Per dieci anni John Lodge avrebbe ripensato a quei giorni.
Ricordava il caldo umido e soffocante, il traffico caotico, il vociare scomposto degli italiani, l’impudenza delle ragazze romane e, naturalmente, ricordava Boris. Fin dal primo momento il russo gli era stato istintivamente antipatico. Biondo, pallido, con due slavati occhi celesti, abbondantemento sovrappeso, Boris Ivanovic era altezzoso e arrogante. Nonché stupido, pensava John. Si rifiutava categoricamente di andare in America – e questo bastava per dimostrare la sua scarsa intelligenza -, dove sarebbe stato protetto, avrebbe avuto una casa dignitosa e buone bistecche in abbondanza. Boris voleva restare a Roma, un luogo invivibile, dove la polizia brillava per inefficienza e i servizi segreti erano talmente inadueguati da sembrare partoriti da un autore di film comici.
Lodge non approvava ciò che aveva fatto Boris. Certo: il suo contributo sarebbe stato prezioso, e di questo era contento; tuttavia egli riteneva che alla base del comportamento di un uomo avrebbero dovuto esserci degli ideali, un senso di appartenenza, onestà e fedeltà. Chiaramente l’Unione Sovietica stava dalla parte del torto, e gli Stati Uniti da quella della ragione; ma la scelta di Boris non dipendeva da quello. Lui tradiva la sua patria per avidità, in cambio di denaro, e per Lodge ciò era squallido. L’America non era esente da colpe – e Lodge pensò al Vietnam – però egli non l’avrebbe mai tradita.
Boris incominciava a bere vodka alle otto del mattino e, prima di mezzogiorno, era immancabilmente ubriaco. John Lodge doveva proteggerlo e nei momenti di lucidità mentale prendere nota di tutto quello che sapeva. Boris era un burocrate del KGB, non un agente operativo, e in quanto tale aveva un quadro molto vasto di quanto accadeva a Berlino, la città in cui aveva vissuto negli ultimi cinque anni, prima di decidere di vendersi. Il lavoro procedeva con una lentezza esasperante, a causa delle scarse ore di cui John disponeva, dei capricci del russo – voleva prostitute in continuazione – e dei vuoti mentali che gli offuscavano la memoria e che, riteneva Lodge, erano dovuti alla vodka.
Lodge avrebbe ricordato quei giorni anche per un altro motivo: il più importante. Quello era stato l’unico insuccesso della sua carriera. John non aveva mai fallito, né prima né in seguito; era uno dei migliori agenti della CIA, e sapeva di esserlo. Aveva portato a termine operazioni assai più complesse e rischiose, sconfiggendo regolarmente i suoi nemici, anche i più pericolosi fra essi; e dopo Roma il suo prestigio all’interno dell’Agenzia era rimasto intatto: anzi, aveva continuato a crescere. I capi lo avevano perdonato. A fronte di un unico fallimento, vantava decine di brillanti missioni, e questo bastava e avanzava.
Ma Lodge non si era mai perdonato.
E non aveva dimenticato l’uomo che aveva ucciso Boris, proprio sotto al suo naso. Di lui rammentava i lineamenti del viso, le spalle ampie e l’espressione gelida degli occhi.
Non sapeva come si chiamava, ma conosceva il suo nome in codice: Matrioska. Era stata l’ultima parola che aveva pronunciato Boris prima di morire.
Dmitriy aveva fretta perché temeva che Boris si trasferisse negli Stati Uniti. Ormai, sospettava, aveva raccontato troppe cose e questo avrebbe causato una quantità di problemi: agenti doppi “bruciati”, funzionari corrotti del settore ovest smascherati, codici decifrati. Tuttavia, se era inutile chiudere la stalla dopo che i buoi erano scappati, era invece indispensabile dare un chiaro esempio che fungesse da monito. E comunque Boris aveva una mente lenta e contorta. Era possibile che procedesse mercanteggiando per ogni singola informazione: un’ulteriore ragione per fermarlo al più presto.
Al momento, Boris si trovava a Roma.
Dal fascicolo che lo riguardava Aleksandr aveva appreso che amava il lusso, la vodka e le donne. Perciò era probabile che alloggiasse in un albergo a cinque stelle; ma Aleksandr non basava le sue azioni sulle probabilità. Giunto a Roma con un passaporto falso, a nome di un imprenditore norvegese, si recò in una piccola chiesa situata in periferia. Vide il suo uomo, ma non si avvicinò. Uscì dalla chiesa e si sedette a un tavolino d’angolo di un bar. Ordinò un the e finse di leggere il “Times”. Aleksandr parlava un inglese corretto, sebbene con un lieve accento russo. Dopo venti minuti, l’italiano si affacciò sulla piazza. Era nervoso e si guardava continuamente intorno. Attese per un altro quarto d’ora, poi si incamminò verso la macchina.
