggeriva che quel russo impenetrabile pensava e agiva unicamente in base a criteri razionali: farlo arrestare non sarebbe servito a niente.
Quando entrò, il sovietico era già seduto al tavolo d’angolo di due sere prima. Sebbene Yarbes non fosse in ritardo, con un gesto impaziente gli indicò l’orologio. Martin prese posto e salutò con educazione; in risposta, ebbe un cenno del capo. Ordinarono un pasticcio ripieno di carne e cavoli e, come secondo, un’eccellente anatra farcita. Il pasto fu accompagnato da una bottiglia di vino della Crimea.
Cominciarono a mangiare in silenzio.
Poi il russo gli rivolse uno sguardo freddo e disse: “Ho preso le mie informazioni. A causa sua, signor Yarbes, il KGB ha perso il suo miglior agente.”
Martin lo fissò, perplesso.
“Cannes! Aleksandr Stavrogin! Nome in codice Matrioska.”
Yarbes sospirò. Era accaduto molti anni prima, e in ogni caso non era stato lui a uccidere quel terribile killer, gelido e disumano, bensì una sua collega, Monica Squire.
“E’ in errore, signore.”, replicò gentilmente. “Quel giorno io fui preso in consegna da due energumeni del Servizio d’azione francese. Fu una donna a eliminare Matrioska, la stessa donna che ammazzò Baba Yaga… Aglaja, se non vado errato. E, comunque, Matrioska era venuto in America e aveva assassinato il nostro numero uno, John Lodge. Ma direi che ormai è acqua passata. Eravamo in guerra, ma da allora sono cambiate molte cose, comprese le relazioni fra i nostri due Paesi.”
Il russo lo guardò negli occhi, come per accertarsi che avesse detto la verità, anche se Yarbes sospettava che sapesse benissimo come si erano svolti i fatti. Aveva solo voluto provocarlo.
Finirono di cenare in silenzio. Quando la cameriera sbarazzò, il sovietico venne finalmente al dunque. “La mia presenza, qui, significa che dopo un’attenta riflessione ho deciso di crederle, seppure con qualche riserva.”
Mentre Yarbes e il suo commensale terminavano di cenare, George Bush incontrò James Baker allo Studio Ovale della Casa Bianca. A Washington era ora di pranzo. Nella capitale degli Stati Uniti il caldo era soffocante, il cielo grigio, e non spirava un alito di vento. Il presidente pensò che quel clima rispecchiava il suo stato d’animo. Ciò che sarebbe potuto succedere avrebbe riportato indietro il mondo con conseguenze gravissime. Da giorni si domandava se l’idea di mandare un uomo della CIA a Mosca fosse stata una mossa intelligente.
“Ci sono notizie?”
“Sì, signor presidente.”, rispose il Segretario di Stato. Baker consultò l’orologio. “Proprio adesso Yarbes dovrebbe essere in compagnia del nostro uomo.”
“Dovrebbe…”, commentò, asciutto, Bush.
“Lo ritengo molto probabile, signor presidente.”
George Bush si affacciò a una delle tre grandi finestre orientate verso sud, quindi si voltò e indicò uno dei telefoni posti sulla Resolute desk, la scrivania donata dalla regina Vittoria a Rutherford B. Hayes. “E se prendessi in mano quel dannato apparecchio e chiamassi personalmente?”
Baker scosse la testa. “E’ sconsigliabile, signor presidente.”
“E se lei salisse su un aereo e andasse a Mosca?”
“E’ sconsigliabile, signor presidente.”
Bush lo sapeva già. E conosceva i motivi che rendevano poco praticabili quelle due strade. D’altronde, ne avevano già discusso.
In primo luogo, avrebbero dovuto ammettere di avere una talpa ai massimi vertici del KGB: e questo non sarebbe piaciuto. In secondo luogo, sarebbero stati costretti a rivelare che erano riusciti a intercettare numerose telefonate su linee in apparenza ultrasicure; e questo sarebbe piaciuto ancor meno. Esistevano due alternative: affermare che la notizia proveniva dal Mossad oppure da un esule russo, ma entrambe sarebbero risultate poco credibili.
