Monica Squire uscì dall’appartamento e a piedi si diresse verso l’hotel Martinez.
Non è un tratto di strada particolarmente lungo e può essere percorso in pochi minuti; molte persone sono solite recarsi da un’estremità all’altra della Croisette anche varie volte al giorno. Il fascino del panorama rende estremamente piacevole questo percorso.
Ma a Monica tremavano le gambe.
Le tremavano per due ragioni: perché aveva paura e perché era angosciata.
La paura nasceva dal fatto che conosceva bene Matrioska. Quando era ancora in vita, anche John Lodge aveva temuto di affrontarlo. Matrioska era il miglior agente segreto del mondo, il più freddo, il più spietato, il più astuto, il più forte. Con quali speranze poteva confrontarsi con lui? Era riuscita a uccidere Aglaja, grazie al diversivo causato da Yarbes; altrimenti sarebbe stata sopraffatta. E Matrioska valeva dieci volte Aglaja.
L’angoscia derivava dalla consapevolezza che, qualora fosse riuscita a sorprenderlo (e quello era l’unico modo per avere la meglio su di lui), poi avrebbe dovuto sparargli a sangue freddo.
Monica aveva già ucciso. Per un’agente della CIA ciò era naturale. Gli uomini che formavano l’equipaggio dell’Hind, in Afghanistan, e Aglaja, nel cottage vicino al lago. Ma, in entrambi i casi, lo aveva fatto per salvarsi la vita. Inoltre, se i russi dell’Hind erano dei perfetti sconosciuti, dei quali non sapeva assolutamente nulla, per Aglaja nutriva una profonda avversione o, più precisamente, odio allo stato puro.
Con Aleksandr era diverso.
Era un uomo glaciale e i suoi occhi sembravano un abisso scavato nel nulla. Da essi non trapelavano emozioni, paura, sentimenti. Eppure quell’uomo glaciale l’aveva fatta fremere di passione e, quando avevano fatto l’amore, lei lo aveva sentito vicino, ed è raro che una donna si sbagli su certe cose.
A causa della sua etica contorta, Matrioska non avrebbe mai esitato a ucciderla; tuttavia, in America, aveva rimandato il più possibile e le aveva promesso che non sarebbe stata Aglaja a sopprimerla.
Monica conosceva le intenzioni della russa, dato che Aglaja era stata esplicita al riguardo.
Avrebbe riempito la vasca da bagno e l’avrebbe costretta a immergersi nell’acqua. Sarebbe entrata con lei nella vasca. Presumibilmente, si sarebbe sistemata dietro con la schiena appoggiata al bordo e le gambe allacciate alle sue. La stretta sarebbe stata simile a quella di una tenaglia. Con una mano le avrebbe imprigionato i polsi, sollevandole le braccia fino all’altezza delle scapole. Con l’altra le avrebbe tenuto la testa sotto per un minuto. L’avrebbe lasciata respirare brevemente, quindi avrebbe ripetuto l’operazione. Questa volta per due minuti. Una nuova boccata di ossigeno e i minuti sarebbero diventati tre. Difficilmente ci sarebbe stata una quarta immersione.
Una morte atroce.
Aleksandr invece le avrebbe sparato. E quasi certamente in un momento in cui lei non se lo sarebbe aspettato: le avrebbe risparmiato l’agonia dell’attesa.
Un colpo di pistola e tutto sarebbe finito.
Con che coraggio avrebbe potuto ammazzarlo, mentre lui la guardava?
La tentazione di rinunciare era fortissima.
Aveva un appuntamento con Elke Shurer davanti al porto nuovo.
Poteva andarci subito e aspettarla.
La tedesca non le avrebbe rivolto domande. Era stata pagata per consegnarle una pistola e il suo compito si esauriva lì. Che Monica usasse o meno quella pistola non la riguardava.
Chiaramente, se si fosse tirata indietro, con la CIA avrebbe chiuso.
Scrollò le spalle. Grazie alla sua preparazione avrebbe potuto trovare mille altri lavori.
Però, esisteva anche un terzo aspetto.
Voleva dimostrare a se stessa, prima che agli altri, di non essere una codarda. Quanto era successo con Aglaja era stato solo un episodio, un incidente di percorso.
E c’era un quarto aspetto.
John Lodge era morto sulla porta di casa, mentre aspettava sua moglie e sua figlia. Non era armato: era indifeso.
Ed era stato Matrioska a ucciderlo.