Aleksandr osservò con attenzione. Non lo seguiva nessuno. L’indomani, alla stessa ora, tornò alla chiesa. Il colonnello Schieppati era inginocchiato davanti all’altare.
Incompetente, pensò Aleksandr.
Scrutò l’interno della chiesa: c’erano soltanto tre o quattro vecchiette. Avanzò lentamente, gli passò davanti e lasciò cadere a terra un foglio di carta. Quindi, guadagnò rapidamente l’uscita.
Quel pomeriggio, alle cinque, il colonnello Schieppati entrò in un bar affollato del centro.
Squillò il telefono. Il barista chiese se c’era un certo signor D’Arrigo.
“Sono io.”, disse Schieppati e prese il ricevitore.
Gli fu dato il nome di una via e un numero civico. Chi lo stava chiamando riagganciò subito.
Schipeppati pensava che quel russo fosse esagerato, comunque salì in macchina e raggiunse il luogo che gli era stato indicato.
Non vide anima viva.
Irritato, tornò alla macchina; ma un attimo prima di aprire la portiera, una figura emerse come dal nulla.
Gli fece un cenno e Schieppati la seguì dentro a un portone.
“Dove?”, gli domando Aleksandr in inglese.
Schieppati si guardò alle spalle.
“Tranquillo. Non c’è nessuno.”, disse Aleksandr.
Schieppati fornì un indirizzo e un cognome: Lodge.
Aleksandr gli consegnò una busta e scomparve.
Boris non alloggiava in un albergo.
Aleksandr fece ritorno alla sua piccola pensione e si cambiò. Indossò un paio di jeans, una camicia a fiori su cui appuntò un medaglione che raffigurava i Led Zeppelin, e si scompigliò i capelli. Erano lunghi al punto giusto. Si servì di vari mezzi pubblici e affrontò l’ultimo tratto di strada a piedi. Faceva molto caldo e presto fu madido di sudore. Il residence era poco fuori Roma, in una zona tranquilla immersa nel verde. Aleksandr notò una macchina della polizia con quattro agenti a bordo. Imbruniva, ma riuscì a distinguere i loro volti: sembravano annoiati, e probabilmente lo erano.
Non costituivano un problema.
Ma con Boris sicuramente c’erano uno o più uomini della CIA.
Aleksandr andò in un bar vicino, consultò l’elenco telefonico e chiamò il residence. Non c’erano appartamenti liberi, ma questo era ovvio. “Avete un servizio di cucina interno?”, chiese. No. I pasti venivano serviti da un ristorante. Aleksandr riattaccò e aspettò l’ora di cena; per quanto ne sapeva, a Roma si mangiava tardi.
Alle nove arrivò un furgone. Su una fiancata spiccava la scritta “Ai sette colli”. Due camerieri scesero dal veicolo, sospingendo un carrello.
Aleksandr sorrise.
L’impressione della prima puntata era ottima e così è.
L’ho lòetto tutto d’un fiato e vorrei leggere anche quelle dopo. Ma devo aspettare.
Un nuovo personaggio Lodge si presenta sulla scena e mi sembra una figura ben delineata. Ricordi del passato ma che si rifletteranno sul presente.
Di Aleksandr non scopriamo nulla di nuovo. Solamente come opera e come pensa ma ci sarà qualcosa di nuovo da scoprire.
Brava e complimneti.
Questo nuovo romanzo promette molto bene.
Un grande abbraccio
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@ NEWWHITEBEAR sono tanto felice che questa storia ti piaccia! E’ un genere nuovo per me, ma la sto scrivendo con grande entusiasmo.
Lodge e Aleksandr naturalmente si incontreranno di nuovo, ma qui taccio.
Un caro abbraccio 🙂
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Un nuovo eroe, un nuovo beniamino.
L’Ale è tornata. E alè! 🙂
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@ AZALEAROSSA grazie e un bacio, bella bionda 🙂
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Sei davvero una grande scrittrice e come tale sai spaziare tra vari generi narrativi.