Ma vi era un terza ragione, forse la più importante. Se, nonostante i loro avvertimenti, il fatto fosse comunque accaduto, si sarebbero trovati di fronte a un regime fortemente ostile, decisamente più ostile di quanto già si potesse presumere. Bush non era uno stupido. Aveva distrutto l’aviazione e l’esercito iracheni, lasciando tuttavia al potere Saddam Hussein, perché in caso contrario l’Irak sarebbe diventato una polveriera. Sapeva quando era il momento di fermarsi. Dodici anni più tardi, suo figlio si sarebbe comportato in maniera diversa, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.
Annuì e strinse la mano a James Baker, congedandolo.
Yarbes rimaneva la sua unica speranza.
Il presidente degli Stati Uniti varcò la porta che immetteva nel giardino, immerso in pensieri profondi e poco gradevoli.
Nel frattempo, Martin Yarbes osservava sconcertato la scena che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi.
Come nell’occasione precedente, il russo aveva estratto una moneta da una tasca e l’aveva messa in un bicchiere pieno d’acqua. Poi l’aveva recuperata con la bocca, tenendo le mani dietro alla schiena. Il fatto che fosse vestito in modo elegante, con un blazer blu e la camicia bianca, rendeva più inverosimile quella pantomima. Yarbes considerava curioso che una persona dall’aspetto deciso e vagamente tetro si divertisse così, soprattutto a fronte di quanto gli aveva rivelato.
“Posso fare molte cose.”, dichiarò l’altro soddisfatto, prima di ripetere l’esperimento. “Ma non sfidare Vladimir Aleksandrovic Kryuchkov… almeno, non adesso.” Forse avrebbe potuto aggiungere che in realtà non lo voleva.
Squadrò l’americano con i suoi freddi occhi chiari. “Posto che mi convenga.”
“Quindi?”
“Quindi, anche se le credo, sia pur con riserva, non penso di poterle essere di grande aiuto.”
Yarbes rifletté per un attimo. “Se lei fosse veramente convinto di ciò che afferma, non ci saremmo incontrati di nuovo. A meno che non intenda spedirmi in Siberia.”
“Niet!”, ribatté Vladimir Putin. “Niente Siberia. Lei è un americano ed è cresciuto con troppe idee sbagliate per la testa. Favole, leggende, racconti per bambini. Se c’è un cekista qui, quello è lei, signor Yarbes. Se cominciassi a fare il resoconto di tutte le nefandezze con le quali vi siete sporcati le mani in ogni parte del mondo, staremmo qui fino a domani.”
Yarbes restò in silenzio.
Putin spostò lo sguardo in direzione della porta.
“Ho fatto venire una persona che forse potrà aiutarla.”, disse prima di riprendere la moneta e di riporla nella tasca.
Più o meno all’ora in cui il presidente degli Stati Uniti passeggiava per il giardino, dopo aver consumato un sandwich in ufficio, Monica Squire si tolse le scarpe, appoggiò i piedi sulla scrivania e rilesse per la terza volta il dossier che riguardava Vladimir Putin. Non condivideva l’ottimismo del suo capo né quello del Segretario di Stato. Putin era noto per essere gelido ed enigmatico. Inoltre, da sempre era un uomo del KGB, e questo fatto aveva la sua rilevanza. Era figlio di un comunista convinto, sebbene la madre fosse cristiana – come più tardi divenne egli stesso (attualmente porta al collo la croce battesimale della mamma). Per cinque anni aveva lavorato nella Germania dell’Est, dimostrando grandi capacità organizzative e guadagnandosi un’ottima reputazione. Si era laureato in Diritto Internazionale a Leningrado, oggi San Pietroburgo, la sua città natale. Godeva di appoggi influenti ed era temuto e rispettato. Secondo l’opinione di alcuni analisti, sarebbe salito molto, molto in alto. Ciò che la colpiva maggiormente era la sua freddezza. Non era un sadico, non coltivava alcun tipo di perversione, non amava infliggere dolore, però non esitava a fare a pezzi i suoi nemici.
Monica sorseggiò il caffè, riflettendo. Se le notizie pervenute dall’Unione Sovietica rispondevano al vero, la situazione era decisamente grave. Temeva per la sorte di Yarbes, ma non solo: le implicazioni erano assai più estese. Se fosse dipeso da lei, avrebbe preso decisioni diverse, anche se non aveva un’opinione precisa in merito: c’era qualcosa che le sfuggiva.