Raggiunse l’hotel Martinez, esitò per un attimo, quindi tirò dritto. Il bar del Carlton era chiuso. Tagliò per una via interna e sboccò in Rue d’Antibes. In fondo, fra un cinema e una farmacia, vide un bar aperto. Entrò e ordinò un caffè, poi cambiò idea e chiese un cognac. Bevve lentamente, a piccoli sorsi, pagò la consumazione, domandandosi se era l’ultima cliente della notte o la prima del mattino, e uscì.
Si fermò a riflettere.
Un ragazzo le passò accanto e le rivolse un complimento in italiano.
Monica tornò sui suoi passi.
Il portiere notturno del Martinez era convinto che l’affascinante signorina Shurer e monsieur Delpech fossero amanti. Ma quando Monica Squire dichiarò che la tedesca l’aveva autorizzata ad attenderla in camera sua, fu colto da un sospetto che lo intristì.
Che spreco!, pensò.
Sebbene non fosse all’altezza di Elke, anche la nuova venuta era attraente, benché fosse molto pallida e avesse i lineamenti tesi.
D’altro canto, esisteva un solo motivo plausibile che giustificasse quell’appuntamento a un’ora così insolita. Memore della lauta mancia ricevuta, le consegnò la chiave della stanza della signorina Shurer.
Monica si diresse verso l’ascensore, e il portiere sospirò.
Lontano da lì, sull’aereo che lo riportava in patria, Yarbes rifletteva.
Era stato il suo capo a suggerirgli di ricorrere allo SDECE, e questo si era rivelato un errore. L’errore, comunque, era anche suo, dato che non aveva mosso obiezioni. C’era però un secondo errore, forse più grave del primo. Yarbes aveva pensato che, visto che si comportava da innocuo turista, gli sbirri francesi ormai lo avessero lasciato perdere, per tornare a incombenze più importanti. Non aveva immaginato che invece avrebbero continuato a seguirlo.
Sorseggiò il bourbon senza ghiaccio che aveva ordinato alla graziosa hostess. Mentre lo serviva, la donna aveva sporto il seno in fuori. Ma a Yarbes le avventure di una notte non interessavano.
Tornò a riconsiderare ciò che era successo. Accadeva molto di rado che il direttore della CIA si sbagliasse e nei rari casi in cui questo si verificava generalmente reagiva con prontezza: aveva sempre un piano di riserva, e talvolta più d’uno. Ciò significava che presto Yarbes avrebbe avuto un’altra occasione, e alla prossima non avrebbe fallito. Era molto capace, e sapeva di esserlo. Quello che non sapeva era che il piano di riserva era già scattato, e che non sarebbe stato lui a portarlo a termine.
Le camere di Elke e di Aleksandr erano sullo stesso piano.
Monica entrò nella stanza della tedesca e appese fuori dalla porta il cartellino “non disturbare.” Richiuse la porta e si avvicinò alla camera del russo. Erano soltanto pochi metri, ma le sembrarono infiniti. Quando fu davanti trattenne il respiro. Era ancora in tempo per cambiare idea. Sarebbe potuta scendere, fingersi indignata per il ritardo di Elke, e lasciare quel maledetto albergo. Oppure far passare qualche minuto per rendere più credibile la scena. Aveva in bocca un sapore cattivo, forse dovuto al cognac: non era abituata a bere alcolici e certo non all’alba. Ma il caffè l’avrebbe resa ancora più nervosa.
Un giorno, a Los Angeles, aveva conosciuto casualmente un giovane brooker. Era un tipo simpatico e aveva accettato di bere qualcosa con lui. Phil Weir – questo era il nome del brooker – le aveva insegnato un metodo, secondo lui infallibile, per estraniarsi da ogni emozione negativa. Weir sosteneva che era in grado di congiungersi con il cosmo, di entrarne a far parte: in quei momenti viveva sensazioni talmente fulgide da fargli dimenticare tutto il male che esisteva sulla Terra. Diventava potente, puro spirito, un’entità in grado di indirizzare il proprio futuro. Ovviamente, lui era molto esperto, ma Monica avrebbe potuto apprendere i primi rudimenti della meditazione trascendentale. Monica sospettava che in realtà lui si fosse fumato il cervello, però qualche volta aveva tentato di applicare quelle tecniche. Visti i risultati, aveva deciso di lasciar perdere.
Ora, forse, le sarebbe servito rallentare il respiro… astrarsi… pensare alle stelle…
Tutte sciocchezze!, si disse.
Ciò che le serviva veramente era una cosa sola: il coraggio. E quello non poteva regalarglielo nessuno.
Trasse un profondo respiro e bussò alla porta di Matrioska.
Sono una fedelissima! Mi piace leggerti!