Mi piiace quando ti arrabbi con wordpress ma poi risolvi i problemi
io invece sono una testa dura e provo e riprovo, anni fa ho fatto il mio template senza capire niente di HTML e pure ora è arabo
Un abbraccio
Tony
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l’anonimo delle 23.15 sono io TonyM
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Ho dovuto rileggerlo per memorizzare le varie figure… è un pò intricato, in questo pezzo. O io un pò intronato stamane… non so.
Comunque, ok. Credo di aver memorizzato l’ambientazione e gli antefatti.
Del tuo modo di scrivere non parlo più… oramai è un dato certo, si sa.
Resto in attesa di sviluppi….
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Spy stories?
Ma bravabravissima. Ecco una nuova sfida. Ecco lì’Ale che mi piace e che più apprezzo.
M’intriga già e il desiderio di leggere aumenta sempre di più.
Il buono e il cattivo. Il brutto, praticamente morto.
I personaggi femminili saranno all’altezza, me lo sento.
dalla contentezza non riesco a formulare altro.
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@ TONY grazie!
Io credo invece che tu ne capisca più di me.
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@ BRUMBRU uhm…. in questo secondo capitolo i personaggi sono solo tre: un agente della CIA, uno del KGB e Boris…
Gli sviluppi non tarderanno 🙂
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@ CAPEHORN una curiosità: a parer tuo chi è il buono e chi il cattivo?
Il brutto si sa…
Spy stories! Spero di farcela 🙂
Ti ringrazio di cuore ^^
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Un racconto che diventa sempre più interessante
scorrevole, letto con entusiasmo…
inoltre “J’adore la suspense” e ho la netta
lmpressione che ci sarà con altretante sorprese …
Un bisou ma chère
Michelle
Ps: non riesco a capire come mai non esco con il profilo eppure mi sono logata e ho un account woorpress… Ciaooo
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@ MICHELLE sto scrivendo la terza puntata.
Sono felicissima che questa nuova storia ti piaccia!
Bisous 🙂
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Ciao cara, mi piace qui…mi avrai di nuovo tra i tuoi lettori..solo un pò di pazienza che sistemo le cose. Sono felice che non hai abbandonato il blog. Ti ho lasciato un msg su Splinder per spiegarti della mia scomparsa. Un abbraccio ^_^
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@ DOLCELEI che gioia rivederti, mia carissima amica!
Vado subito a leggere il messaggio (Splinder permettendo).
Un bacione grande ^^
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Bellissimo questo capitolo, sei bravissima anche nel tessere il pregiato tessuto
di una spy story. Intrigante.
Ale sei bravissima come al solito!
Bacioni!
:*
cri
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@ PAULINE grazie di cuore, cara Cri.
Un grande abbraccio 🙂
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Mhmmmm …. Mi sa che la domnda celi un tranello …. mhmmmm …
Foster = buono ?
Aleksandr = cattivo ?
Per il brutto é più facile e on lo cito neppure.
Però … mhmmmm …. non so, crdo di aver messo i piedi nella bagna … 🙂
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@ CAPEHORN no: nessun tranello, caro Carlo.
Anzi, grazie per aver risposto alla mia domanda!
Risposta corretta, direi, tranne che per un particolare: chi diavolo è Foster? 😛
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Lodge. 🙂
E sarò scemo !! 😦
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Come sempre, ogni qualvolta si legge un capitolo nuovo, è sempre una nuova storia completamente distaccata dal corpo ed alla fine, sei abilissima ad intrecciare tutti gli anelli.
Peter
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@ CAPEHORN dai, niente di grave 😀
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@ PETERMANERO ecco un altro caro amico qui!
Benvenuto ^^
E naturalmente grazie 🙂
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Dunque si tratta di una storia di spionaggio! 🙂 Certo che… degli italiani non dai esattamente una buona immagine, eh! 😀
Ok, andiamo a leggere la terza puntata…
Ah, io ti trovo a tuo agio qua su WP, mi sembra una piattaforma adatta al tipo di scritti che proponi. Più di quanto lo fosse Splinder direi…
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@ WOLFGHOST dici, caro lupo?
Gli italiani sono formidabili in molte cose… in altre meno…
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mumble mumble… devo ancora decidere….. Aleksandr o John? Dalle foto che hai messo per rappresentarli non avrei dubbi e sceglierei senz’ombra di dubbio il secondo…. però inizio a incuriosirmi, come sempre hai dato un tono di mistero ai protagonisti e stai creando su misura per loro personalità complesse… bravissima! ma che te lo dico a fare?
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@ MOMI beh, mi fai felice, cara 😉
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recupero recupero recupero…. e faccio bene! 🙂
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@ FANTASIA wow!
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