La storia di Monica Squire era alquanto singolare. Anni prima, tutti la consideravano un astro in ascesa; e benché in una struttura come quella della CIA ciò possa apparire poco verosimile, il suo aspetto fisico – era snella e attraente – l’aveva aiutata a conquistare la simpatia dei superiori, compreso il direttore dell’Agenzia. Ancora adesso, malgrado non fosse più giovanissima, quando camminava per strada era capace di far girare molte teste.
Naturalmente era anche una donna risoluta e intelligente. Aveva svolto una brillante azione in Afghanistan, che le era valsa riconoscimenti e attestati di stima.
In seguito, però, le cose erano cambiate.
Aveva rischiato l’ergastolo perché, a causa sua, l’agente John Lodge era stato ucciso da un uomo del KGB, Matrioska, lo stesso che i due avevano fronteggiato con successo durante la guerra russo-afghana.
Quando ripensava a quello che era successo, Monica provava sensazioni contrastanti. Da un lato si sarebbe sempre sentita colpevole. Si era dimostrata debole: non era riuscita a resistere alle torture che aveva subito da un’agente del KGB, Aglaja, nome in codice Baba Yaga; aveva perso il controllo e le aveva svelato dove abitava Lodge.
Da un altro lato, tuttavia, si chiedeva quante persone sarebbero riuscite a sopportare i tormenti cui l’aveva sottoposta la russa, senza invocare pietà e soprattutto senza rispondere alle sue domande; e non poteva trattenere il risentimento per chi l’aveva giudicata e condannata. Non aveva mai sofferto tanto in vita sua.
Ma, a un tratto, tutto era cambiato. Monica aveva seguito, senza esserne autorizzata, Martin Yarbes a Cannes ed era stata lei a uccidere Matrioska, nonostante fosse fortemente attratta da quel russo… una strana passione, a ripensarci. Dopo quel giorno, era tornata a essere una stella in ascesa, e adesso ricopriva un ruolo di prestigio: era la numero quattro del settore addetto alla divisione sovietica. Sebbene fosse meno importante di un tempo – prima dell’avvento di Michail Gorbaciov – rimaneva comunque uno dei dipartimenti principali, assieme alla struttura che si occupava del terrorismo internazionale.
Monica collaborava con l’Ufficio della strategia di raccolta e di analisi. Tale ufficio ha il compito di reperire il maggior numero di informazioni possibili sulle principali questioni estere e, dopo averle verificate, di studiarle approfonditamente. Se vengono considerate rilevanti, passano ai “piani alti”.
Monica lesse per la quarta volta l’incartamento, poi, colta da un’idea improvvisa, si rimise le scarpe, ripose il fascicolo nella cassaforte e uscì dall’ufficio.
Avevano scelto l’uomo sbagliato.
A bordo della Chaika, parcheggiata di fronte al ristorante, i due uomini videro la giovane donna entrare nel locale. Vladimir Putin era intoccabile – perfino per Kryuchkov, il quale segretamente lo temeva -; ma per il resto erano liberi di agire, anche se con le dovute precauzioni. Conoscevano Nadiya. Si chiesero se la sua presenza, lì, fosse legata a quella dell’americano.
Ma la risposta era ovvia.
NOTA DELL’AUTRICE: l’episodio della moneta appartiene alla realtà, e non è un frutto di fantasia. Vladimir Putin ama dilettarsi in questo e altri modi.
Il merito, ci trasporta in ambiti reconditi per i più, che molti tiranni bazzicano sul serio. E come sempre sai dispiegare le trame. Saluti da Salvatore…detto… Sar..
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Oh, ma questo è davvero un cimento importante. Mi pare tu stia lavorando duro su sta storia. Non capisco solo una cosa: come faccia tu a mantenere meticolosamente le cadenze. Voglio dire: documentarsi, pensare, scrivere, quella mannaia dell’appuntamento fisso domenicale certo, sarà anche uno sprone, ma non rischia di farti a volte affrettare il lavoro? Take your time my friend!
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@ SALVATORE RIZZI ti ringrazio molto, caro Sar!
Buon pomeriggio ^^
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@ KRIS ciao, amica mia*
No, cara: direi che è l’esatto contrario. Postare soltanto alla domenica in realtà mi deconcentra e a volte mi fa perdere il filo. Per me sarebbero ottimali tre puntate alla settimana, o almeno due. Ma per una serie di motivi questa non è una scelta praticabile.