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Naaaaaaaa, la meditazione trascendentale funziona. Ci vuole un pò di pratica…
Ciò detto… beh, almeno stavolta ho indovinato. Un grande capitolo. Perfetta e plausibilissima l’analisi di Monica, l’azione (e forse ancora un capovolgimento di fronte…) si respira nell’aria… perfetto. Null’altro da dire.
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Allora, Alessandra. Secondo me non le manca davvero il coraggio… E sento i colpi sbattere già forti sulla porta…
Stefano
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Sempre scorrevole, intrigante e semplicemente lineare e spesso attuale, visti i riferimenti. Saluti da Salvatore….
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domanda: ma Shurer o piuttosto Schurer? (o addirittura Schürer, che è cognome ancor più diffuso?)
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Nuova puntata dai puntini sospesi, dalle analisi acute e profonde, da pensieri di quello che sarà.
Sempre convincente nella narrazione senza sbavature o incertezze nei passaggi.
Monica si riscatterà o fallirà per sempre? Bella domanda ma nel mentre godiamoci questa splendida puntata.
Un grande abbraccio
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@ ELENA grazie, carissima!
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@ BRUMBRU sono davvero onorata.
Però, Phil Weir era fuori di testa… 😛
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@ STEFANO RE anche secondo me Monica è coraggiosa: tutto tranne che una codarda.
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@ SALVATORE RIZZI riguardo ai riferimenti, cerco sempre di essere precisa. Grazie e un caro saluto a te.
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@ INTESOMALE Shurer, sebbene con i puntini sarebbe più corretto: ma non li so usare 🙂
Vivi in Germania, vero?
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Ma sh è inglese, sch è tedesco, amesso che l‘idea che hai in mente sia /sciurer/… sì più o meno vivo in Teteschia
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@ INTESOMALE lì, la birra è ottima!
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@ NEWWHITEBEAR ti ringrazio moltissimo.
Adesso mancano solo due puntate: e qui si vedrà…
Monica è attesa dalla più difficile impresa della sua vita. I bookmakers pagherebbero una cifra assai alta a chi avesse il coraggio di puntare su di lei.
Un caro abbraccio.
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Ricambio….seralmente…..
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Oddio, ci siamo! Bellissima puntata, descrizione perfetta dello stato d’animo di Monica, sembra di essere con lei, di vivere le sue angosce, le sue perplessità, ma lo farà davvero? Alla prossima puntata, abile scrittrice.
un caro abbraccio
annamaria
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@ SALVATORE RIZZI un sorriso per te*
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@ ANNAMARIA49 ebbene sì, ci siamo! Ancora due capitoli e poi questa storia sarà finita.
Grazie mille, cara, e un bacione * ____________ *
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Il finale ha i due protagonisti più degni.
E’ una banale battuta di un film che non ricordo, ma la cito per la tutt’altro che banale mia protetta: non hai coraggio se non hai paura…
Let’s go
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@ KRIS hai perfettamente ragione, mia cara.
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Uhm… puntata 47… il romanzo è abbastanza lungo per farlo concludere a breve? Forse sì, e forse se davvero fosse proprio Monica a farlo terminare potrebbe essere un buon finale… Chissà, magari ci siamo davvero 🙂
http://www.wolfghost.com
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@ WOLFGHOST due puntate ancora, caro lupo.
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E’ una lettura che scorre benissimo e che fa percepire molto bene lo stato d’animo di Monica. Veramente bello questo tuo romanzo, da leggere con attenzione e goderselo parola dopo parola
Pat
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@ PATRIZIA M. sei molto cara, Pat!
Un sorriso per una dolce notte*
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Hai la grande capacità di narrare con descrizioni
di notevole coinvolgimento..
Intriganti e appassionanti queste ultime puntate che
svolgono il termine di un manoscritto di grande talento!!
E’ ora chissà cosa succederà…
Je t’embrasse bien fort ma chère amie
Michelle
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@ VENTIDIPRIMAVERA grazie infinite, Michelle!
Bisous, chèrie*
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Mi hai fatto venire il batticuore.
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@ VALENTINA per me è un grande complimento, cara.
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Ti seguo , ti seguo… Monica, secondo me, anche se la sua anima è in balia
dei se e ma, alla fine riuscirà a farlo fuori.
Baci
Mistral
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@ OMBREFLESSUOSE so che lo speri, cara Mistral 🙂
Vedremo…
Baci a te ^^
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Puntata profonda, di significato e di vicende davvero coinvolgenti… ah Monica, che donna e come l’hai descritta… soprattutto certi suoi pensieri puoi toccarli con mano. Baci.
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@ UNIVERS Monica è una donna speciale, concordo con te.
L’ultima tua frase mi ha emozionata!
Bacioni*
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