Sempre che la tua osservazione non sia un’elegante critica…
Baci.
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La storia è in embrione né si conoscono quali sviluppi avrà ovvero che tipo di informazioni dovrà raccogliere Yarbes ma comunque appare gradevole e stuzzicante e accende la curiosità del lettore.
Aspettiamo le prossime mosse che in qualche modo renderanno più chiaro il contesto.
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR finora ho seminato solo alcuni indizi…
Il fatto in questione riguarda un importante avvenimento storico, accaduto nell’estate del 1991, e qui mi fermo.
(Naturalmente il tutto è, come dire?, romanzato).
Grazie e un caro abbraccio a te.
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Grazie a te che ci coinvolgi, come sempre. Salvatore…..
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È sicuramente un inizio alla grande.
Notevole la delineazione dei protaugonisti, descrizioni dei caratteri e delle emozioni tutto ineccepibilmente preciso e coinvolgente.
Grazie per l’opportunità di poter fare un’ottima e coinvolgente lettura .
Aspettando domenica prossima
Ti abbraccio
Cle
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@ SALVATORE RIZZI sei molto gentile, “vecchio” Sar!
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@ CLE REVERIES quando scrivo, penso ad amiche come te. Altrimenti avrei già smesso.
Un grandissimo bacione*
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…:) . Troppo gentile!
Grazie! :-*
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@ CLE REVERIES è la pura verità!
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Che dire Alessandra, ti stai cimentando in una storia non certo facile, ma sicuramente ne uscirà tutta la tua bravura. Il riuscire a destreggiarsi tra ciò che crea la tua fantasia e ciò che è invece verità (tipo il gioco della moneta ed ovviamente i tanti riferimenti storici) non è certamente facile. Invece tu ci riesci benissimo e stai già dando, e siamo solo alla seconda parte, piccoli assaggi di pathos che rendono lo storia interessante e soprattutto incuriosiscono il lettore…. lo stuzzicano nel voler sapere come prosegue.. Grande!!!
Ciao, dolce notte, Pat
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@ PATRIZIA M. dolcissima Pat, è vero: questa non è una storia facile, anzi è difficilissima. Però ho deciso di scriverla. Come una sfida a me stessa. Se dovessi fallire, mi ritirerò in buon ordine; ma nutro fiducia: non tanto in me, quanto nella forza che i miei amici e le mie amiche – fra i quali certamente tu – riescono a trasmettermi. Ce la metterò tutta e spero proprio di scrivere qualcosa di buono.
Grazie di cuore e dolce notte a te*
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Sono sicura che ce la farai.. 🙂
Arinotte !!
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@ PATRIZIA M. bacioni 😛
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Beh, in un certo senso questo è un pò il seguito di Matrioska, no?
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Si’, Putin e’ un uomo molto eccentrico, capace di azioni gravi ma anche – da quanto ne so – amante della natura e degli animali. Accidenti, tirarlo dentro in prima persona in un tuo racconto… sono certo che il tuo blog e’ gia’ entrato d’ufficio tra quelli schedati dai russi! eheheh 😀
Mi e’ piaciuto il tuo “tratteggio” di Bush padre, sicuramente piu’ furbo e sveglio del figlio, anche se… molte sue decisioni sono comunque ampiamenti opinabili…
http://www.wolfghost.com
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Decismente un grande soggetto. Dove la contemporaneità storica ben si sposa con la storia che vuoi raccontare, che per altro ha in se gli elementi classici della spy-storie. Un duello politico, non ancora e forse mai finito. Presenze e ombre e possibilità di azione. Personaggi non solo tratteggiati, ma piuttosto hanno la loro caratterizzazione, con pennellate decise senza incertezze.
Storicamente conosciuti o semplicemente parti di fantasia sono già patrimonio comune
Una tavola imbandita, cui poco a poco giungono i commensali e non sappiamo ancora quali saranno le portate e come si svolgerà il banchetto
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@ BRUM più che altro, ho presentato Martin Yarbes e Monica Squire partendo dal presupposto che nessuno avesse letto “Matrioska”. So che a te piace questa cosa, giustamente direi. Per il resto, la storia è diversa e si svolge molti anni dopo. Non lo definirei esattamente un “sequel”, però ci può anche stare…
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@ WOLFGHOST questo è poco, ma sicuro! Se un giorno dovessi scomparire, sapreste il perché 😛
Putin… è vero quello che affermi: è un personaggio molto difficile da decifrare.
Bush padre ha commesso errori, certo, ma mai quanto il figlio!
Un caro saluto, lupo.
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eheheh speriamo di no! 😀 Comunque tu… non trattarlo troppo male nel racconto, va’! 😉 😛
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@ WOLFGHOST sarò molto cauta ^^
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@ CAPEHORN grazie, Carlo!
Forse non tutti gli amici lettori hanno compreso di cosa tratta questo romanzo. Ma è meglio così: in tal modo ci saranno più sorprese.
Chiaramente la storia è di fantasia, però il contorno è assolutamente reale.
L’estate del 1991… a partire dal 19 agosto…
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Che Cos’è questa storia secondo la quale se fallisci ti ritiri? Stai scherzando, vero? Tu ormai sei un’istituzione. Non puoi ritirarti.
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Se ripenso a quel periodo, mi viene il mal di fegato!
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Interessante e molto direi, Saddam, se fosse ancora in vita nonostante le nefandezze, avrebbe tenuto fermo quel popolo, forse l’undici settembre non sarebbe mai esistito; non avremmo avuto neanche la crisi. Ovvio è opinione personale da profana, ma l’economia americana ne ha risentito con lo spiegamento di forze militari in Iraq e noi con loro. La storia è al tempo dell’invasione nel Kuwait accaduta più di vent’anni fa, tutto è precipitato da quel momento.
Cara Ale, la vicenda è molto interessante ed è narrata magistralmente, complimenti!
buona giornata
un abbraccio
annamaria
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Capito. Storia diversa… con alcuni personaggi in comune. Beh, si… ho la tendenza ad affezionarmi ai personaggi. Forse perchè nel corso del racconto imparo a conoscerli meglio, e ricominciare con quelli nuovi significa dover rifare tutto. Sono abbastanza abitudinario, lo sai.
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Incalzante inizio entra come una ragnatella
nel filo dei grovigli che affiorano dai ricordi di Monica
e Yarbes in una nuova storia che coinvolge decisamente
a livello storico e spiccata fantasia.
Ottimo inizio cara!
Un bisou et bon mardi!
Michelle
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Saluti, come sempre…. da Salvatore….
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@ SUZIEQ11 obbedisco!
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@ GENNADY ZYUGANOV lei chiese le dimissioni di Gorbaciov, è vero; ma poi non mi sembra che fu parte attiva.
Comunque, la capisco!
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Appunto per quello mi viene il mal di fegato!
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@ GENNADY ZYUGANOV 🙂
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@ ANNAMARIA49 Saddam era un pessimo elemento, però teneva l’Irak unito. Senza di lui è scoppiato il caos più totale, e ciò era prevedibile. Sono completamente d’accordo con te, anche sulle conseguenze economiche.
Grazie, cara, e buon pomeriggio.
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@ BRUM è per quello che a me piace Wilbur Smith. Soprattutto la lunga saga della famiglia Courtney. Come te, mi affeziono ai personaggi.
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@ VENTIDIPRIMAVERA ti ringrazio moltissimo, Michelle!
Bisous, chèrie * ________________ *
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@ SALVATORE RIZZI ciao, Sar!
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Storia che sta nascendo pian piano, intricata ma coinvolgente… e Yarbes sembra abbia del potenziale come personaggio per le prossime vicende. Sempre buoni i riferimenti alla storia politica più o meno recente. Un abbraccio.
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@ UNIVERS “Storia che sta nascendo pian piano, intricata ma coinvolgente”: mi piacciono moltissimo le tue parole, delle quali ti ringrazio con tutto il cuore. In effetti, di proposito, ho deciso di partire lentamente per poi, in seguito, accelerare.
Un bacione ^^
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Che faccia da c…o….
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@ ENLY è un personaggio alquanto misterioso…
Riguardo al viso, non saprei 😛
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disponendo le prime tessere del puzzle …
🙂
ciao ciao
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@ POCHEPRETESE un po’ alla volta…
Ciao!
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